Prologo

Anche quel giorno, come tutti gli altri, era cominciato ai rintocchi delle campane della chiesa. E come tutti gli altri sarebbe giunto al termine. Era così da sempre e, con tutta probabilità, per sempre sarebbe stato.

Da quando era stata istituita la Regola, ogni giornata doveva essere ugua­le alle passate e identica alle future. Nulla doveva turbare il ripetersi ciclico della vita nel monastero.

I momenti di preghiera, le attività individuali o comuni, i compiti affi­dati a ciascun frate, dall’ultimo membro fresco d’ammissione all’Abate in persona, erano scanditi in maniera inflessibile dalla Sancta Regula, l’in­sieme degli insegnamenti dettati dallo stesso fondatore dell’Ordine che, a dispetto del mondo usa e getta che le era cresciuto attorno, si stava avvici­nando senza alcuna fretta alla soglia dei quindici secoli di vita.

Poche cose al mondo, che non fossero di pietra o marmo, potevano van­tare un’esistenza altrettanto longeva e quasi nessuna di esse si era rivelata realmente immune dagli amari effetti del tempo. Almeno in quest’insolito caso, era la Regola a fare eccezione e non il contrario.

Se si cercavano conferme della prodigiosa forza insita nei dettami di Be­nedetto da Norcia, il fatto che i suoi precetti fossero scampati a qualunque rivolgimento esterno, immutati per quasi un millennio e mezzo, avrebbe senz’altro fugato i dubbi anche del più malfidente fra gli uomini.

Vecchie norme, seconde solo ai Comandamenti, che non erano scese da una montagna ma che, come una montagna, avevano saputo restare im­mobili a guardare l’orizzonte che cambiava e la società che si trasformava, certamente liete di non farne parte.

Imperi senza confini si erano dati il cambio nel frattempo, sorgendo dal­le ceneri dei predecessori e sgretolandosi come i successivi, sconvolgendo radicalmente l’aspetto geografico e politico di un pianeta impazzito, via via ferito da guerre e carestie, forgiato da progresso e tecnologia, mutato nello spirito e ancor più nella natura. Ma entro le mura del monastero di Melk non era spirato il più esiguo vento di cambiamento. O, comunque, giusto un refolo appena soffiato.

Che le strade fossero terra battuta oppure asfalto, la luce fuoco o neon, la terra piatta invece che tonda, non cambiava la sostanza: la vita nell’abbazia austriaca poggiava su pilastri diversi da quelli del mondo circostante ed erano pilastri senza tempo, pur avendone visto trascorrere tanto, ben più di qualsiasi altra costruzione nel raggio di centinaia di chilometri.

Chi, invece, di tempo ne aveva visto passare gran lunga di meno, se non altro all’interno della badia, era il novizio Edgardo che da meno di un mese era entrato a far parte degli aspiranti all’Ordine. Il padre Oleg Baumsthall, a essere onesti, avrebbe preferito che seguisse le sue orme, ma il giovane non ne volle sapere di sudare davanti a un forno, né della vita da panettiere. Non che fosse spaventato dal lavoro duro o dalle levatacce all’alba: diversamente, a scegliere una vita in saio sarebbe finito di male in peggio. Il ragazzo non aveva neppure in odio la polvere di farina che si in­filava dovunque, più che altro dove non era gradita, né la legna da bruciare perfino in piena estate, considerato che la bottega di famiglia era rinomata in tutta Klagenfurt come l’ultima che lavorasse ancora il pane senza stram­berie moderne e la sola elettricità ammessa era l’illuminazione interna. La questione con lui era diversa ed era una questione di fede. Una fede che non ammise repliche.

Una sera di fine maggio, la valigia in una mano e una Bibbia nell’altra, il rampollo di casa si era congedato. Fra le lacrime materne e il sorriso affran­to del padre che, non avendo altri figli, aveva visto infrangersi miseramente il sogno della quinta generazione consecutiva di fornai, Klaus Baumsthall aveva cessato di esistere.

Sull’uscio del lato orientale del monastero, riservato ai postulanti che chiedevano di entrare nell’Ordine, aveva trovato ad attenderlo l’Abate Vi­gard e, secondo la Regola, anche un nuovo nome. Da quel momento in poi, sarebbe stato solo Edgardo da Klagenfurt, novizio, e avrebbe lavorato con umiltà e spirito di sacrificio per prendere i voti. A cominciare dalla sve­glia mattutina ai dieci rintocchi della torre campanaria: il segnale d’inizio di ogni nuovo giorno. Un giorno come un altro.

Dalla prima scampanata, grosso modo intorno alle cinque e trenta, i monaci avevano meno di mezz’ora per presentarsi in chiesa per la recita dell’Ufficio notturno, il primo dovere giornaliero di un frate.

Quella mattina Edgardo si svegliò già al secondo rintocco, scese dal letto e, per prima cosa, spalancò la finestra della propria cella, per consentire un adeguato ricambio d’aria. Dopo essersi lavato, raggiunse la chiesa, felice di essere giunto fra i primi. Terminate le lodi mattutine, lo attendeva il com­pito che gli era stato affidato la sera precedente dal Priore.