L'idea è di quelle che scaturiscono quasi casualmente. Gianfranco Viviani è una di quelle persone dalle quali puoi solo imparare qualcosa. O dalla quale almeno, noi, redattori arrivati relativamente da poco sulla scena, ammettiamo di avere tutto da imparare.
Ripercorrere, anche brevemente, la carriera di Viviani significa parlare della storia della fantascienza e del fantastico in Italia.
Nel 1965 ha fondato l'Editrice Nord, che dopo qualche tentennamento su quali direzioni prendere, si specializzò in letteratura fantascientifica, genere che ha sempre avuto alti e bassi di presenza in libreria.
Con curatori di qualità come Riccardo Valla e Renato Prinzhofer, nelle collane Cosmo Argento e Cosmo Oro pubblicò autentici capolavori della SF. La Nord mise in cantiere una prestigiosa collana Fantasy, la Fantacollana, creando una distinzione che lungi dal voler essere discriminatoria, ha dato pari dignita ai due generi.
Nel 2002 ha ceduto la Nord al Gruppo Longanesi.
Ora Viviani è l'artefice della collana Odissea Fantascienza della Delos Books, ma a noi di FM interessa in particolare il lavoro che ha compiuto nel genere Fantasy.
Analogamente a quanto fatto alla Nord, ha concepito due prestigiose e autonome collane, Odissea Fantasy e Odissea Vampiri, che si sono rivelate due ottimi prodotti editoriale.
Senza nulla togliere alle altre collane, il vero colpaccio Viviani l'ha realizzato con Odissea Vampiri, che ha intercettato anzitempo il ritorno dei vampiri nell'immaginario collettivo, pubblicando alcuni tra i più sorprendenti successi editoriali di questi anni, il ciclo di Sookie Stackhouse, scritto da Charlaine Harris (ne abbiamo parlato a questo link).
Ecco che quindi, spinti da una comune curiosità, alcuni redattori di FantasyMagazine hanno realizzato una intervista corale a Viviani, che ora vi riportiamo.
Io vorrei sapere come fa a 'tartufare' il potenziale commerciale di un manoscritto, se va a istinto o si affida a determinati parametri oggettivi. (Marina Lenti)
No, non ho la sfera di cristallo, quindi prima di tutto mi affido a parametri oggettivi che possono essere: a) interesse del pubblico per il genere a cui appartiene il romanzo; b) l’accoglienza che la critica ha riservato a opere dello stesso tipo; c) Le classifiche di vendita italiane e straniere per romanzi similari. Quando i punti a,b,c, hanno dato risposte positive, allora inizia la ricerca dell’opera. È molto difficile, direi quasi impossibile, che si verifichi la coincidenza di ricevere il manoscritto proprio dell’opera che si cerca. Il lavoro dell’editor è quindi quello di esaminare decine di romanzi che offre il mercato, e tra questi scegliere quelli che ritiene più adatti. Questa, forse, è l’unica operazione che può essere frutto dell’esperienza e dell’istinto di un editor il quale, nonostante tutto, non sempre riesce ad azzeccare il libro di successo.
Cosa ne pensa del successo editoriale (e non solo) dei cari "non morti" di questi ultimi tempi? E stato decisivo il fascino da sempre esercitato da queste creature del mistero (e quindi successo legato soprattutto al tema "vampirico") o sono state invece decisive le scelte degli autori di ripulire questa figura del mito dai lati più scabrosi per intessere trame romanzate dedicate soprattutto ad un pubblico giovane? (Chiara Serafini)
È certo che il successo del genere è dovuto al fatto che gli autori li hanno resi simpatici. Non fanno più paura,
com’era il caso del cattivo Dracula, ora i vampiri vengono coinvolti in vicende che portano il lettore a tifare per loro. Comunque ci sono voluti anni per arrivare a questa fase e celebri autori hanno contribuito a dare un’anima ai vampiri. A questo proposito non posso non ricordare le opere memorabili di Anna Rice, di Chelsea Quinn Yarbo, di Laurell K. Hamilton, che hanno dato spessore alla figura del vampiro smantellando lo stereotipo che dominava negativamente l’immaginazione collettiva.
La collana Odissea Vampiri annovera alcuni dei nomi più importanti dell'Horror internazionale, ma esiste la possibilità di vedere fra le sue pagine autori Italiani? E se sì, cosa si chiederebbe a un autore nostrano? Originalità? Ritorno al classico? Ripresa di stilemi italianeggianti? O forse fusione di più elementi innerenti al genere (ibridizzazione sempre più di moda negli ultimi anni)? (Luca Azzolini)
Prima di tutto vorrei precisare che c’è una grande differenza tra l’Horror e il paranormale a cui appartengono i romanzi che escono nella collana Odissea Vampiri. L’horror per sua natura suscita sensazioni di paura, il paranormale diverte perché quasi sempre diventa un mystery pieno di ritmo, suspence e azione. Detto questo, la domanda riguardante la possibilità di pubblicare opere di autori italiani non può che avere una risposta: Certo che è possibile, a condizione che le loro opere stiano alla pari, per idee, ritmo, azione e costruzione della vicenda, con quelle dei loro colleghi stranieri.
