Si chiedeva come sarebbe stato rinunciare alla magia proprio quando, dopo tanti anni, aveva iniziato ad apprezzarla, proprio quando, per la prima volta, si sentiva libera di farne uso. La colse un vago senso di rancore verso Nimeon, che per primo in quei mesi le aveva dato il coraggio di accettare quel dono come parte di lei. E adesso, tacitamente, le stava chiedendo di soffocarlo. Non si era mai posta prima la domanda di come si vivesse da regina nelle Terre: tutto avrebbe immaginato per il futuro, tranne quello. E sommate le prospettive esposte da Leah, non era affatto piacevole.
Rimase seduta a pensare fino a perdere la cognizione del tempo. Si accorse che il sole stava tramontando solo quando si alzò un vento gelido che trapassò come garza il leggero mantello. Ester trasalì per il freddo e per il repentino pensiero che Nimeon a quell’ora doveva essere già pronto per la cena e per l’annuncio ufficiale del matrimonio.
Come punta da uno spillo, si alzò e corse a perdifiato verso il castello, accorgendosi solo una volta entrata di indossare ancora gli stessi abiti del viaggio.
Due signore, eleganti e impettite, la fissavano con curiosità, dopo averla vista entrare come una furia nel grande atrio. Ester aveva frenato bruscamente, aveva ricambiato l’occhiata e si era arresa all’ineluttabilità dei fatti. Con un gesto armonioso delle braccia si cambiò d’abito, trasformando pantaloni e tunica in un vestito adatto alla tavola del re, e con un breve tocco si sistemò i capelli in un’elaborata e severa acconciatura. Sorrise alle due che ora se ne stavano sbigottite e a bocca aperta, poi riprese a correre alla ricerca di Nimeon.
Arrivò appena in tempo per vederlo uscire dai suoi appartamenti, o meglio andò a sbattergli contro sulla porta.
«Che succede, mia signora?» le chiese con un sorrisetto. «Ti mancavo così tanto?»
Ester cercò di non lasciarsi traviare dal fascino del cavaliere che, abbigliato per l’occasione, le pareva ancora più attraente del solito. Riprese fiato per la corsa e tentò di trascinarlo in un luogo più appartato. In qualche modo gli spiegò i dubbi che le erano sorti e, cincischiando alquanto, gli chiese una proroga alla data delle nozze.
Nimeon l’ascoltò senza battere ciglio, facendola sentire sempre più meschina. Non le chiese nulla, non si arrabbiò. Rispose un laconico «come vuoi, mia signora» e l’accompagnò alla sala di rappresentanza dove erano attesi, senza aggiungere altro.
Quando Leah li vide arrivare comprese subito d’aver ottenuto la prima vittoria: nessuno dei due accennò a nozze o fidanzamenti, nessuno dei due emise l’ombra di un sorriso.
Ora, gli restava da risolvere solo la faccenda di Lexon.
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