Sono tempi eccezionali, se non è un’illusione che ultimamente sia in corso un diverso e più prestigioso interesse editoriale nei confronti del fantastico nelle sue varie espressioni.
Non solo questo. Infatti, accanto a questa rinascenza ne va segnalata un’altra, di carattere contiguo: la nascita e la fortuna di case editrici e collane editoriali che promuovono un certo tipo di libro illustrato. Sarà bene premettere che la lunga storia dell’illustrazione libraria, dopo aver toccato il suo apice nella prima metà del secolo passato, ha visto man mano ridotto il proprio campo di espressione.
Forte di una scuola grafica di eccezionale valore, l’editoria italiana degli inizi del Novecento aveva concepito una serie di libri per l’infanzia, d’avventura, fantastici, comici, erotici in cui il commento figurativo era una parte fondamentale. Nel secondo dopoguerra, però, le mutate esigenze commerciali e politiche imposero al pubblico diverse modalità di intrattenimento e differenti stili culturali.
Arriviamo così ai nostri tempi dove, all’immagine densa e pittorica dell’illustrazione, si preferisce quella veloce e passiva del cinema e della televisione: i libri illustrati decadono nel gusto e vengono relegati in una zona di confine quale quella del libro prezioso o per l’infanzia.
Ma, ora, è certamente vero che da anni case editrici come Orecchio Acerbo promuovono una riedita e insieme nuova cultura del libro illustrato, accogliendo nel proprio catalogo titoli che vanno dalle incantate rivisitazioni mitologiche di Silvina Ocampo, illustrate dalla matita espressionista di Pablo Auladell, alle fiabe per adulti di Fabian Negrin (narratore e illustratore), fino alle grandi stelle di Mattotti e Kramsky; ed è oggi più che mai vero che, accanto alla pionieristica attività di Orecchio Acerbo (o della nuova collana Avatara della editrice Piano B), va notato l’interesse di case editrici come la Feltrinelli, come l’Einaudi-EL (La collana fantastica) e le scelte preziose e filosofiche dell’Adelphi.
Abbiamo detto che questo nuovo gusto per il libro illustrato è un fenomeno contiguo al mutato interesse con il quale si guarda oggi al fantastico. E possiamo affermarlo non solo perché, scorrendo i cataloghi, i titoli delle suddette pubblicazioni sono sempre ascrivibili a questo genere, ma anche perché esiste un particolare rapporto che da sempre lega l’espressione grafica e il racconto meraviglioso.
Sarebbe inutile ripercorrere nel corso di queste brevi note la storia di quanto e come questa arte si sia esercitata specialmente su materia visionaria, da quell’Oderisi da Gubbio ammirato da un Dante dilettante di grafica, fino agli illustratori contemporanei. Vorremo, però, citare almeno il pensiero del grande allucinato Redon, per il quale il disegno, in particolare quello onirico, è una macchina per produrre pensieri. Una macchina per produrre pensieri è giusto la definizione della fantasia; è giusto il lavoro compiuto dal fantastico in ogni sua espressione.
Valga a esempio di questo rapporto fra immagine e racconto del meraviglioso questo splendido libro: Mattia e il nonno, un lungo racconto di Roberto Piumini, illustrato dal grande artista tedesco Buchholz Quint, che Einuadi ristampa ne “La collana fantastica”.
La storia è semplice come la natura. Un anziano signore muore. La famiglia, disperata e attonita, si stringe attorno al suo capezzale. Alla disperazione degli adulti fa da contrappunto l’incredulità di un bambino, che si chiama Mattia ed è il nipote dell’anziano signore. La morte al piccino sembra improbabile. Tra breve sembrerà un’avventura eccezionale. Certo, perché il tempo si ferma per magia e suo nonno, senza smettere di essere morto, si alza dal letto e lo invita a fare un ultima passeggiata.
Inutile raccontare i dettagli. Si sa come vanno queste promenades mistiche: con la lenta e capricciosa pazienza che piace all’anima, (che la rende ricca) accadono varie cose. Chi ha avuto la fortuna di conoscere il graffiante e visionario Piumini dell’ “Ultima volta che venne il vento” (Aragno editore), ritroverà qui, più sfumato e candido, lo stesso spettacolo sciamanico in cui l’autore, con prudente maestria, fa apparire tutte insieme cose, uomini, sentimenti, simboli.
