Puoi dirci “chi è” Valeria Galassi? Dove sei nata, dove vivi, e cosa fai oltre a tradurre romanzi?
Sono nata, ma soltanto nata, a Bologna, da genitori romagnoli che negli anni Settanta si trasferirono nelle Marche per lavoro. E ho frequentato le medie e il liceo ad Ancona, città dove trascorro ancora oggi gran parte dell’estate. Nel resto dell’anno invece vivo per lo più a Milano. Ma ho abitato per periodi lunghi o brevi anche in altre città: Trieste, Lussemburgo, Torino. Attualmente mi occupo solo di editoria: traduzioni soprattutto, e poi consulenze, letture, di recente anche una revisione.
Come traduttrice, come organizzi la tua giornata lavorativa?
Dipende dalle scadenze, in questo mestiere non ci sono orari fissi, almeno per quanto mi riguarda. Se la data di consegna è vicina, mi è capitato di lavorare anche 10 ore al giorno per un mese o due di fila, scordandomi completamente i week-end . E’ successo ad esempio con l’ultimo libro della Gabaldon che ho tradotto, The Fiery Cross (in italiano come sempre diviso in due volumi, La croce di fuoco e Vessilli di guerra). E spesso mi capita di dover recuperare durante il fine settimana, dato che non sono un tipo molto mattiniero. Il vantaggio è che, a parte questi periodi intensi, posso gestire il mio tempo con relativa libertà.
Quali sono stati i tuoi esordi come traduttrice?
Ho cominciato con una casa editrice medio-piccola, l’Armenia, che fra le altre cose pubblicava romanzi fantasy. E infatti è mia la traduzione del primissimo romanzo di R.A. Salvatore, (un autore che i lettori di questa rivista conosceranno bene): Le lande di ghiaccio, che continua tuttora a essere ristampato. Uscì nel lontano 1991, quando ero ancora alle prime armi (fu il mio secondo romanzo), perciò temo che contenga qualche ingenuità. Ad esempio non avevo idea di cosa fosse un halfling, che tradussi con “nanerottolo”. (Nelle edizioni successive lo hanno corretto). A parte qualche romanzo, agli inizi mi sono “fatta le ossa” con molta varia, saggistica divulgativa, ecc.
Partiamo dall’assegnazione di una traduzione. Come avviene? Quali sono le fasi preliminari?
Quasi sempre sono gli editori a propormi un libro, magari perché ne ho tradotti altri simili, o perché mi ritengono “adatta” a quello stile o a quella storia. Il re del mondo, biografia di Cassius Clay-Muhammad Alì scritta da David Remnick, illustre giornalista e direttore del New Yorker, mi venne affidato da Feltrinelli perché l’editor sapeva che avevo scritto la tesi di laurea su un’autrice afroamericana. Il criterio nell’assegnazione di una traduzione dipende insomma da vari fattori. Solo in un caso ho tradotto un testo proposto da me: si tratta di un autore inglese, John Galsworthy, premio Nobel per la letteratura nel 1931 e noto al grande pubblico soprattutto per La saga dei Forsyte. Attualmente sto curando un’antologia di suoi racconti per la casa editrice Pequod. Dovrebbe uscire tra qualche mese.
Una volta che ti viene affidato un romanzo da tradurre, come ti prepari alla traduzione? Cerchi di leggere quante più opere possibile dell’autore, per interiorizzarne lo stile e il lessico? Qual è, di solito, la prima preoccupazione?
Dipende dal tipo di testo. Per la biografia di cui sopra lessi un paio di libri che parlavano di
quel periodo, in particolare l’autobiografia di Malcom X, contemporaneo e amico di Alì. In quel caso conoscere in modo capillare le problematiche sociali dell’epoca era molto importante. Per Galsworthy ho letto un bellissimo saggio di Mario Domenichelli, uno studioso di letteratura inglese che lo ha analizzato a fondo, in maniera davvero illuminante. Per la Gabaldon invece non ho sentito il bisogno di letture preliminari, le ricerche storiche le ho svolte man mano che traducevo. Se traduco narrativa di intrattenimento il mio approccio è piuttosto istintivo, quasi “rabdomantico”, anche se ovviamente ogni scelta linguistica è frutto di un’attenta riflessione. Il problema principale, nella traduzione di romanzi, è mantenere nella mia lingua il ritmo, l’atmosfera che sento nell’originale, e ciò avviene solo “calandocisi dentro” per poi ricreare tutta una serie di delicati equilibri. Basta una frase sbagliata per rompere l’incantesimo, secondo me. E quanto più il libro è lungo, tanto più è difficile mantenere questa uniformità.
