Nonostante il titolo, non si parla di draghi nel nuovo libro di Silvana De Mari. In compenso, se agli esseri sputafuoco viene dedicato solo un rapido accenno, abbondano orchi, streghe e principesse che escono dal mondo delle fiabe per venire ad abitare in mezzo a noi.
Abbandonate, almeno per il momento, le vesti di romanziera, l’autrice di L’ultimo Elfo e L’ultimo Orco si dedica, in questo Il drago come realtà, ad analizzare i significati storici e metaforici della letteratura fantastica.
Si tratta di un saggio molto particolare, nel quale la De Mari, medico chirurgo, cerca d’inserire di tutto. Troppo, forse, finendo così per affiancare cose molto diverse fra loro, al punto da smarrire, a volte, il filo del discorso. Ne risente lo stesso linguaggio, che oscilla fra spiegazioni semplici ed esposte con chiarezza ad altre tecniche e scientifiche che possono mettere in difficoltà il lettore impreparato.
Gli argomenti scivolano uno dietro l’altro, rapidamente. Ci sono tanti piccoli accenni interessanti, e in qualche punto si sente la mancanza di qualche pagina in più di spiegazione.
Si comincia con un accenno ai poemi epici, e fin da subito si fa sentire la laurea in medicina dell’autrice. In queste pagine le opere non vengono analizzate per il loro contenuto o per la forma metrica nella quale sono state scritte, e ciò che interessa è la loro capacità di variare il livello di serotonina presente nel nostro cervello.
Il discorso si concentra quindi su uno dei principali sistemi motivazionali delle persone, l’affiliazione a un gruppo.
L’epica, considerata in tutte le sue molteplici forme, consente quest’affiliazione, e svolge la fondamentale funzione di donare forza a chi l’aveva perduta.
A supporto di quest’affermazione la De Mari ricorda le parole che ne Il signore degli anelli Tolkien mette sulla bocca di Sam per incoraggiare Frodo prima che inizi la parte più pericolosa del loro viaggio.
Cita le grandi storie, quelle che si raccontano la sera seduti intorno al fuoco, e che non hanno mai fine. I miti senza tempo, le imprese eroiche che innumerevoli voci hanno trasformato in leggende o in canzoni. Narrazioni che rafforzano nel singolo l’idea di gruppo, e che lo aiutano a proseguire nel suo cammino.
Finisce il capitolo, e dalla pagina successiva sembra di essere passati a un altro testo che spiega le differenze fra favole e fiabe.
Le favole, scrive l’autrice, hanno un intento morale, ma sono fredde, prive di emozioni. Al contrario le fiabe, ricche di archetipi che fanno risuonare l’immaginario collettivo, sono accomunate dal piacere di narrare e di ascoltare.
Chiarito il punto di partenza, si entra finalmente nel cuore del saggio con una breve storia della fiaba. La sua forma narrativa si colloca nei sistemi motivazionali di attaccamento e accudimento fra genitori e figli, con caratteristiche ben precise che la contraddistinguono e precisi significati.
Fra tutte, la caratteristica più importante è quella di suscitare nell’ascoltatore forti emozioni. Ecco allora che sensazioni come paura, collera e vergogna, che non sempre il bambino può esprimere nella realtà in cui vive, trovano libero sfogo nella fantasia.
I mostri che vivono dentro al buio, per raccontare i quali il bambino non conosce nemmeno le parole giuste, trovano una loro concretezza. Le emozioni inconfessabili, spesso addirittura ignote alla mente razionale di chi le prova perché sepolte nell’inconscio, hanno qui il loro naturale sfogo.
La paura di non essere amati abbastanza si trasferisce negli innumerevoli orfani, e la collera nei confronti di un genitore ritenuto ingiusto si riversa sulle matrigne, come quella di Cenerentola.
Accanto all’inconscio e ai sogni si pone la realtà concreta, quotidiana. E se questa realtà è talmente intollerabile da sfuggire ad ogni comprensione, allora intervengono gli archetipi. Gli Orchi, se li si guarda al di là dell’aspetto fisico, sono coloro che gioiscono per il male che procurano. Nei secoli scorsi erano gli inquisitori, o i carcerieri di Auschwitz, oggi sono i padri violenti o gli attentatori.
