Quello di Death Note è un fenomeno davvero bizzarro. Fenomeno culturale e mediatico di cui si contano pochi precedenti di medesimo successo. Una serie a fumetti diventata in poco tempo un best seller planetario, una popolare serie animata, tre film live-action, e recentemente anche un videogame e un gioco di carte, per non parlare dell’industria dei gadget, come il famigerato "quaderno della morte". Mentre su MTV si conclude l’anime, la Planet Manga dopo quattro ristampe della prima edizione, sta per completare la collana in versione Gold, ed è legittimo pensare che conclusa quella ne vedremo presto un’altra.
All’origine di tutto c’è Death Note, un manga di genere fantastico creato dalla fantomatica sceneggiatrice Tsugumi Ohba (di lei non si sa nulla, e qualcuno dubita persino che sia una donna) e dal disegnatore Takeshi Obata, che ha riscosso un grande consenso di critica e di pubblico a livello internazionale. Al centro del racconto agisce Light Yagami, giovane e brillante studente giapponese che entra casualmente in possesso del quaderno della morte perso da uno Shinigami, una divinità preposta a mietere le vite dei mortali. Infatti nell’immaginario giapponese, la Morte non è vista come un’entità individuale, ma esistono tanti spiriti incaricati di amministrare il trapasso degli esseri umani. E’ sufficiente scrivere nel quaderno il nome di qualcuno conoscendone l’aspetto e il gioco è fatto. Il malcapitato muore nelle modalità esatte descritte dal possessore del quaderno.
Lo spunto non sarebbe esattamente nuovo. Un sorprendente precursore può essere individuato in La macchina ammazzacattivi, film del 1952 che Roberto Rossellini trasse da un racconto di Eduardo De Filippo. Una vicenda che ha in comune con Death Note i binari di partenza su cui la vicenda si svilupperà. In quel caso avevamo un’antica macchina fotografica che effettuando un secondo scatto a vecchie foto uccideva all’istante l’individuo che vi era ritratto, inducendolo ad assumere nella morte la posizione della foto originale. L’idea di un potere di vita e di morte, che trasforma inevitabilmente chi lo possiede in un giustiziere o in un mostro pluriomicida, quindi è un archetipo abbastanza rodato. Tuttavia, quando si tratta di raccontare, spesso quel che conta è la forma più che la sostanza. E Tsugumi Ohba, in Death Note, dimostra che l’iniziale spunto fantastico non esprime il vero potenziale della storia che aveva in mente.
Death Note parte dai medesimi presupposti del film di Rossellini, ma devia subito dagli sviluppi più prevedibili. Light non è interessato a compiere alcuna vendetta personale, ma vede nel quaderno uno strumento per consacrare definitivamente la propria superiorità intellettuale. Inizierà a uccidere i criminali impuniti in modo metodico con lo scopo di instaurare un controllo occulto della società, e plasmare così un mondo di pace e giustizia governato magicamente col terrore. Ma la vera storia raccontata dal manga è un’altra. Fulcro della vicenda è il duello psicologico tra Light e L, misterioso investigatore (che ha molto in comune con Sherlock Holmes per capacità deduttiva) incaricato di individuare Kira, come è stato chiamato dalla stampa il temibile assassino astrale.
Accostandosi alla lettura di Death Note e lasciandosi prendere dalla suspance che sprigiona, viene in mente un elemento base del metodo Stanislavskij, descritto nel suo celebre Il lavoro dell’attore. E cioè che ogni regista, ogni interprete, davanti a un testo drammatico, per comprenderlo e dargli vita sulla scena, dovrebbe porsi sempre la stessa domanda: qual è l’evento principale della storia senza il quale il dramma non si compirebbe? Nel caso di Death Note sarebbe facile rispondere che questo elemento consiste nel quaderno della morte e nel fatto che un essere umano ne sia entrato in possesso. Ma procedendo nella lettura ci si accorge che non è proprio così. Il vero spettacolo portato in scena da questo manga affonda le sue radici in altre forze narrative. Quel che fa battere il cuore del racconto non è tanto l’esistenza del quaderno incantato, quanto il fatto che questo sia finito nelle mani di una mente machiavellica come quella di Light Yagami.
Questo è il grande mistero del successo di Death Note. Un manga che sembra piacere a un pubblico eterogeneo e di età differenti, ma che presenta caratteristiche che normalmente lo avrebbero fatto classificare come un prodotto di nicchia. La qualità del racconto è innegabile, così come i disegni. La stranezza (dal punto di vista sociologico) consiste proprio nella progressione della trama, che potrebbe sembrare indigesta per il vasto pubblico dei lettori di fumetti. L’intera saga, infatti, è la cronaca dettagliata di una partita a scacchi tra due menti diaboliche. Ogni angolatura è osservata dal punto di vista dei due contendenti, ogni mossa studiata, la reazione e l’eventuale intuizione del nemico ponderata. L’avventura di Death Note si svolge, insomma, nelle menti dei due protagonisti, e seguire ogni loro ragionamento richiede una discreta dose di attenzione. Evidentemente, il racconto fantastico-investigativo riesce a comunicare emozioni a più livelli, affascinando sensibilità diverse.
Il discorso è simile per la serie animata. Tanto fedele al fumetto da assomigliare a una sorta di audiolibro che segue pedissequamente ogni ragionamento dei geniali duellanti. I tre film live, tutti inediti in Italia, hanno avuto un discreto successo in Giappone pur prendendosi qualche libertà rispetto all’intreccio del manga. I primi due, entrambi diretti da Shusuke Kaneko, sono un dittico che si propone con una discreta efficacia di portare in scena i personaggi del fumetto riproponendone le pose e i vezzi visti nelle pagine del manga. Particolarmente riuscita è la realizzazione degli spettrali Shinigami, molto vicini al look grafico ideato da Takeshi Obata. Il terzo titolo, L change the worLd, di Hideo Naklata, è invece un prequel dedicato all’investigatore L e alle sue precedenti avventure. Inoltre, Hollywood ha già in cantiere una versione americana della storia del quaderno mortale, e com’era prevedibile è iniziata tra i fans la caccia all’interprete ideale per Light. Insomma, il successo di Death Note non sembra destinato a estinguersi tanto presto. Tra ristampe, spin off, cinema e videogames, il mondo pacifico (ma totalitario) sognato da Light forse non si sarà avverato. Ma tutti, e non solo in Giappone, oggi conoscono il nome di Kira. E a loro modo, nella sua malvagità, sono in tanti ad amarlo.
4 commenti
Aggiungi un commento"iniziata tra i fans la caccia all’interprete ideale per Light" Io trovo più interessante L, magari Jonny Deep?
Com'è che il thread associato a una recensione è finito in questo canale? : :
Non è la prima volta, credo sia un problema tecnico
Spostato in sezione appropriata.
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