Ci può anticipare se la Collana, in un prossimo futuro, amplierà il suo orizzonte, virando verso l'Horror più in generale? (Luca Azzolini)
Chi può dirlo? Io non mi sento di escluderlo. La collana Odissea è un contenitore aperto. Abbiamo cominciato con Odissea Fantascienza, poi Odissea Fantasy, quindi Odissea Mystery e Odissea Vampiri. Perché non Odissea Horror se un giorno maturerà l’idea di farla?
Quali sono, attualmente, i titoli al vaglio per la collana Odissea Vampiri? Dopo la Huff, la Harris e la Banks, ci sono già altri autori di prossima traduzione sui quali Delos Books ha deciso di investire? (Luca Azzolini)
Scusa, ma questa è una domanda alla quale preferirei non rispondere per non anticipare (o svelare) idee che stiamo elaborando. Ci sono molti occhi puntati sull’attività della Delos Books e se non avessimo preso le giuste precauzioni, ora i nostri bestseller di Harris, Huff e Banks non sarebbero più nostri ma in mano di importanti editori.
32 commenti
Aggiungi un commento@stefano: cioè, se ho ben capito, hai detto che molto dipende anche dalla percezione che editori e distributori italiani hanno del valore del fantasy e dei suoi sottogeneri?
se ho ben capito -mi scuso in caso contrario e ti prego di rispiegarmelo che son tontarella - suppongo di essere d'accordo con te.
in effetti, non è certo considerato un "genere nobile". di fatto, qui da noi -non so altrove quindi non mi pronuncio- si tende addirittura a non ritenere il fantasy "letteratura". lo si sminuisce abbassandolo al livello di "prodotto d'evasione", quasi come lo può essere la settimana enigmistica o un libro di barzellette. i più gentili, lo definiscono "letteratura d'evasione", come se invece altri generi letterari, come la poesia e altri tipi di romanzi non siano alla fin fine letteratura d'evasione.
voglio dire: un romanzo come "io uccido", che non è etichettato come d'evasione, quale altro ruolo più nobile avrebbe mai che il fantasy non ha?
per quanto mi riguarda tutta la letteratura che non abbia fini didattici o espositivi -come saggi, manuali, ecc.- è d'evasione. ma "evasione" è comunque una parola da prendere con le pinze, perchè si tende a sottovalutare troppo l'arricchimento morale o intellettuale, i valori, che anche questo tipo di libri può regalare. in fondo, tutti noi possiamo affermare di avere imparato qualcosa dal nostro romanzo preferito.
in italia il fantasy è un genere di nicchia, ma non solo quello. è tutta la letteratura che è di nicchia. van più di moda i libi dei politici e quelli dei calciatori-barzellettieri, o i romanzi tratti dalle fiction, il resto fa da contorno. la realtà è che in italia meno di pochissimi leggono qualcosa che non sia una rivista di gossip o un quotidiano sportivo.
suppongo sia per questo motivo che allegano libri ed enciclopedie alle riviste: per far sapere ai clienti abituali che esistono altre categorie di testi scritti per essere letti, non solo per fare mole sulle librerie per sfoggiare una parvenza di cultura tutta da dimostrare.
È quello che dici tu, ma non solo... con percezione del mercato non intendevo solo il considerare il fantasy come qualcosa di minore, o d'evasione (termine che trovo anche io discutibile), ma anche una più generale considerazione sul rapporto vendite e qualità percepita del prodotto, vendite e qualità del consumatore e di come questo si rifletta sulle scelte editoriali.
Provo a spiegarmi meglio, facevo il paragone con il Canada perché a differenza di quello statunitese è un mercato più piccolo e simile al nostro (anche se in realtà bisonga tenere conto che case come la Bantam vendono su più mercati al contempo). Il punto è che qui c'è una rappresentanza di moltissimi autori e stili che non necessariamente vendono tanto quanto un Paolini, ma gli editori non si focalizzano solo sul prodotto che vende molto e quindi alla fine ogni genere o gusto risulta rappresentato. In Italia invece c'è una focalizzazione molto specifica di target e genere. Il mio sospetto è che a volte gli editori, soprattutto i più grossi, facciano l'errata proporzione prodotto che vende molto sta a prodotto che piace molto come prodotto che vende poco sta a prodotto che piace poco, questa è un'equazione molto pericolosa perché se sul breve periodo i dati possono dargli ragione, sul lungo periodo ammazzano una vasta schiera di lettori che non si sentono rappresentati (oltre che, dettaglio non da trascurare, la qualità del genere letterario...).
