Immaginate una città infinita. Le case che si susseguono una dopo l’altra fin oltre l’orizzonte, suddivise in piccoli quartieri dallo sviluppo longitudinale e impossibilitata all’espansione laterale da un fiume e da una ferrovia, che la racchiudono e la delimitano.
In questa città, percepita come naturale e priva di ogni meraviglia, si muove lo scrittore di fantascienza Diego Patchen.
La sua arte è quella della narrativa cosmogonica, volta a esplorare le possibilità più remote della realtà.
L’imprevedibile, così come le meraviglie della tecnologia, sono rigorosamente confinate entro lo spazio delle sue opere. La vita è altra, ed è fatta di problemi quotidiani, dei rapporti con l’editore, della malattia del padre, dei problemi di un amico e della relazione con l’esuberante fidanzata.
Oggetti per noi naturali come un apparecchio che consenta a due persone di comunicare a distanza appaiono talmente inverosimili da non poter trovare posto neppure entro le pagine di un racconto.
In questo contesto tanto normale da non essere quasi percepito dalle persone che vi abitano, si svolge una storia singolare, nella quale è proprio la città a emergere in tutta la sua immaginifica potenza.
Raramente Diego, Zohar o Volusia hanno l’impressione di vivere eventi fuori dal comune. Le loro preoccupazioni potrebbero essere le nostre, e proprio per questo ogni volta che si scopre un nuovo elemento della città l’impressione che se ne ricava è fortissima.
I due astri presenti nel cielo, il Sole Quotidiano e il Sole Stagionale, sono un costante promemoria della distanza fra il mondo di Paul Di Filippo e il nostro, ma è facile dimenticarsene quando la mente si concentra su problemi come la malattia e la droga. Salvo poi alzare gli occhi al cielo e osservare il costante andirivieni di Tori alati e Spose del Pescatore, impegnati a trasportare le anime dei defunti alla loro ultima dimora, o scendere nelle viscere della città alla ricerca di scaglie di drago.
Uno scenario improbabile dunque, ma del tutto coerente al suo interno, narrato con una scrittura ricercata ma mai pesante, meticolosa nel soffermarsi su dettagli dell’ambiente o su elementi che ricorreranno nel prosieguo della storia ma fluida nel susseguirsi delle scene e degli eventi.
Finalista nei più importanti premi dedicati alla fantascienza, questo romanzo breve percorso dalla paura dell’inferno e abitato da personaggi costantemente in bilico fra il Lato Sbagliato dei Binari e l’Altra Sponda dopo un inizio descrittivo e pervaso da sottili inquietudini entra pian piano nel vivo, per giungere infine a una conclusione profondamente suggestiva.
1 commenti
Aggiungi un commentoQuesto è un libro che mi è piaciuto molto. Una storia davvero originale, quasi onirica, se penso a come Di Filippo descrive l'aldilà, con le sue Spose e i suoi Tori Alati.
Martina, ma a te non è venuta voglia di prendere zaino e sacco a pelo, salire su un treno e cercare di arrivare all'isolato zero? A me sì e trovo sconcertante - e da rifletterci sopra - questa rassegnazione degli abitanti della Città che non si pongono mai troppe domande. Su chi o cosa poggia la città? Dove sono le fabbriche? Dove i campi coltivati? Eccetto chisaitu, naturalmente, che chissà ora dove sarà arrivato
Veramente bello poi il momento in cui Diego si interroga sul tipo di lettori di narrativa cosmogonica e chiede al suo saggio edicolante di fiducia... mi ci sono riconosciuta un po' nella descrizione
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