Domanda classica di inizio, tanto per rompere il ghiaccio: chi è Solomon Troy Cassini?
Solomon Troy Cassini è un grande appassionato di tutto ciò che concerne il fantastico, sia
esso fantasy, fantascienza, horror, in ogni forma e contaminazione. Ho esordito scrivendo
fantascienza con un altro nome, ma quella, come si dice, è un’altra storia. Ora mi sono
dedicato a tempo (libero) pieno al fantasy. Età, professione e tutto il resto non credo che
siano così accattivanti da spenderci su troppe parole. Basti sapere che Solomon Troy Cassini
ha più del doppio dell’età media degli scrittori fantasy che vanno per la maggiore oggigiorno.
Molti di loro potrebbero essere miei figli e i prossimi, vista la tendenza al ribasso, anche
nipoti! Ma mi va bene quello che sono: ho una splendida moglie e un figlio di quattro anni
che, a breve, credo inizierà la sua trilogia.
Sembri un po’ scettico riguardo l’ondata di supergiovani all’assalto delle librerie?
Ci sono sicuramente i fenomeni, non dico di no.
Il fatto è che quando in troppi, e sempre più in erba, vengono lanciati in serie un mese dopo
l’altro in una chiara escalation competitiva, qualche dubbio legittimo può sorgere. Anche
perché, stranamente, è un fenomeno limitato al solo fantasy: nessun baby-portento nel giallo o thriller, nel romanzo d’amore o d’avventura. Tuttavia, tutto è possibile a questo mondo.
Hai detto della tua passione per il fantastico: quando è sbocciata?
Da ragazzo, non saprei con esattezza quando: dodici, tredici anni o giù di lì. Non sono mai
stato un giocatore di role playing games, ma ho trascorso molto tempo in compagnia di amici che ci giocavano anche due o tre sere la settimana e mi è servito per capire cos’è realmente un dungeon. E poi, oltre alla letteratura, ho sempre avuto un debole per la musica con richiami epici e medioevali, sia essa rock più o meno duro o i Carmina Burana, passando per il flauto dei Jethro Tull o le atmosfere monastiche di Era. Per assurdo, credo di aver tratto più ispirazione da ciò che ho ascoltato che da ciò che ho letto.
Autori preferiti?
Margaret Weis e Tracy Hickman, soprattutto nella serie di Dragonlance. Marion Zimmer Bradley per le ambientazioni sfuggenti, George R.R. Martin per le descrizioni travolgenti e minuziose, Terry Brooks per i personaggi. Se usciamo dal fantasy, invece, Asimov, King, ma anche Patrick O’Brian e, udite udite, Emilio Salgari.
Non hai nominato Tolkien. Un po’ strano per un amante del fantasy…
Lui è fuori gara, fuori quota, fuori portata. Inarrivabile. Il Signore degli anelli non è un
fantasy. E’ il fantasy. Punto.
Come e quando hai sentito la necessità di scrivere, di raccontare storie, insomma, di andare alla ricerca di un tuo pubblico?
Ho sempre letto molto e, di conseguenza, ammirato chi scrive e lo fa bene. Se poi aggiungi
che, per due terzi della mia vita, sono vissuto a poche centinaia di metri da una casa con
una targa di marmo con su scritto “Qui visse Emilio Salgari” si può intuire la ragione della
mia passione. E’ difficile descrivere la stima e la considerazione che ho sempre nutrito per un uomo che, senza mai vedere una sola volta i posti incantati dove ha ambientato Sandokan o Il corsaro nero, è stato capace di farli entrare nel cuore della gente. E in eterno, per giunta.
Ma, scusa, il fantasy non ti pare abusato di questi tempi?
E’ normale, commerciale direi, che a fronte di una grande richiesta ci sia un’altrettanta
enorme offerta. Resta solo da stabilire cosa vale la pena leggere e cosa no. A ogni modo, la
risposta finale la danno sempre i lettori. Il loro è un verdetto inappellabile tipo pollice su o pollice verso e, spesso, sono giudici implacabili.
E tu che giudizio ti aspetti? Pollice su o pollice verso?
Posso solo dirti che risultato mi auguro, ovvero quello di averli convinti a leggere anche
il secondo romanzo.
Cosa ne pensi del rischio di eccessive imitazioni (per non dire plagi belli e buoni)?
E’ sempre dietro l’angolo, certo, soprattutto vista la mole di materiale in circolazione.
Sta all’autore sforzarsi e porsi l’obiettivo di non cedere alla “dark side of the book”,
ovvero la scopiazzatura di ambienti, personaggi o, peggio, storie intere. Qualcuno ci riesce,
altri no. Ma è così per tutti i campi dell’arte e, più in generale, della vita: il furbo di turno c’è sempre e sempre ci sarà. Si tratta solo essere più scaltri di lui. A questo servono i passaparola: a mettere in guardia dai cloni.