Ma per arrivare ad illustrare quale sia la realtà nascosta dentro la fiaba, la De Mari divaga, fa giri contorti, aggiunge informazioni su informazioni. Spiega cosa sono i neurotrasmettitori e quale sia il significato delle emozioni. Traccia rapidamente la storia dell’evoluzione del genere umano, soffermandosi sui dolori del parto. Parla delle endorfine e dell’effetto placebo. Fino ad arrivare, appunto, al racconto di chi sia, veramente, una Strega.
Fantasma terrorizzante della femminilità, guaritrice, povera donna bruciata dall’ignoranza della gente.
La fiaba diventa un modo per vincere contro forze soverchianti, come quelle dei draghi, e consolare il bambino che non ha la forza di affrontare problemi più grandi di lui nel mondo reale. Cenerentola e Biancaneve siamo noi. Siamo noi i nani, piccole creature in un mondo di adulti giganti.
La parte finale del testo parla dell’alfabetizzazione, e delle narrazioni contemporanee. Con Andersen la paura infantile di non essere amato da un genitore diventa la paura più adulta del diverso, del rifiuto dal proprio gruppo. La Sirenetta e Il Brutto Anatroccolo sono rifiutati come lo è, all’inizio, Harry Potter. I genitori non possono proteggere chi ne avrebbe bisogno perché morti o immondi, come il padre di Luke Skywalker in Guerre stellari, o come in L’ultimo Orco.
E se chiunque può arrivare ad essere “diverso”, magari semplicemente perché soprappeso e quindi oggetto di derisione, ecco che la fiaba di Dumbo può far capire come la diversità possa essere una risorsa.
La fiaba, e la sua diretta discendente, la narrativa fantasy, prive di una pretesa di verosimiglianza e di una precisa collocazione nello spazio e nel tempo riconoscibili dal lettore, divengono verità universali. In esse ognuno trova quello che cerca e di cui ha bisogno, perché non c’è nulla di imposto. La Terra di Mezzo, non essendo la terra di nessuno può diventare la terra di tutti.
La psicoterapeuta De Mari, da sempre sensibile ai temi della memoria del passato per poter cambiare il futuro e della narrazione di storie per costruire nuovi mondi in cui rifugiarsi, spiega che, se cresce in un ambiente sbagliato, chiunque può diventare un Orco. Ma ricorda anche che le fiabe dicono la verità, e che bisogna credergli. Perché le fiabe dicono che gli Orchi esistono, e che possono essere salvati.
12 commenti
Aggiungi un commentook, mi tengo il mio Dash-Bettelheim allora . Grazie per la precisazione.
Ho apprezzato della stessa autrice sia "L'ultimo elfo" sia "L'ultimo orco".
Lo stesso non posso, purtroppo, dire di questo saggio.
Il libro tratta la materia in modo poco organico e confuso. L'autrice salta spesso di palo in frasca.
La prima parte è apprezzabile per alcuni spunti e un certo brio nella scrittura, poi il libro si trasforma in una specie di filippica fornendo un’interpretazione a senso unico e piuttosto semplicistica della storia dell'umanità che assomiglia molto alla narrazione di un libro fantasy.
Ma con tutto il rispetto per la fantasy, che è un genere che amo molto, la realtà è un po' più articolata.
Apparte qualche passaggio storico ed alcune opinioni spiegate un po' troppo velocemente a me il saggio è piaciuto: ed ora è anche il mio libro preferito! Certo che poi si possono buttare tante critiche stupide come quelle fatte alla presentazione del libro: "e i draghi dove sono?" che con certe opinioni lasciano poca libertà al lavoro di un autrice per esempio di inserire il titolo che vuole astratto per spiegare a cosa si riferisce... intanto l'autrice non è ignorante in materia. Poi è anche una fisioterapista (le materie fisioterapistiche e omeopatiche le studio con diletto) quindi le sue sono valutazioni da non lasciarsi sfuggire: lo consiglio!
Molto OT
Alla libreria mondadori della mia città (l'unica libreria del posto che conosca almeno l'esistenza del genere fantasy) non si sono fermati neanche a leggere il sottotitolo o la quarta di copertina: identificata l'autrice, hanno subito inserito il libro nel reparto bambini
Riuppo questo thread perché, nonostante i commenti negativi, la curiosità era cmq rimasta e finalmente ho avuto modo di soddisfarla, quindi voglio aggiungere i miei due cent alla discussione.
L'ho trovato un saggio estremamente interessante e geniale, tremendamente vero e reale, a tratti persino commovente, affrontato da una prospettiva insolita che ancora non avevo letto, nonostante di saggistica fantastica ne abbia macinata un bel po'. Alcuni concetti li avevo già sentiti esporre alla De Mari nel corso di interviste e presentazioni librarie, ma qui c’è, anziché uno stralcio frettoloso - l'intera prospettiva.
Anzitutto, Marty, debbo dire che il paragone con Bettelheim (che fai nei commenti, non nella rece) è, seppur del tutto involontariamente, fuorviante. Trovo una grande diversità di intenti nelle due trattazioni (anche se riconosco qualche punto di contatto, del resto una psicoterapeuta che si interessa di Fantastico non può non aver letto Il Mondo Incantato, e ritengo che il saggio della De Mari apporti una sfaccettatura nuova al discorso sulla fiaba. Piuttosto, certi discorsi sui meccanismi emozionali di gruppo a me hanno ricordato il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell'Io.
A Fabrizio vorrei chiedere quali sono le parti che ritiene infondate (o campate in aria, questa è la domanda anche per Gealach, a meno che ti riferisca a qualche citazione bibliografica in più per gli approfondimenti, nel qual caso ti dò ragione, questo saggio soffre un po' di tale carenza): io non ne ho proprio viste. A meno che tu, Fabrizio, essendo molto credente, non sia stato infastidito dal discorso fede/miracoli/endorfine. Ma in tal caso, come nessuno ti contesta la tua posizione fideistica, che in quanto tale è - per definizione - l'antitesi della scientificità, mi sembra che il discorso della De Mari sai altrettanto accettabile - e senz’altro scientificamente più spiegabile - dal punto di vista laico.
Quanto allo sforzo per arrivare in fondo, questo saggio vola letteralmente da solo, davvero non capisco il tuo punto di vista. Anzi, lo stile colloquiale rende appunto agilissima la trattazione, anziché noiosamente accademica (un difetto che, per esempio, a tratti riconosco invece in me stessa) e lo rende fruibile anche ai non 'iniziati'. Senza contare il valore aggiunto dell'ironia che fa spesso capolino.
Pertanto, se tu di stelle ne daresti due volendo essere generoso, io non gliene darei meno di quattro, e a pieno titolo.
Certo, poi c'è qualche affermazione su cui non sono d'accordo neanche io (ad esempio l'importanza della memoria per non ripetere gli orrori, questo è un (mis)concetto diffusissimo, ma è palesemente antistorico), tuttavia non per questo liquido il saggio con sufficienza.
Quanto infine al filo unitario, c'è eccome: la fisiologia delle emozioni e la loro espressione nel materiale fantastico.
A proposito di discorso campato in aria, questo mi sembra, piuttosto, il commento dell'ospite Micol, puntualmente e tipicamente gettato lì senza motivazione e senza curarsi minimamente di circostanziarlo. Per esempio, l'antropologia non avrebbe aggiunto nulla la taglio con cui la De Mari ha affrontato l'argomento, perché l'argomento, semplicemente, non è quello. Queste considerazioni buttate là in quella tipica modalità del grande regista René Ferretti, mi sembrano sempre il tipico sfoggio di saccenza dell’ 'universitaria di turno che vuole dimostrare "di saperne". Per inciso, la tradizione storico-letteraria alle spalle di Lilith viene da ben più lontano che i saggi femministi, cerchiamo di mettere le cose in prospettiva, per cortesia, ed evitiamo sterili qualunquismi solo per il gusto esibizionistico... E poi che significa "saggi datati"? Lol, gli studi in volume non sono mica calendari e anche quelli 'datati' hanno sempre materiale fruibile!
Concordo invece con Skilgannon sulla totale assurdità del titolo e posso essere d'accordo, tornando alla rece vera e propria, sul fatto che venga messa troppa carne al fuoco e che poi lo spazio impedisca di cucinarne a dovere alcune parti. Bisognerebbe però vedere quali paletti di pagine può aver messo l'editore (quando non abbia addirittura tagliuzzato, visto che sappiamo aver già espunto parti scomode dai romanzi della De Mari, no?), che fra l'altro - piccolo OT - nella mia personale hit parade si conferma di nuovo come uno dei peggiori quanto a scelta di copertine (ma cambiare illustratori no, eh? Non dico avere un drago alla Ciruelo ma quell'aborto in copertina sembra un dinosauro gommoso con due cucchiai al posto delle ali! E un animale blu notte su sfondo blu notte? Veramente geniale! ).
In definitiva, a parte Martina che ha spiegato le sue critiche nella recensione, trovo che nessuno di coloro che si sono scagliati contro questo saggio abbia dato conto delle proprie.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID