Mutio aveva messo in piedi una vera e propria bisca serale nel locale della mensa: dadi, carte e giochi affini, un’iniziativa alla quale la ciurma aveva aderito con entusiasmo. L’uomo aveva anche provato a cimentarsi in una gara di nodi con i marinai.
Ramírez aveva personalmente assistito alla sfida e non aveva potuto evitare di riconoscere la destrezza delle sue dita nel fare gasse e mezzi colli. Emilio, Ricardo, Paco: uno a uno erano stati sconfitti. Poi era stato il turno di Diego e la gara si era conclusa.
Ci voleva ben più di un Alteano ex fante di marina per battere Diego in velocità nell’intrecciare cime!
“Bah!” sbuffò di nuovo.
Nonostante tutto, doveva ammetterlo: quel farabutto d’Alteano, con il suo repertorio di facezie e storie di mare, con il suo sorriso e la sua cordialità, era il passeggero ideale da portarsi dietro per una lunga traversata. Ramírez sperò di non doversi rimangiare l’ammissione entro le due settimane successive: che non avesse a ricevere l’ennesima conferma sull’inaffidabilità di quella gente!
Fece oscillare la pipa, storcendo la bocca in una serie di smorfie, poi la depose di nuovo nel cassetto.
L’Alteano, in fondo, rifletté con un sospiro, non è il più strano della brigata. Non se consideriamo il nano e lo straccione.
Che i nani fossero una razza poco incline a vivere o a viaggiare sull’acqua era cosa risaputa. Si trattava di un popolo nato tra le montagne e, nonostante fossero passati secoli da quando primi di loro avevano lasciato l’antico regno per emigrare nelle altre regioni del mondo, restava pur sempre radicalmente legato alla terra. I nani erano ammirati e ricercati per la loro abilità come ingegneri e minatori, scalpellini e muratori, tutte attività relazionate con la roccia, solida e immutabile, e del tutto estranee al mare, in costante metamorfosi. Ramírez avrebbe potuto contare sulle dita di una mano i nani che, in decenni di navigazione, aveva conosciuto a bordo di vascelli e caravelle. Tutte eccezioni che confermavano la regola. Una di quelle era Nestor, il vecchio cuoco del Kraken. Era proprio grazie a lui, pensava il capitano, che Rugni era riuscito a sopravvivere a quei primi dieci giorni d’oceano.
Perché se Nestor era un caso atipico di nano, se era vero che i nani amavano poco avere l’acqua sotto i piedi, Rugni restava comunque un esempio di fobia esasperata. Per un’intera settimana era rimasto rintanato sottocoperta, nonostante i tentativi dei compagni di farlo venire all’aria aperta. Nestor aveva preso a cuore la faccenda e, ricorrendo alla sua proverbiale pazienza, lo aveva convinto a non starsene sempre rinchiuso in cabina.
Quando Ramírez aveva visto Rugni fare la sua apparizione sul ponte del vascello ne era rimasto un poco sconcertato. Quel ano aveva di per sé un aspetto vagamente inquietante, con la grossa testa glabra, la barba fulva aggrovigliata, le spalle larghe più di quelle di Luis e l’enorme ascia bipenne che si portava sempre dietro. Ma quando il capitano se l’era trovato davanti per la prima volta dopo sette giorni di viaggio, aveva pensato che sembrava un morto resuscitato da uno stregone dopo una settimana di sepoltura. La sua pelle cinerea brillava sotto una viscida pellicola di sudore nonostante la temperatura fosse tutt’altro che elevata, gli occhi parevano pronti a schizzare fuori dalle orbite spalancate e a rotolare sul pavimento per fissare inorriditi l’infinita distesa di acqua grigia.
Rugni aveva fatto qualche passo incerto verso la balaustra e aveva esordito rigurgitando la colazione da poco consumata.
La situazione era migliorata appena nei tre giorni successivi, sempre grazie a Nestor. Da buon nano intelligente, il cuoco di bordo aveva cercato di distrarre il consanguineo coinvolgendolo in lunghe quanto insopportabili dissertazioni sulle assurde leggende riguardanti il loro popolo e le sue origini. Rugni aveva reagito positivamente a quello stimolo mirato e si era un poco sciolto, grazie anche – e forse soprattutto – alla birra con la quale aveva innaffiato le conversazioni con Nestor. Ramírez sapeva bene che, se c’era una cosa che poteva aggravare il mal di mare, era proprio l’alcol. Credeva d’altronde che il nano soffrisse di ipocondria bella e buona. A conferma dei suoi sospetti, Rugni aveva tratto giovamento dalle scorte di barili ammassate in cambusa; e questo suo modo di consolarsi aveva cominciato a preoccupare l’equipaggio, che temeva di esaurire la birra molto prima di sbarcare a ovest.
Ramírez sorrise sotto i baffi, a dispetto di tutto. Le corone d’oro pagate da Rugni valevano bene il sacrificio. No, in fondo neanche lui gli dispiaceva come passeggero. Era abbastanza strambo da strappare un paio di gustosi sghignazzi al giorno, e chi navigava tanto per mare sapeva quanto ce ne fosse bisogno.
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