Tornando quindi al Canada mi chiedo, perché ci sono 17 scaffali di scifi e fantasy (di cui Erikson in fondo occupa uno spazietto misero rispetto a un brooks o a un Jordan) e in italia solo un paio, nonstante il mercato sia numericamente non così dissimile? La risposta che mi do è che mentre gli editori stranieri hanno capito che va premiata la differenziazione, i nostrani forse non se ne rendono conto (magari sbaglio eh?) e puntano tutto su determinati pacchetti vincenti focalizzando quindi il mercato.
Se così non fosse non riuscirei a spiegarmi molti fattori del panorama italiano, tra cui la crescita (fantasy) che stanno avendo molte realtà come la flaccovio, la curcio, o la asengard che stanno appunto uscendo da quegli schemi di cui parlavo sopra. E il fatto che sempre più spesso si leggano in rete pareri distruttivi su romanzi che in fondo, in un mercato ben differenziato sarebbero persino più apprezzati perché non vituperixzzati da chi non s sente rappresentato.
un paio di scaffali fantasy? ehm, dove abiti che mi trasferisco dalle tue parti?
alla feltrinelli e alla rizzoli di salerno -le uniche librerie fino a napoli -
lo scaffale del fantasy è solo uno, e pure diviso con i fumetti e i romanzi in lingua madre!
cosa oltremodo vergognosa: la fantascienza è completamente assente dagli scaffali! se un cliente dovesse convincersi che gli unici generi esistenti sono quelli esposti, la fantascienza non esisterebbe affatto! :
3 dico 3 scaffali e anche più, invece sono zeppi di libri di satira politica e robaccia simile...
concorquoto!
ma, c'è anche da considerare che evidentemente nei paesi anglofoni c'è più richiesta di questi generi, e c'è anche più produzione. laggiù fantasy e fantascienza sono radicate nella loro cultura, noi siamo ancora portati a concepirli come 'esotismi letterai'; il fantasy non ha mai fatto parte della nostra produzione letteraria. quindi, è anche una questione culturale.
per questo motivo, unito al fatto che la produzione di questi generi è maggiore all'estero, risulta più difficoltoso o rischioso per un editore puntare su questi libri. in molti casi ho addirittura letto che acquisire i diritti d'autore di certe opere fy e sf è talmente difficile o costoso da scoraggiare gli editori. considerando la media dei guadagni degli scrittori e degli editori negli USA, ci credo eccome.
penso che l'unico modo di legittimare questi generi nella nostra società sia una massiccia opera 'educativa' e informativa, e il desiderio di rischiare da parte delle case editrici. c'è anche da dire che in generale le case editrici hanno vita breve in italia, perchè difficilmente le grandissime case concedono sufficiente spazio vitale alle piccole, che si ritrovano a contendersi le briciole.
alla feltrinelli di padova ci sono un paio di scaffali di fantasy e scifi (non due scaffali solo di fantasy... magari...) anche se ultimamente sono stati invasi dai vampiri
premesso che concordo sia sul discorso culturale, sia sul discoso rischio e difficoltà (e aggiungerei ancora una certa esterofilia del lettore medio) ogni tanto però devo ammettere che ho l'impressione che questa visione del fantasy in italia stia diventando più un preconcetto che altro, qualcosa che sta lentamente svanendo ma a cui molti si aggrappano ancora magari anche per le scelte editoriali: per esempio guardiamo al successo che hanno avuto la Flaccovio e la Curcio e alla crescita della Asengard, cosa sarebbero stati i libri che hano pubblicato magari in mano a una mondadori con distribuzione mondadori/feltrinelli? Sicuri che non ci sia davvero margine per pubblicare opere diverse dal cliché: giovane autore autrice prodigio con fantasy semplice e scorrevole? Ovviamente potrei sbagliarmi, non sono l'editore, non conosco bene il mercato, non ho idea reale delle cifre, eppure covo il sospetto che la formuletta andasse bene, ma solo fino a qualche anno fa, ora dovrebbero puntare sulla varietà, altrimenti davvero faccio fatica a capire perché così tanti editori piccoli medi stanno avendo successo.
Se qualcuno ripassa da queste parti, due anni dopo che si sono calmate le acque, mi permetto di proporre le mie riflessioni in merito alla proposta di Gianfranco Viviani: provare a rileggere le vecchie glorie (Elric, in questo caso) e vedere se sono ancora all'altezza.
Se avete un quarto d'ora da spendere sul mio blog l'articolo (diviso in due parti) inizia qui
http://mondifantastici.blogspot.com/2011/05/elric-nel-ventunesimo-secolo-1.html
e finisce qui:
http://mondifantastici.blogspot.com/2011/05/elric-nel-ventunesimo-secolo-2.html
Grazie per l'eventuale interessamento!
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