Io le risposi che non lo sapevo. Esaminai il contratto e scoprii che la DC aveva i diritti delle tavole illustrate, e io del testo. Quindi pubblicammo semplicemente Stardust senza la parte illustrata.
A volte la gente mi dice che Stardust è bello, ma è come se mancasse qualcosa.
Se è vero che un'immagine vale come mille parole, allora facendo i conti mancano 175.000 parole! (risate)
Nelle tue opere parli di grandi temi: i sogni, il cambiamento, la morte. Cosa ti ha spinto a usare il fantasy come mezzo per esprimere queste idee?
Il fantasy è nato come genere dal Signore degli Anelli, tant'è che Il libro di Tolkien è uscito come un normale libro di narrativa, recensito regolarmente sui quotidiani. Allora non c'erano autori fantasy e autori non fantasy, c'erano solo autori. E di questi qualcuno scriveva di fiabe e magia, altri no. Ho tentato di scrivere Stardust come se il fantasy non fosse ancora nato, come se scrivessi negli anni '20, e come se stessi scrivendo una fiaba. Addirittura ho comprato una stilografica e ho scritto alcune parti a mano!
Non c'è differenza tra la storia e il potere della narrativa e la storia e il potere della fantasy e del fantastico. La magia e l' incanto sono usati per esprimere il reale e l' interiore. L'uomo ha sempre cercato di trasporre in metafore mitologiche i grandi temi della vita e il mondo che lo circonda, è così da sempre e per tutte le culture.
Solo che oggi si dà un nome a questo: prima era solo letteratura. E secondo il mio punto di vista, che non tutti condivideranno, non c'è differenza tra letteratura e fantastico.
Il fantastico è un genere che è stato depennato dalla letteratura solo di recente, per paura di insozzarla. In American Gods ho voluto trasporre la mia esperienza di vita in America, ho voluto parlare degli emigranti che abbandonano le proprie origini geografiche, che si portano dietro il loro patrimonio culturale solo per perderlo poco tempo dopo essere arrivati nel nuovo mondo. In Europa non è così, un italiano nel Regno Unito rimane un italiano… ma in America sembra che tutti abbiano fretta di essere considerati americani. Hanno smarrito le proprie radici, il loro modo di pensare, pur restando formalmente del proprio paese d'origine.
Come la loro cultura si smarrisce, così anche gli dei di American Gods. Il loro è un viaggio non solo geografico, ma anche temporale. Non avrei potuto esprimere questo concetto senza usare gli strumenti del fantasy, se non dilungandomi inutilmente e perdendo molti concetti e metafore per strada, e non volevo che accadesse. In un romanzo preferisco mettere più di quanto serva per farlo funzionare, anziché meno!
L'opera che più di ogni altra ha contribuito a farti conoscere in Italia è Sandman, che parla di sogni, di divinità. Come collochi il tuo lavoro, così ponderoso e così "mitico "nella mappa della letteratura moderna?
Non credo che l' età delle grandi storie epiche sia finita, basta guardare i fumetti.
Supponendo che i supereroi Marvel e Dc vivano sulla stessa terra, in 40 anni le due case editrici hanno scritto assieme la più grande saga dell'era moderna. Non mi chiedo dove vada collocata la mia storia, io la racconto e basta… mi chiedo solo come farla progredire. Per quello ci sono i critici e gli accademici. Tu pensi di essere diverso e innovativo, di scrivere un po' di questo e un po' di quello, poi loro ti dicono che stai seguendo la stessa linea, che rientra tutto nel tuo stile. Se lo dicono loro… Io amo sperimentare sempre cose nuove, è uno degli stimoli maggiori che ho quando scrivo.
Com'è stato lavorare con Terry Pratchett?
Divertentissimo. In quel periodo ero un vero nottambulo, e mi svegliavo sempre tardissimo, verso l'una di pomeriggio. Guardavo la segreteria telefonica che lampeggiava, schiacciavo il pulsante e la voce di Terry mi assaliva: "Sveglia, sveglia, pigrone! Ho scritto qualcosa stamattina presto!" E mi leggeva diversi pezzi che aveva prodotto quella mattina di buon'ora. Al che io leggevo a lui quello che avevo scritto io, sempre quella stessa mattina, ma molte ore prima di lui! Ci leggevamo i nostri scritti a vicenda, ridendo come pazzi, e io mi sentivo allora come un apprendista di fronte a un maestro. Lui mi diceva: "Se cambi questo particolare il tutto sarà più divertente del 2%. Effettivamente cambiandolo il libro era più divertente esattamente del 2%. (risate)
Cosa sogna un fabbricatore di sogni?
Quello che sognano tutti, credo… come entrare in un albergo vuoto con vampiri sdraiati nelle vasche da bagno in ogni stanza. Sai che si sveglieranno al calare delle tenebre, e guarda caso le tenebre stanno calando. Qualche tempo fa ho fatto l'analisi dell'attività cerebrale durante il sonno, in ospedale. In genere devi scendere di tre o quattro fasi di sonno per sognare. Dalle analisi è emerso che io entro in quella fase poco dopo aver chiuso gli occhi. Non so se sia un bene o un male, ma mentre scrivevo Sandman avevo degli incubi, e allora mi svegliavo di soprassalto e pensavo: "Figo, posso usarlo per Sandman!"
Alla fine ho smesso di avere incubi. Penso che i demoni dei sogni si fossero irritati per come li ho offesi non spaventandomi!
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