Aldani e Piegai operano in una tradizione diversa dalla matrice cavalleresca sviluppata dagli epigoni di Tolkien. Piuttosto, siamo nei dintorni del filone della sword & sorcery e della heroic fantasy – che nasce con Robert E. Howard e si consolida con Fritz Leiber e L. Sprague De Camp. Gli scenari sono talvolta a metà fra il Medioevo e l’antichità, spesso almeno in parte urbani, sempre con la presenza del soprannaturale, con una struttura sociale presentata a tutto tondo, non necessariamente “dall’alto”, e in genere non-gerarchici nell’essenza ultima: nel conflitto fra umano e metafisico, l’esito non è scontato.
Nella variante di Aldani e Piegai, abbiamo una fantasia eroica senza eroe, in un simil-Medioevo sostanzialmente rurale. Il protagonista è adolescente ma Nel segno della luna bianca è un romanzo mirato chiaramente a un lettore adulto. Classicamente, la storia del ragazzo è una vicenda di crescita e di ricerca, in cui il perseguimento dell’autoconsapevolezza personale si unisce a quello della verità sulla natura del mondo. A colpire fu allora il realismo dello sfondo, con una prosa sobria anche se molto del tono è fiabesco: un romanzo, non un mito o un’epopea, in cui spicca l’elemento visuale. Attraverso gli occhi del protagonista Gavor, anche il lettore impara gradualmente a “vedere” il suo mondo, magico ma non idealizzato.
In un’intervista del 2004, Aldani disse a Giuseppe Lippi di aver voluto scrivere “un fantasy dichiaratamente di sinistra”, e che alcuni ne furono scioccati. Forse lo saranno meno, ora, i lettori che conoscono la tradizione che passa per Michael Moorcock, e arriva a Samuel R. Delany e China Miéville. Ma rileggendolo oggi, rimane soprattutto in mente il fatto di un romanzo che in meno di duecento pagine riesce a dare il dettagliatissimo spaccato di una società articolata. Intorno al protagonista, una pluralità di personaggi di contorno fungono da sfondo, uomini e donne. Mercanti e artigiani, contadini e allevatori, soldati e mercenari, briganti e prostitute, sono ancora più rilevanti per l’intreccio dei lontani, opprimenti signori e sacerdoti. Accanto a una fauna aliena e sotto un cielo diverso dal nostro, si dipana un’avventura che comprende una memorabile storia d’amore con una bella maga. Lo scioglimento richiama un’allusione a universi paralleli un po’ alla De Camp. Come sempre, Aldani giocava con i limiti dei generi letterari, anche scrivendo (con grandissimo mestiere) quella che resta un’ottima storia avventurosa. Difficile immaginarla tradotta in film, ma un Miyazaki italiano, se mai nascesse, troverebbe materiale succulento in Nel segno della luna bianca.
Partita dalla fantascienza, da quel momento in poi Daniela Piegai si sarebbe spostata sempre più verso una fantasy personalissima. Da un lato, abbiamo storie fiabesche come i racconti della Lunigiana pubblicati in Nova SF Perseo n. 8 (1986); dall’altra un romanzo come Il mondo non è nostro (La Tartaruga, 1989), col suo sfondo surreale, non pienamente giustificato dall’accenno ad anomalie temporali (che pone quel mondo fuori dal tempo), un po’ come La fortezza dei tartari di Dino Buzzati, ma con un linguaggio scabro, realistico. Potremmo dire che proprio grazie alla collaborazione con Aldani, i suoi due registri raggiungono un equilibrio. Sarebbe bello ritrovarlo più spesso negli
autori odierni.
A rendere la Luna di Aldani e Piegai una pietra miliare nello sviluppo della fantasy italiana è proprio la costruzione del mondo. Per quanto eterodosso, forse per la prima volta un romanzo italiano poneva al centro quell’impegno narrativo: una parabola libertaria sul potere e sul raggiungimento dell’età adulta basata sulla presentazione di un universo fantastico, in cui il livello metaforico-conoscitivo non cancella il piacere di quello letterale.
Le origini della Fantasy Italiana
Non vorremmo perdere l’occasione per due note sull’emergere di questo genere in Italia. Come ricorda anche la recente raccolta di articoli di Gianfranco de Turris, Cronache del fantastico (Roma, Coniglio, 2009), molte delle radici della letteratura fantastica italiana hanno più a che fare con il gotico che non con quanto oggi chiamiamo fantasy. In molti dei precursori, per quanto straordinari, troviamo proprio la riluttanza a prendere sul serio quel mondo possibile (il mondo secondario, per dirla con Tolkien). Nel testo fondante, Il segreto del Bosco Vecchio di Dino Buzzati (1935), il finale in effetti sanciva l’obsolescenza del mondo fantastico: la fine dell’infanzia, per Buzzati, era la fine della fantasia. Un altro filone era più vicino al realismo magico, trovando nel passato (medievale o antico) una poeticità e una pienezza perduta, in cui il confronto col presente era in vario modo esplicito; un gioco narrativo che mantiene le proprie carte (l’immagine non è casuale) scoperte in ogni istante, che rende impossibile l’immersione nel mondo di fantasia: pensiamo a Italo Calvino (Il visconte dimezzato, 1952; Il cavaliere inesistente, 1959; Il castello dei destini incrociati, 1969-73) o a Giuseppe Bonaviri (La divina foresta, 1969). Ricordiamo poi almeno Il pianeta irritabile di Paolo Volponi (1978), romanzo post-catastrofe in cui i protagonisti sono animali parlanti.
14 commenti
Aggiungi un commentoMi pare si parli di me. ops:
Purtroppo, in questi giorni per brutti motivi personali ho poco tempo per approfondire, e devo dedicare alla rete solo letture veloci, e gli argomenti e gli interessi sono tanti, troppi.
Allora non dovrei neanche intervenire, mi si potrebbe rispondere.
Vero. In realta' il mio intento non era commentare l'articolo, criticarlo, o criticare Aldani come autore. Il mio intervento intendeva essere centrato solo sul romanzo.
Volevo solo portare la mia testimonianza di persona che a suo tempo lo ha letto.
Che trova ingiusto bollarlo come "brutto", ma al tempo stesso non lo ritiene neppure un punto di riferimento, ma un romanzo nel complesso scorrevole pero' piuttosto leggero, almeno nel mio ricordo.
Se ho dato l'impressione di voler sentenziare sul un articolo letto di sfuggita, me ne scuso. Ma, appunto, non era questa l'intenzione, solo rispondere piu' che altro al primo commento, quello di Rakanius.
Abbiamo chiarito? A questo punto non mi pare.
Quei fatti non erano privati, per il semplice fatto che ne hanno fatto una questione pubblica e generale, sfruttando perfino internet. E, peggio ancora, sono stati reiterati.
A questo punto posso dirti che, invece, mi sembra molto comodo chiudere il tutto con "una questione di carattere" (forse perché la pelle non era le tua, e il nome e il cognome nemmeno). In ogni caso, nel rispetto della tua opinione, dissento in toto.
Diverso il discorso sull'articolo che parla esclusivamente di Aldani, cosa su cui invece concordo. (Ma ho già chiarito che non mi riferivo a lui.)
Come ti ho già scritto, non sono più il tipo che porge l'altra guancia. Se qualcuno dovesse chiedere scusa, per fatti oggettivi (che volendo possono anche essere ripescati), quello non sono io.
Nessuna voglia di polemiche, ma non le mando a dire e non mi nascondo dietro un dito, Emanuele. Se la replica pubblica è questa, allora mi piace che sia chiaro come la penso, di fronte a tutti.
Uhm, mi sa che c'è un misunderstanding
Il mio discorso sul MedFantasy non ha nulla contro il mercato, anzi. Io sono per la qualità piacevole da leggere. L'occhio, l'arecchia e lu nasu, agli umori generali del gusto dei lettori, io ce li tengo e penso che sia nella natura del Fantasy, per come è, per come è nato, cercare un punto d'incontro.
Che in Italia i primi sperimentatori (ora obliati) abbiano, invece, spinto verso una divaricazione fra contenuto, qualità letteraria e popolarità intesa come "ammasso", mi sembra da un lato davvero tipico di una nazione provincialottissima, da un altro una distorisione delle funzioni di un genere.
Io sono anglosassone di mentalità, è conoscendo la storia del Fantasy, per come è nato, che parlo di MedFantasy, che deve certo ancora manifestarsi appieno, deve ancora provare quel che può fare, ma l'idea è creare storie che siano piacevoli da leggere (e che non facciano la lezioncina moralenggiante, non in modo palese e scoperto - come mi è apparso, sbagliando magari, che l'Aldani abbia fatto).
Lo so, non esprimo mai tutto quel che intendo in una volta, so' difetti 'o so'!
Non si parla di comodità. La mia faccia e il mio nome lo metto ogni giorno qui come in tante cose. I pesci in faccia si prendono per il semplice fatto di esporsi. Da quel poco che ho capito di questo "mestiere", e correggimi se sbaglio, quando scriviamo anche se attaccano noi con il nostro nome, quelle che riceviamo sono critiche a quanto scriviamo, all'immagine di noi che traspare dagli scritti, non alla nostra persona. I fatti li ho compresi così. Non pensare che le abbia sottovalutate perchè non sono riferite a me. Se hai ricevuto insulti personali hai tutta la mia solidarietà. Se hai ricevuto critiche agli scritti pure, ma quelle ahimè, le considero legittime anche quando non ci piacciono, anche quando sono veementi, purchè non offensive della persona. Sono stato messo in croce anche qui per quanto scrivo. Ma continuerò a scrivere finchè l'editore mi darà fiducia, che credo sia condivisa dai lettori.
Allora siamo sulla stessa linea.
Non ci siamo intesi, però: furono insulti alla mia persona, interpretazioni denigratorie delle mie parole e perfino dei miei silenzi. Reiterati nel tempo e sempre immancabilmente rivolti alla mia persona (anche perché i miei scritti, per carità con tutto il diritto, tali persone non li hanno letti o, se lo hanno fatto, non ne hanno mai dato prova).
Chiudo qui e mi scuso con tutti, anche con te, Emanuele, per questo OT.
Non ho ancora imparato a tacere in certe occasioni. Scuse sincere.
Sarà che fa ancora male? Può essere, ma non mi fa onore. So cosa dovrei fare, una volta per tutte, per chiudere la questione in modo consono. Magari un giorno ne avrò il coraggio.
Passo e chiudo.
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