A proposito di Fantasy: non crede che ce ne siano “troppi” in giro e che alcuni mancano del successo necessario per continuare?

È vero: la competitività tra le produzioni è altissima e non tutte possono farcela. Solo pochi possono raggiungere quei numeri in grado da renderli ‘sostenibili’ dal punto di vista finanziario. È un momento di grandi sfide e credo che gli Studios hollywoodiani dovranno mettersi necessariamente un po’ d’accordo, perché non tutti ce la possono fare e questo è estremamente dannoso per l’industria.

Lei non dirigerà il terzo capitolo di Narnia: quanto è difficile per lei iniziare una serie di successo eppoi ‘lasciarla andare’…

Ho avuto questa esperienza con Shrek Terzo. Su alcune scelte ero d’accordo, altre mi hanno lasciato perplesso. La cosa più piacevole? Potere ridere alle battute: un’esperienza che quando sei coinvolto in un progetto non puoi mai avere. E’ bello, alle volte, potere tornare ad essere semplicemente parte del pubblico.

E adesso, per lei, c’è la ‘sfida della modernità’…

Sì, mi piacerebbe molto fare un film con gente vestita in maniera normale. Detto questo la cosa che mi interessa di più è lasciare spazio all’evoluzione. La mia idea del cinema è un po’ romantica: l’immagine di Orson Welles che batte sulla tastiera della macchina da scrivere eppoi consegna agli attori il copione mi ha sempre affascinato. Nel corso degli anni ho imparato che c’è spazio per il cambiamento e che un film, nel corso del tempo, si evolve e muta in maniera sensibile dall’idea che ne avevi quando lo hai scritto. In una pellicola come Narnia, però, lo spazio per tali cambiamenti è sempre limitato da una logistica complessa e necessariamente puntuale. Mi piacerebbe girare qualcosa nello stile di Mike Leigh che va sul set solo con un trattamento in mano.

È preoccupato di lavorare come regista dopo tanto successo?

Sono sempre preoccupato rispetto a quello che faccio. L’unica maniera per crescere come regista è quella di avere sempre un po’ paura. Del resto io non faccio il regista solo per essere ricompensato dal gradimento della gente, bensì perché adoro il processo creativo che sta alla base di un film.

Qual è la sua sfida?

La domanda quale sia questa sfida: non certo quella del box office. Il cinema è una forma di creatività personale e non certo un prodotto. Questo è uno dei motivi per cui decido di prendere le distanze da questo tipo di film per un po’ e di dedicarmi ad altre idee. Non avrebbe senso restare a fare un altro grande blockbuster hollywoodiano. Adoro fare cinema, perché mentre crescevo ero bravo in tante cose, ma in nessuna di queste eccellevo particolarmente. Il cinema, invece, è una mescolanza di elementi differenti e io mi sono scoperto capace di dirigerli e di metterli insieme. La cosa che mi affascina di più del mio lavoro è trovarmi costantemente dinanzi alla possibilità del cambiamento. Del resto non ho mai pensato che avrei fatto il regista: ero convinto che sarei diventato un ingegnere meccanico. Poi ho studiato architettura e alla fine mi sono dedicato all’animazione computerizzata. Tutto è iniziato da lì.