Nel caso di Piumini si potrebbero fare molti riferimenti letterari: l’ironia leggera, tutta di fumo, del “Codice di Perelà” (il capolavoro di Palazzeschi è ora nel catalogo dell’Adelphi); fra gli italiani più recenti, forse, Bonaviri; nonché molto surrealismo e dadaismo. Ma la più straordinaria parentela Piumini l’ha stretta con uno degli ultimi grandi narratori di miti africani, l’Amos Tutuola de “La mia vita nel bosco degli spiriti” e de “Il bevitore di vino di palma” (in Italia sempre pubblicati da Adelphi).
Tutuola è un narratore che, a contatto con la modernità e l’occidente, ha ritrovato, nel pieno degli anni Cinquanta, la sua voce più antica e primigenia, ed è bello ritrovare una voce consimile anche dalle nostre parti. Piumini come Tutuola riesce a scrivere il suo libro dei morti con una forza che va oltre la letteratura. Una forza che potremmo definire etica, ossia tutta proiettata nel punto di vista dell’altro. Dell’altro per eccellenza: il grande buio che ci aspetta dall’altra parte e che dobbiamo imparare a conoscere. Perché chi sa morire, sa vivere.
E, allora, torniamo al nostro problema sul rapporto fra immagini e racconto fantastico.
In questa storia, nella quale si toccano le regioni più remote del cuore e dove, dunque, si muove l’immaginazione allo stato puro (e l’immaginazione si dà sempre in assenza di immagini); in questa storia rarefatta che rappresenta il buio della morte (l’Ade è ricco, ma anche tutto olfatto: senza occhi), come si possono dare delle illustrazioni grafiche che non sviino e non corrompano il testo?
La risposta è nel lavoro di Buchholz Quint, l’autore delle illustrazioni di questa pubblicazione.
Quint non è ancora molto noto presso il pubblico italiano, sebbene lavori da decenni come illustratore di racconti per l’infanzia. Oltre a realizzare illustrazioni al testo, in Germania ha pubblicato una serie di copertine per autori di fama internazionale quali Peter Høeg, Milan Kundera, Cees Nooteboom, Martin Walzer.
In Italia la Salani, ha già proposto alcuni suoi lavori: ricordiamo le illustrazioni per il racconto Un bambino e una balena, di Katherine Scholes; e per i racconti Nero Cuordileone e Fa caldo al Polo sud?, scritti entrambi da Heidenreich Elke.Nell’arte colta di Quint, ritroviamo una serie di elementi tipici della pittura tedesca, riconducibili a periodi e movimenti diversi, che vanno dalla lucida precisione di Dürer, all’attenzione esatta e appassionata dei pittori del Romanticismo tedesco (Friedrich), fino al tono caustico e tagliente dell’esistenzialismo della Nuova Oggettività tedesca (Schad).
Ma l’occhio attento di Quint si arricchisce anche del più freddo
Iperrealismo fotografico americano, ben mitigato da suggestioni hopperiane, fino ad accogliere elementi del Surrealismo di Magritte o di Ernst. In realtà nella sua galleria, tanto ricca di riferimenti colti, occhieggia una sensibilità personalissima. Le sue figurazioni più riuscite riescono ad armonizzare, attraverso la cura estenuante del particolare, elementi apparentemente distonici. Esse si gonfiano di atmosfere sospese e a volte sottilmente inquietanti, ammiccando poi a particolari ludici, lirici e sognanti, la cui carica eversiva ricorda il genio primitivo di Rousseau il Doganiere.
Ma la misura, davvero eccezionale della sensibilità dell’illustratore, si percepisce in pieno proprio nel lavoro che Quint opera per il racconto di Piumini. Infatti, l’esplosiva commistione di surrealismo e iperrealismo, che costituisce la sua voce più autentica e che lo avrebbe fatto entrare in competizione con il testo, già onirico e realistico, viene qui declinata genialmente in una sorta di ultrarealismo astratto; il suo realismo è qui così affilato da uscire completamente fuori da qualsiasi dimensione connotativa.
Ed è la mossa giusta. Nella letteratura ebraica per esprimere il concetto di infinito si utilizza la retorica dello smisurato. Quint riesce a interpretare e cogliere lo spirito del racconto, metafisico, astratto, geometrico, puramente immaginale, con soluzioni talmente vere da rimandare direttamente al loro archetipo.
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