“Nella Britannia divisa in tribù e sotto la minaccia di un’invasione da parte di Roma, si intrecciano inestricabilmente le storie di due donne molto diverse tra loro, destinate entrambe a giocare un ruolo fondamentale nel futuro di Avalon. La giovane Boudica, caparbia e orgogliosa figlia di un nobile capo degli iceni, viene mandata su un’isola dove sarà iniziata alla saggezza dei druidi. E lì incontra la potente sacerdotessa Lhiannon, che diverrà il suo mentore e la sua migliore amica. Insieme a lei Boudica intraprende il viaggio fino ad Avalon, dove verrà consacrata donna secondo gli antichi riti della Dea. Dopo il rituale Boudica torna dal suo popolo, dove sposa un nobile iceno, Prasutagos. Questi sceglie di scendere a patti con l’invasore per mantenere una certa autonomia e godere dei benefici dell’alleanza con Roma. Ma alla sua morte la situazione cambierà drammaticamente, e Boudica e le sue figlie si troveranno in grave pericolo...”
La premessa a questa recensione è senza dubbio questa: La Dea della Guerra (Ravens of Avalon, 2007) è un romanzo di gran lunga superiore a L’Alba di Avalon (The Ancestors of Avalon, 2004), del quale potete leggere qui la nostra recensione. Se quest’ultimo arrivava a strappare la sufficienza, per via di una trama in qualche punto problematica, perché troppo ricca di personaggi che faticavano a emergere, in questo nuovo romanzo del ciclo di Avalon il problema non sussiste.
Per certi versi La Dea della Guerra, nella sua compattezza, è superiore anche a La Sacerdotessa di Avalon (Priestess of Avalon, 2000), quest’ultimo un romanzo piacevolissimo nella sua prima metà, ma successivamente un po’ troppo dispersivo. Da questo punto di vista Diana L. Paxson è senza dubbio riuscita a superare se stessa. Tuttavia, la strada per arrivare ai livelli di Marion Zimmer Bradley è impervia. Anzi, sarebbe meglio dire che tale strada non esiste affatto. Ogni tanto in libreria emerge qualche pallida imitazione di qualcosa che, purtroppo per noi, imitabile non è.
Il nucleo della storia che viene presentata in questo romanzo, come precisa nei ringraziamenti la stessa Paxson, nacque agli inizi degli anni ’90, mentre le due autrici lavoravano assieme a Le Querce di Albion (The Forest House, 1993). Ma solo ora è stato possibile leggere il risultato di tale idea, nata quando ancora Marion Zimmer Bradley poteva immaginare e scrivere dei suoi mondi.
Il lavoro di Diana L. Paxson, sebbene non si possa paragonare a quello della Zimmer Bradley, è stato tuttavia pregevole, e raggiunge l'apice nell'ultimo capitolo (forse il più interessante in assoluto). Boudica e Lhiannon, le due protagoniste del romanzo, si alternano piacevolmente lungo le quasi 450 pagine che raccolgono le loro gesta. Le prime e le ultime cento sono senza dubbio le migliori. All’inizio del romanzo una giovanissima Boudica viene addestrata a Lys Deru, sull’isola di Mona, per poi scegliere una strada che la condurrà alla gloria eterna, mentre nelle ultime pagine della Dea della Guerra, i campi di battaglia e il tremendo potere del Morrigan (la Grande Regina, appunto Dea della guerra, della sessualità e della battaglia per i celti. Colei, citiamo dal romanzo, "che è il gemito del guerriero morente e il grido di colui che lo uccide; l'urlo della donna che partorisce e il primo vagito del suo bambino") emerge in modo tremendamente vivido.
Un romanzo toccante, forse il più cupo tra quelli del ciclo di Avalon. L’amore e la perdita si alternano lungo queste pagine dense di significato. Boudica incarna in sé la regina guerriera, colei che ha amato e sofferto, vissuto e perso. La morte del suo primogenito e del marito, Prasutagos, e le successive violenze sulle sue due figlie, Rigana e Argantilla, sono forse fra le pagine più toccanti del romanzo, e non possono lasciare indifferenti. Lhiannon, dal canto suo, impersona invece la parte più spirituale del volume, raccoglie in sé i misteri di quella che sarà Avalon e i riti druidici che, c’è da dirlo, Diana L. Paxson sa rendere magistralmente vista la sua opera di saggista nel campo delle religioni neopagane. Un plauso va fatto anche per la caratterizzazione di Parsutagos, personaggio maschile solido e sfuggente, che si lascia scoprire poco a poco da Boudica. Emerge così un uomo a tuttotondo, e non una sua pallida imitazione.
I punti meno piacevoli di questo libro si devono a una certa mancanza di mordente, e al ripetersi di eventi storici certamente importanti, ma che probabilmente si sarebbero dovuti affrontare diversamente nell’evoluzione del libro. Invece di soffermarsi sulle ben più interessanti problematiche interne ai druidi, alle tensioni fra Helve e Lhiannon per il ruolo di somma sacerdotessa, spesso il volume ci racconta dei rapporti fra le varie tribù della Britannia, o ci fa il resoconto degli scontri fra i romani e i celti. Necessari, lo ripetiamo e non lo mettiamo in dubbio, ma a volte troppi, ripetitivi e troppo poco amalgamati con quello che deve essere un romanzo, e non un trattato di storia.
Per il resto, La Dea della Guerra è forse la migliore opera che Diana L. Paxson firma da sola. Un romanzo ricco di emozioni e di sentimenti, di amore e di dolore. Una storia che pulsa al ritmo delle vite di Boudica e Lhiannon. Una storia che non ha un lieto fine come lo si intende comunemente, proprio come nella vita reale. Ma la domanda, che rimane invariata dalla nostra ultima recensione, è sempre la stessa: cosa sarebbe successo se a scrivere questo romanzo fosse stata solo Marion Zimmer Bradley?
1 commenti
Aggiungi un commentoma a quando l'edizione della tea?
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID