I due eserciti erano schierati sulla riva del lago salato, pronti a darsi battaglia. I grandi castroni scalpitavano e gli stendardi garrivano al vento. Il capitano dei Cavalieri Verdi storse la bocca guardando l’accozzaglia dei Nani che il suo signore gli aveva affibbiato come fanteria. Erano rumorosi e pelosi come un gregge di caproni. Ma questi erano gli ordini e un soldato deve obbedire, pensò gonfiando il petto.

Vide l’avversario, il capitano dei Cavalieri Blu, tronfio e insopportabile sul suo cavallo coperto di metallo, e impartì l’ordine d’attacco: subito cominciò un rullare di tamburi e uno strombazzare di bucine, tra la polvere e le urla bestiali di due eserciti che cominciavano la carica. Pietre e schizzi di fango finirono nel lago, sporcando l’acqua e bersagliando il fondo, con un fastidiosissimo eco che arrivò fino al mare. Poi fu la volta di corpi e frammenti di armature, arti tranciati e detriti d’ogni tipo.

- Questo è troppo - pensò il Wyrm d’acqua, svegliandosi di soprassalto dal sonnellino pomeridiano in compagnia di un paio di sirene tutt’altro che disprezzabili. Scansò un pietrone a pochi centimetri dalla sua testa, ma non fu abbastanza svelto a schivare un braccio tranciato di netto, che centrò la sua faccia acquosa assestandogli un ceffone.

Le sirene si svegliarono strillando peggio di un branco di anatre, afferrarono le loro conchiglie (erano molto pudiche con gli estranei, anche se fatti a pezzi) e guizzarono come saette verso il canale che conduceva al mare.

- Non basta che gli Elfi, con i loro ridicoli codini, abbiano scelto le sponde del lago per i campi di caccia all’Unicorno, non basta che gli Umani vengano qua in comitiva per la stagione dell’accoppiamento e che i Druidi si mettano a cantare tutta la notte bruciando vischio puzzolente. Ora abbiamo anche le battaglie.

Il Wyrm sentiva montare una certa rabbia. Decise di andare a dare un’occhiata, affiorando con i grandi occhi liquidi sulla superficie del lago.

Non c’erano più gli eserciti di una volta, pensò: niente più maghi tenebrosi capaci di sbriciolare montagne, niente più spaventosi Goblin mangiatori di carogne o semidei guerrieri che da soli distruggevano intere regioni comprese le formiche, solo quei ridicoli esseri impupazzati nella latta che se le davano di santa ragione facendo un gran disordine, con il loro codazzo di nani abbaianti e di elfi effeminati. Non c’erano nemmeno più le Ninfe che venivano a sguazzare nude nei caldi pomeriggi d’estate.

Un tonfo vicinissimo lo distolse dai piacevoli ricordi. Un cavaliere era piombato nell’acqua con tanto di cavallo e armatura, e annaspava tossendo e sputando. La punta della sua lancia sfiorò il corpo trasparente del Wyrm e spaventò un branco di pesci. Sempre più infastidita, la creatura del lago lo rispedì sulla riva con un’ondata niente affatto delicata. Poi ci fu la goccia che fece traboccare il vaso: suonarono la tregua e gli eserciti si fermarono, per riposarsi dalle grandi fatiche, accampandosi sulla riva. Il Wyrm immaginò altri rifiuti gettati nel suo cristallino rifugio, gli schiamazzi e, sicuro come la marea, tutti a fare il bagno. Sudici e sanguinolenti come maiali nel brago. Questo proprio non poteva tollerarlo: preso da un furia improvvisa e terribile, si alzò di colpo in tutta la sua altezza, dodici metri d’acqua schiumante, e con un urlo simile a quello di un capodoglio infilzato da un arpione arrugginito, si tuffò sulla riva, trascinandosi dietro tutta l’acqua del lago.

La pulizia fu totale. Restò solo qualche scudo qua e là, un paio di bandiere e un elfo che piagnucolava cercando la sua collanina portafortuna. Con un ultimo schizzo, il Wyrm lo mise a tacere. Poi, sospirando di soddisfazione, scivolò lentamente nella conca di nuovo piena d’acqua, immobile e calma come se nulla fosse accaduto. Prima di riappisolarsi, pensò che tutto sommato quel posto non gli piaceva più così tanto o forse l’aria di mare lo rendeva nervoso. Gli avevano parlato di un meraviglioso laghetto in montagna, disabitato e tranquillo. Forse valeva la pena di farci un pensierino.

Cristina Donati