Sei stata la prima a tradurre un romanzo antesignano del “fantasy romantico”, il primo volume della serie di Diana Gabaldon, La Straniera. Come è stato il tuo approccio al genere?
Mi è sembrata semplicemente una storia che andava tradotta con attenzione perché era “intrigante”, ben scritta, e quindi poteva riscuotere successo. In realtà i libri della Gabaldon non mi sembrano propriamente dei fantasy, a parte l’elemento del viaggio nel tempo. Certo, è l’elemento chiave su cui si basa l’intera vicenda, ma per il resto i fatti storici sono ricostruiti accuratamente, così come sono avvenuti nella realtà. L’aspetto che sin dall’inizio mi ha colpito è stato lo stile umoristico dell’autrice: è come se non si prendesse mai del tutto sul serio, il che conferisce leggerezza alla storia senza però toglierle credibilità. Sono romanzi in cui si ride parecchio, e naturalmente la prima a ridere sono stata io, traducendoli. Quanto al coté romantico, so che i lettori maschi ne sono un po’ spaventati, ma non mi sembra preponderante rispetto a quello avventuroso: è solo uno dei tanti ingredienti che compongono questi romanzi.
6 commenti
Aggiungi un commentoE' questo lo scopo dell'intervista... Stai sintonizzato... Altre interviste simili arriveranno presto..
ciao
Grazie, ho visto la news anche nell'altro 3d, certo che sono un po' scatenati (compresa la collega), ma il mondo è bello perchè...
Bella intervista sì e che apre un fronte interessante!
Copio e incollo letteralmente dall'intervista:"A volte mi è capitato di tradurre libri di autori, in qualche caso anche di una certa fama, che scrivevano davvero male, e lì sì che ho “tradito” a tutto spiano! Non mi sono posta il problema della fedeltà, se non altro perché tradendoli sentivo di fare loro un favore! E a quel punto il traduttore svolge anche un lavoro di editing, come al solito nell’ombra…"
D'accordo su molte cose, ma oserei dire che questa è la frase che mi ha dato più fastidio di tutta l'intervista... nessuno dice che autori famosi scrivano bene per diritto di cronaca(anzi), ma caspita, dire che 'travisando un po'' un testo che a lei non piaceva ha fatto un 'favore' all'autore mi pare un filo troppo : , come dire, presuntuoso : anche prendendo la cosa in senso buono. Piccolo esempio: ho letto un lavoro(che ritengo bellissimo) di Robin Hobb in lingua originale e in italiano. la traduzione it era ben fatta e tanti complimenti... ma l'ho letto anche in tedesco e qui se avessi conosciuto solo quella lingua avrei odiato quest'autrice; forse, azzardo, al traduttore non piaceva il testo e ha fatto qualche passo di troppo nel 'migliorarlo'? sono d'accordo che si tenga lo spirito del libro e si spostino le cose se necessario, ma la domanda scomoda che voglio fare a chi passa sdi qui è, in sostanza: come decide un traduttore chi scrive bene e chi male? non si scivola un po' troppo sul gusto personale, così?
Sono affascinata.... sono una grande appassionata di fantasy, e provo un forte fascino per l'arte della traduzione...
Ma questa intervista manca di sottolineare quale sia il percorso necessario a diventare una traduttrice. Bastasse davvero presentarsi ad una casa editrice e dire "eccomi qui, so l'inglese ed il giapponese, ecco le mie credenziali, mettetemi alla prova affidandomi una traduzione".... allora avrei già trovato lavoro.
difficile fare il traduttore perché è difficile essere nella testa dell'autore... diciamo che il traduttore può dare un'interpretazione di un testo. più o meno come un attore che interpreta una parte... se l'attore è bravo e il testo vale allora forse sarà un successo
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID