Ogni opera d'arte è anche la rappresentazione visiva di una certa visione del mondo, di un certo modo di guardare alle cose, alle persone, all'universo, al nostro mondo interiore. Una visione filosofica menzognera delle cose produce solo o principalmente una menzogna, magari una bella menzogna, anche nella sua espressione letteraria. Un racconto comunica sempre una certa visione del mondo, non solo nella scelta dei valori e della sua struttura narrativa, ma anche e soprattutto nella scelta delle sue immagini fondamentali. Pensate cosa sarebbe stata la storia di Tolkien senza l'immagine, la semplice immagine degli Hobbit…
L'uomo è un essere simbolico, ed in noi i concetti filosofici non sono mai pure astrazioni, ma hanno bisogno di tradursi in immagini visibili, toccabili, esprimibili. Noi conosciamo per immagini. Nessuno di noi riesce a pensare alla bontà disgiungendola dalle immagini visive con le quali egli l'ha vista messa in pratica: una madre che culla un bambino, un padre che muore per salvare il proprio figlio, un medico che cura un ammalato, il sorriso di un amico, e così via. Le immagini di un racconto, quello che decidiamo di far vedere e come, è sempre l'esressione anche di una scelta fiolosofica, di un certo modo di vedere le cose e il mondo. Una certa immagine condizione il nostro pensiero, forma il nostro modo di guardare le cose.
Per questo i racconti sono così importanti, specie quando si è bambini, perché è proprio allora che plasmaimo le cooordinate grazie alle quali affronteremo tutta la vita. Proporre una immagine sbagliata come positiva- pensate a tante pubblicià di oggi- vuol dire azzoppare, alle volte gravemente, questo percorso di formazione. Questo è particolarmente vero delle fiabe, perché in esse la scelta delle immagini della narrazione risulta ancora più decisiva che nei romanzi d'ambientazione cosidetta realista. Il grande mondo della fantasia getta una luce più forte sulle cose, ed i contrasti emergono con maggiore nettezza.
Tolkien questo l'ha ribadito nel modo più chiaro nel suo saggio "Sulle fiabe" che consiglio a tutti di rileggere e meditare. Un'opera d'arte fantastica, in quanto sub-creazione che attinge le sue ultime possibilità nell'attiva creatrice di Dio, non deve invertire i fondamenti morali della creazione stessa. Ed è precisamente questo che accade in romanzi come Harry Potter; io non sono critico ( solo) di certi valori proposti dalla serie nello svolgimento della sua trama, ma della visione del mondo che sta alla base della scelta della stregoneria, della magia, come possibilità positiva per il cammino dell'uomo. Quello che nel mondo secondario della Rowling viene proposto come positivo, l'acquisizione di poteri occulti grazie ad una scuola di magia, che non è affatto un elemento di cornice ma il filo rosso di tutta la serie, nel mondo storico e attuale avrebbe conseguenze orribili e spaventose.
Faccio un esempio estremo: sono sicuro che nessuno di noi apprezzerebbe mai un romanzo, magari ben scritto e avvincente, dove ad un gruppo di "cattivi pedofili", violentatori e sanguinari, si contrapponessero dei "buoni pedofili" miti e gentili, che seducono i bambini, ma senza coercizione, né certo apprezzeremmo uno scontro tra "cattivi cannibali" e "buoni cannibali che mangiano solo i cattivi", nevvero? Capite bene perché: l'immagine alla radice del racconto è comunque sbagliata, sfuma l'assoluto morale e ci fa credere che magari certe cose non sarebbero sbagliate sempre e comunque…
No: certe cose sono sbagliate sempre e comunque: la pedofilia ed il cannibalismo sono orribili e malvagi in sé, e a mio giudizio, e secondo il giudizio della Chiesa Cattolica che certamente anche il dott. Gulisano condivide appieno, la stregoneria, la magia è una impostura terribile per il cammino dell'uomo, una droga che lo rende schiavo, come ci ricordava Tolkien nell'immagine dei suoi Cavalieri Neri o di Saruman e Denethor. I poteri soprannaturali spettano a Dio e a Dio solo. Non sono mai acquisibili con la forza o l'apprendistato. La magia nella fiabe occidentali è sempre una immagine o della Grazia divina dispensata agli uomini attraverso strumenti e messaggeri altri da sé ( Propp li chiamava i "doni" o i "donatori": le fate, le spade magiche…), oppure delle forze diaboliche che insidiano il cammino dell'uomo, ma essa non è mai, mai una tecnica da apprendere, pena le più gravi e spaventose conseguenze di quella che gli antichi greci chiamavno "hybris", la superbia di chi crede di poter fare di sé un dio.
10 commenti
Aggiungi un commentoil prof. Rialti ha centrato in pieno il problema. Nessuna censura, nessuna inquisizione, ma così come uno scrittore ci propone la sua visione del mondo chi legge ha il diritto di dire la sua...
Finchè si legge Harry potter come un romanzo di fiction nulla di male, ma non ha lo spessore di un romanzo di formazione. Perchè i fan del libro non possono goderselo per quel che è? Ovvero un libro per ragazzi di intrattenimento? Tipo spada di shannara insomma....
fare di quest\\\'opera un punto fermo educativo è un errore perchè presa così com\\\'è ha alle spalle un antropologia e una visione dell\\\'uomo riduttive. Ho visto che una casa editrice cattolica ne ha tratto anche un sussidio educativo per ragazzi, non vedo le ragioni di un conflitto però nemmeno le basi per farlo assurgere ad opera di impronta educativa.
non sono molto d'accordo con Rialti, però, sul paragone propost,o lo trovo esagerato effettivamente. Io credo che ci siano storie migliori di altre per educare e storie che possono essere usate a scopi educativi con le dovute modifiche. Faccio l'animatore di oratorio da tanti anni, amo molto gli autori citati dal prof. e sono convinto che non esista unlimite alle possibilità di trasmissione di un messaggio....certo, opero in ambiente cristiano e per me il contenuto del messaggio è quello che fa la differenza. Eviterei cmq di diffondere un clima di divisione su un romanzo di avventure: in questo vedo un difensifivismo eccesivo un pò tipico del mondo cattolico sul quale il prof., forse, non ha ancora riflettutto a dovere. E' giusto pronunciarsi, prendere posizione e non essere moralmente indifferenti a ciò che l'uomo produce, ma le cose che educano davvero sono solide come la roccia ed è in queste che bisogna confidare; il resto passa.
Non sono una studiosa di letteratura e pertanto non voglio addentrarmi in campi minati. Ho studiato giurisprudenza, mi sono laureata in diritto eccelsiastico e mi guadagno da vivere come bibliotecaria. Ma, avendo la veranda età di 50 anni, seguo da immemore tempo Lewis (leggevo a 15 anni i suoi libri in inglese quando in Italia si trovava poco tradotto e male, eccezion fatta per la Jaca Book da sempre sensibile). Tolkien l'ho conosciuto più in là, al tempo dell'Università e la Rowling ho iniziato a leggerla con diffidenza al solo scopo di controllare quell che i miei figli divoravano con passione riga dopo riga. da qualche anno curo con passioen la mia biblioteca privata che contiene una buona raccolta di molti studi e saggi su Lewis e la Rowling. Non ambisco a possedere una sezione su Tolkien (sul quale e del quale si è scritto e si scrive troppo perchè una biblioteca privata di una mamma di cinque figli possa essere aggiornata). Vorrei solo capire, da una fonte autorevole quale abbiamo nel dott. Rialti, in cosa ontologicamente ed escatologicamente la magia di Gandalf differisce da quella di Dumbledore e perchè un Dementor o un molliccio sono così diversi da Malacoda. Attendo fiduciosa qualche lume.
Sig.ra Nardini non so se ha notato che si tratta di un articolo pubblicato 5 anni fa. Se cerca risposte dal prof. Rialti dubito che questo sia il posto giusto dove attenderle.
Al limite, le consiglio di leggere altri articoli da noi pubblicati sul mondo di Hogwarts, ma sono firmati dalla redazione di Fantasy Magazine.
Lei chiede un'interpretazione autentica e, come le è già stato risposto, non potrà trovarla qui, visto che dubitiamo che Rialti legga abitualmente il forum di FM Tuttavia provo a darle una mia personale interpretazione: la differenza non c'è, se non nel fatto che Tolkien ha sbandierato ai 4 venti la sua fede e la Rowling è uscita allo scoperto solo dopo i Doni della Morte e il professarsi cattolico è evidentemente, per certi 'studiosi', conditio sine qua non per sdoganare la magia intessuta nei propri romanzi.
Ma anche senza attendere l'ultimo libro di HP, le tesi di Rialti fanno acqua da tutte le parti e nell'articolo è illuminante questo suo passaggio: "Certamente devo a O' Brien gran parte dell'impostazione del mio pensiero al riguardo, così come devo a Gabrielle Kuby e Mona Mikhail, importanti e decisive illuminazioni e suggerimenti su questo tema".
Il che, unito ai rilievi che ha fatto nell'articolo sull'Osservatore, rende legittimo il sospetto che Rialti non abbia mai aperto i romanzi, ma abbia semplicemente ricalcato posizioni altrui, unciamente in base alla fiducia che riponeva nei suoi intepreti di riferimento. Il modo peggiore di fare esegesi.
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