Il fantastico è stato spesso oggetto di dotte ed erudite elucubrazioni da parte di stimati e seriosi cattedratici. Sulla Donna eterna di H. R. Haggard (She, 1887) si sono esercitati, fra i primi, Freud e Jung, sguinzagliando raffinate esegesi alla ricerca dei più dettagliati particolari archeticipi. Lo storico delle religioni Elemire Zolla ragionava volentieri tanto sui testi della mistica medievale, quanto sui racconti di Tolkien. I casi possono essere moltiplicati a piacimento.
Oggi, però, ci interessa ampliare questo quadro con l’esempio di un libro fantastico scritto direttamente da uno storico delle religioni, da un esperto di archetipi. Parliamo di Un’altra giovinezza di Mircea Eliade, portato ora alla ribalta dall’omonimo film di F. F. Coppola e finalmente pubblicato da Rizzoli.
La biografia
Mircea Eliade (Bucarest, 9 marzo 1907 – Chicago, 22 aprile 1986) è sicuramente più noto come saggista che come narratore. Sono ormai considerati fondamentali alcuni suoi libri, tra i quali vale la pena di citare Storia delle credenze e idee religiose, il mito dell’eterno ritorno e Lo sciamanesimo e le tecniche dell’estasi, sebbene in Italia per anni il suo lavoro è stato oggetto di una vera e propria emarginazione.
Il suo dichiarato anticomunismo, i contatti con l’estrema destra rumena, sebbene giovanili e molto sfumati, infatti non hanno attirato su di lui particolari simpatie politiche. Inoltre Eliade, il cui pensiero è ispirato a un idealismo filosofico radicale teso a svalutare il valore della realtà rispetta a quella del mito, è stato per anni relegato sotto l’etichetta del New Age. In verità Eliade è anche autore di sei romanzi (compreso Un’altra giovinezza) e già a 14 anni ha esordito con un romanzo, come ho scoperto la pietra filosofale.
Giovanissimo frequenta intellettuali come il filosofo esistenzialista Cioran, ma anche il poeta e drammaturgo Ionesco. Il sogno del giovane Eliade era divenire un nuovo Giovanni Papini, al punto che l’ammirazione per l’autore fiorentino lo portò a imparare l’italiano. Fu un viaggio in India a decidere diversamente del suo destino. Appassionatosi alla mistica indiana, tornò in Romania per laurearsi in storia delle religioni e iniziare un’importante carriera accademica. Per un uomo che tendeva a mettere sullo stesso piano il tempo del quotidiano e quello della fantasia, è evidente che le due attività, i due linguaggi, queste due possibilità della letteratura, il filosofeggiare e il narrare, si equivalessero. Certamente si equivalgono in questo libro, scritto nella piena maturità, nel 1976, e che rappresenta il distillato della filosofia di Eliade. Tutta la sua personalità. Tutta la sua vita.
Il romanzo
Riassumere questo romanzo breve è insieme facile e impossibile. Un uomo, Domenic Matei, viene colpito da un fulmine. L’incidente ha due conseguenze. Una apparente, l’altra occulta. È davanti agli occhi di tutti che questo professore di liceo di sessanta anni, dopo il fulmine, è divenuto un giovane di trenta anni. Quello che nessuno può sapere è che dentro di lui, nella sua anima, nella sua testa è divenuto onnisciente. Sa tutto. È un nuovo tipo di uomo. L’uomo futuro.
Gli altri uomini, per Matei, sono come bambini. Il resto dell’umanità deve crescere, evolversi, per divenire come lui. Cosa può succedere a un uomo di questo tipo in un racconto fantastico? Matei rimane vittima delle attenzioni interessate delle agenzie di spionaggio internazionali, che forse, però, cercano un altro, e che, comunque, si stancheranno di interessarsi a lui. Gli può capitare di finire sotto la luce della ribalta della società dello spettacolo. Oppure di rimanere in solitudine per anni. Nella noia.
Gli può capitare di parlare con se stesso sdoppiato come un dio. O come un pazzo. Di conoscere gli immortali, (nella persona del conte di Saint-Germain) che gli parleranno dell’apocalisse. Incrocerà lampanti casi di reincarnazione. Si innamorerà. Come in certi sogni verbosi si parlerà di sette e rivoluzioni e, sullo sfondo, si intravede l’uomo post-storico, l’uomo che verrà dopo il declino splengeriano dell’occidente, il fallimento della nostra civiltà. Oppure capirà che questa avventura è solo una seconda occasione che un dio gnostico gli sta offrendo. Alla fine la sua storia sarà stata solo un sogno. O probabilmente no.
In questo libro succedono molte cose. Come nella vita. Finito di leggerlo non sarete in grado di ricordarle tutte, e, soprattutto, non potrete essere sicuri che questa sequela di assurdità non possa capitare anche a voi. Nella vita può capitare di tutto.
Un’altra giovinezza è la storia di un uomo che viene colpito da un fulmine e il suo autore, in fondo, ci chiede di decidere se si tratti di un’illuminazione, di un colpo di fulmine, di una scarica di elettricità. O di una folgorazione. Come giudicare un libro del genere? Si dovrebbe distinguere fra piacevolezza e bellezza, come si può distinguere fra piacere e felicità.
Un’altra giovinezza non è un libro facile. Non è un libro che viene incontro al lettore. Anzi gli chiede tanto, gli chiede di manipolare da solo la propria immaginazione, di sviluppare le proprie ipotesi, di farsi una memoria privata di questa storia. Eliade non indugia nella retorica insita e necessaria all’arte del narrare. Abdica spesso al racconto. Inserisce personaggi che non ritorneranno, che ci appariranno come passanti o come visioni in sogno.
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