Nel tuo romanzo mischi, con un ottimo effetto d’insieme, draghi e abbazie, magia e monaci,
scaglie e tonache. Dove ti è venuta l’idea?
Copiandola, no?! Scherzavo… Uscire un po’ dagli schemi, giocare con ingredienti convenzionali e altri molto meno,mescolandoli assieme e servendoli molto, ma molto caldi, flambé mi viene da dire: questo era il mio obiettivo e, almeno quello, penso di averlo colto in pieno. L’idea che mi è balenata per la mente era tutto sommato semplice. Due filoni all’apparenza slegati e lontani fra loro ma che, nella fantasia del lettore, possono coesistere benissimo e che, pagina dopo pagina, si avvicinano fino all’incontro che, in realtà, sarà uno scontro. Il tutto sullo sfondo di una leggenda nota a chiunque, come quella di San Giorgio e il drago, di cui però si sa pochissimo. Ebbene: in Dark Tales of Light questa leggenda avrà un fondamento passato e un solido presente (entrambi descritti nel libro). Poi, si spera anche un radioso futuro, alias gli altri volumi della saga.
Quanti?
Più di due e meno di otto: eptalogia suona ancora bene, ottalogia proprio no! Battute a parte, ragionevolmente tre o forse quattro, ancora non so. Editore, lettori e vendite permettendo.
Nel tuo romanzo spiccano due figure: Yerwinbaldus, il terribile drago nero marchiato da un destino ineluttabile, e il vecchio monaco Clemenzio, genio e sregolatezza della confraternita. Un binomio piuttosto insolito…
Concordo. Yerwinbaldus, ovvero Colui che oscura l’Oscurità stessa, il drago nero per
antonomasia, supremo e unico fra i suoi simili, e il Maestro degli Ospiti dell’abbazia di
Melk, un mucchio d’ossa dalla lingua affilata e i modi spicci, sono due personaggi distanti
e, a prima vista, inconciliabili. A prima vista, però… Sì, sono le colonne del romanzo. E’ stato abbastanza spontaneo delinearli e poi approfondirli, forse perché c’è un po’ di me stesso in entrambi.
Cosa, esattamente?
Oddio, ancora non sputo fuoco e non vado in giro in sandali e saio! Diciamo che mi riferivo
a certi aspetti del carattere come la voglia di non arrendersi mai, la lealtà e una visione tutto sommato ottimistica e parecchio naif della vita.
Le atmosfere dell’abbazia di Melk ricordano vagamente quelle rigide e misteriose de Il nome della rosa. Che ne dici?
Un paragone che è un macigno. Diciamo che un monastero è pur sempre un monastero. Lo stesso Clemenzio potrebbe passare per un incrocio stravagante fra Obi-Wan Kenobi e Guglielmo da Baskerville. In fondo, però, credo che il nostro Maestro degli Ospiti, e l’abbazia che lo vede fra i protagonisti, abbiano delle connotazioni precise e delineate, che li distinguono dai luoghi comuni o dai paragoni affrettati. Vedere le ultime trenta pagine del libro per credere.
Se dovessi etichettare il tuo lavoro?
Personalmente detesto le etichette. Generi e sottogeneri non ti diranno mai la cosa
principale, ovvero se stai per spendere bene i tuoi soldi. Credo che Dark Tales of Light
possa essere definita una saga fantasy che strizza l’occhio al fantastico. Oppure no; forse
il contrario: una saga fantastica che strizza l’occhio al fantasy. Boh, mi sono perso.
E se, invece, dovessi convincere un possibile lettore, cosa gli diresti?
Le ali del Drago Caduto, e più in generale tutto il progetto Dark Tales of Light si
discosta parecchio dai cliché tipici del genere. Può essere una piacevole sorpresa e regalare
un’avventura diversa dalle solite. Come ho detto prima, leggere per credere…
Programmi per il futuro?
Sto lavorando al sequel e per ora sono abbastanza soddisfatto. Finché non lo sarò del tutto
non lo vedrà neppure l’editore. Non posso parlare di tempi: diamo al Tale One la possibilità
di farsi conoscere in giro.
A proposito di editore: il tuo rapporto con la casa editrice?
Stupendo. Professionali e appassionati: un binomio rarissimo. E con tanto entusiasmo
contagioso.
E per finire?
Un grazie alla famiglia che ha avuto la pazienza di sopportarmi durante la stesura (sì,
sono piuttosto distratto e fuori dal mondo, lo ammetto) e a chi avrà intenzione di darmi la
sua fiducia e il suo tempo. Un grazie anche a Fantasy Magazine. E arrivederci al Tale Two.
2 commenti
Aggiungi un commentoTroy dove abiti?
Io non vedo l'ora che esca il seguito di questo libro.
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