Un’apertura esplosiva, nel senso letterale del termine, con immancabile fungo atomico contro il quale si staglia la ben nota silhouette munita di cappello e frusta. Siamo nel pieno dell’area 51, dove un gruppo di agenti sovietici ha condotto Indiana Jones e l’amico George “Mac” McHale alla ricerca di un prezioso reperto, sepolto nel gigantesco magazzino che nel primo episodio fagocitava la preziosa e letale arca dell’alleanza (che fa una fugace apparizione anche in questo episodio).

Sono passati 19 anni dall’ultima avventura di Indy, nella vita come nella finzione, e il fragoroso interludio introduce la frenetica galoppata fino alle remote e arcaiche città del Perù per recuperare e risistemare al suo posto il leggendario teschio di cristallo di Akator, oggetto di straordinario potere sulle cui tracce la Russia ha inviato una squadra guidata dalla bella e algida Irina Spalko (Cate Blanchett).

Base di partenza è il Marshall College, dal quale Jones viene praticamente sfrattato a causa delle pressioni delle autorità americane.

All’inizio del viaggio Indy viene contattato da Mutt Williams, un giovane creato sullo stampo di Marlon Brando nel Selvaggio (Shia LaBeouf, con la stessa moto e la mania di riassettarsi i capelli nelle situazioni più improbabili), che gli chiede di ritrovare l’amico professor Oxley, vicino più di chiunque altro al teschio.

E’ tutto quanto occorre sapere: un prezioso artefatto con poteri soprannaturali, il Perù, la mitica Eldorado e la vecchia fiamma Marion Ravenwood (Karen Allen). Nel mezzo, come sempre, frenetici inseguimenti, trabocchetti insidiosi, templi, una girandola di evoluzioni e acrobazie.

 

Spielberg torna a Indiana Jones, George Lucas ad American Graffiti e alle sentimentali reminiscenze degli anni '50 e dei primi anni'60.

Il film, che celebra amorevolmente l’icona del Personaggio con la P maiuscola, è pieno di energia cinematica (il ramo della fisica che si occupa di descrivere il moto dei corpi, senza porsi il problema di trovare le cause che lo determinano), ma finisce per sviluppare un sacco di rumore senza aggiungere un elemento di novità, operazione che darebbe qualcosa in più al quarto episodio.

Del resto possiamo confessarlo: nessuno di noi va a vedere un film di Indiana Jones alla ricerca di qualcosa di nuovo, ma allo stesso tempo le aspettative sono altissime.

In realtà siamo tutti lì: dietro la porta del professor Jones, pronti a bersagliarlo di domande riguardo all’assenza di ben 19 anni dal grande schermo, dopo l’avventura che pensavamo avesse segnato il capolinea del più grande archeologo avventuriero del cinema.

Ancora una volta però Indy ha avuto la meglio, e ha preferito sgattaiolare via dal suo ufficio per seguire il rischioso richiamo di una nuova avventura e lanciarsi sulle tracce di un misterioso e potente teschio di cristallo, piuttosto che lasciare che di lui si parlasse nei cineforum e sui saggi di cinema.

Indiana Jones è tornato all’azione, e come ogni buon mito si mostra quando è necessario, invecchiato degli stessi anni di Harrison Ford, ma ugualmente gigione e disincantato e alle prese con i soliti impossibili problemi archeologici e i divertenti ostacoli famigliari, che già nello scorso episodio gli aveva causato il padre.

Il buon Sean Connery in questa quarta puntata è solo una fotografia sulla scrivania, un ricordo, e forse anche un esempio, dal momento che il figlio cinematografico sembra destinato a seguirne le orme. Shia LeBeouf, ora come ora, non pare avere ancora il carisma necessario per indossare il consunto cappellaccio di Indy, ma è certo meglio di Hayden Christensen nella saga di Guerre Stellari o nel trascurabile Jumper.

La Allen è ancora come l’abbiamo conosciuta: una dura dallo sguardo malizioso, che fa da contrappunto a quello perso nel vuoto del convincente John Hurt.  

La camaleontica Blanchett non sfigurerebbe come avversario di 007.

 

In qualche occasione capita di pensare che una volta il vecchio Indy avrebbe sparato senza indugi al monumentale avversario con la mulinante scimitarra. Ora si diverte a giocare con i nemici, forse per dimostrare che non è poi invecchiato così tanto.

Ma alla fine ci si chiede: cosa voglio da un film di Indiana Jones?

La risposta è: un prezioso artefatto con poteri soprannaturali, il Perù, la mitica Eldorado e la vecchia fiamma Marion Ravenwood (Karen Allen). Nel mezzo, come sempre, frenetici inseguimenti, trabocchetti insidiosi, templi, una girandola di evoluzioni e acrobazie.

E’ grande vecchia scuola del divertimento, non una profanazione della serie. Usciti dal cinema non si pensa ai difetti e ci si gode l'incontro con un vecchio amico.  

La diabolica mistura di George Lucas e Steven Spielberg funziona ancora, e anche anche se può sembrare un po’ polveroso, Spielberg rimane un maestro nel suo genere.

Anche nel più piccolo dei film della serie, Indy è ancora grande.

Voto tra le tre e le quattro stelle.