Prologo: Il Mare
La lama tagliò l’aria con un breve sibilo prima di piantarsi sul bordo del bersaglio appeso tra gli oblò. Il manico del pugnale vibrò come a volersi scrollare di dosso qualche granello di polvere.
“Bah!” sbuffò Ramírez.
Con un movimento enfatico portò le gambe giù dal tavolo, sbattendo la suola degli stivali sul pavimento. Si alzò dalla sedia con un grugnito e si avvicinò alla parete grattandosi i capelli unti. Studiò la tavola circolare sulla quale aveva tracciato di suo pugno una serie d’imprecisi cerchi concentrici con un carboncino.
Tre pugnali e uno stiletto erano conficcati sulla sua superficie scabra, due in prossimità del punto che segnava il centro.
Una quinta lama aveva perforato il legno della parete della cabina, un palmo a sinistra del bersaglio.
Ramírez recuperò le armi e tornò al tavolo. Si sedette e fece per sistemare gli stivali sulla scrivania ingombra di mappe e cianfrusaglie, ma desistette. Lasciò cadere i coltelli nel boccale vuoto che occhieggiava dietro un grosso rotolo di pergamena e si rimise in piedi. Raggiunse la porta della stanza, l’aprì.
Una corrente d’aria gelida lo investì mentre si portava una mano agli occhi per proteggerli dagli strali del sole che affondava nella distesa incendiata del mare, a ponente. Il vento fischiava sulle vele tese, trascinando via le urla e le risate dei marinai che vi trafficavano intorno. In quell’istante Emilio sbucò da un angolo del casotto di poppa e si fermò di fronte ai gradini che portavano sul cassero. Fissò il capitano nel dubbio che questi volesse ordinargli qualcosa. Ramírez lo liquidò con un gesto impaziente, poi rientrò nella cabina e si chiuse la porta alle spalle.
Erano ormai trascorsi dieci giorni da quando avevano lasciato i pontili di Jemi. Il viaggio era iniziato nel migliore dei modi.
Un vento sferzante aveva trascinato il Kraken alla velocità di una saetta, nonostante il mare mai del tutto quieto, come c’era da aspettarsi in quel periodo dell’anno. Se le cose avessero continuato a procedere in quel modo, avrebbero avvistato la costa occidentale in meno di due settimane.
Il capitano riprese posto sulla seggiola dietro il tavolo. Rimase un momento a osservare il cerchio plumbeo del cielo attraverso il vetro dell’oblò e sorrise, riflettendo sul compenso che avrebbe ricavato da quella spedizione. Una volta che la stiva del vascello fosse stata svuotata del suo ingombrante contenuto d’armamentario bellico, lui avrebbe intascato un sostanzioso gruzzolo. Dopodiché, avrebbe di nuovo fatto vela in direzione di Jemi. Con quel denaro avrebbe finalmente potuto realizzare il progetto più importante della sua vita: diventare socio di una delle grosse compagnie marittime della città. Lui, il Kraken e tutto l’equipaggio sarebbero entrati a far parte dellaflotta commerciale di una delle maggiori corporazioni. Certo questo avrebbe finito per limitare la sua libertà d’azione, ma dopo tanti anni di navigazione indipendente se la sentiva sempre meno di rischiare in prima persona. Ogni volta che il Kraken prendeva il largo era lui a doversi preoccupare dell’incolumità delle merci che trasportava. Essere affiliati a una compagnia marittima diminuiva le responsabilità personali. La qualifica di socio, inoltre, comportava guadagni maggiori e sicuri. Si trattava solo di concludere quel viaggio, andata e ritorno, scaricando nel frattempo a Shellam baliste, catapulte e… passeggeri.
Formulò quell’ultimo pensiero mentre apriva un cassetto della scrivania e tirava fuori una pipa. Se la rigirò fra le dita per osservarne gli intagli. La batté un paio di volte sullo spigolo del tavolo con il fornello rivolto verso il basso: una pioggerella di cenere cadde sul pavimento. Si portò il bocchino alle labbra e prese un’immaginaria boccata di fumo.
I passeggeri, rimuginò.
Gli parve quasi di assaporare l’aroma acre del tabacco che gli aveva colmato la gola mentre fumava in compagnia di Lothar, l’uomo con la cappa nera e il cappello a falde larghe, entrambi affacciati al cassero, a osservare il sole che nasceva o moriva oltre la curva dell’orizzonte.
Soleva spesso concedersi una fumata all’inizio e alla fine della giornata, quando si trovava per mare; era un rituale che incorniciava le ore della navigazione diurna, e spesso quell’uomo dal volto scarno gli aveva fatto compagnia, offrendogli o accettando un pizzico di tabacco da consumare insieme. Ramírez era il genere di persona che si trova a proprio agio nel trambusto variegato dei porti, nell’atmosfera fumosa e profana di osterie e bordelli. Amava le comitive chiassose e le battute triviali strepitate col boccale in pugno. Trovava tutto questo molto divertente.
Tuttavia, quando consumava la sua scorta di fumo, i gomiti appoggiati alla battagliola del cassero e il solo rumore del vento e delle onde nelle orecchie, allora gradiva una tranquillità lieve. E Lothar si era rivelato la compagnia ideale per quei momenti.
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