Chi è Filippo Messina?
Filippo Messina è una creatura mitologica. Diciamo che in certi momenti mi piace pensare a me stesso in questi termini. Un eterno ragazzo nato negli anni sessanta, diplomato al Liceo Artistico di Palermo e subito sedotto dal teatro per cui ha scritto parecchio e realizzato più spettacoli, tra cui due in collaborazione con la band Agricantus. Ho scritto parecchia narrativa senza trovare veri sbocchi. Poi è iniziata l’avventura del giornalismo, il laboratorio di Scienze della Formazione e il lavoro presso il notiziario di un’emittente locale. Ma la vita mi ha portato ad assomigliare a un camaleonte. Così sono finito a guadagnarmi da vivere in una fumetteria. Ed è lì che il primo amore, il fumetto, ha avuto un prepotente ritorno di fiamma.
C'è una specificità palermitana del fare fumetto?
A mio parere no. Almeno non ancora. Esistono dei talenti emergenti che stanno definendo la loro personalità proprio in questi anni seguendo sensibilità eterogenee. A Palermo troviamo una manciata di autori completi, nel senso che delle loro opere curano sia testi che disegni, e un discreto numero di disegnatori e sceneggiatori. Soprattutto i primi sono in crescita, rivelando anche doti di tutto rispetto. Le direzioni prese da questi artisti sono le più varie, influenzate dalle più disparate griglie commerciali. Quello che temo, e che mi sembra di riconoscere nel panorama attuale, è un appiattimento sull’immagine a discapito dei contenuti. Mi piacerebbe incontrare più gente che scrive. E che lo faccia con idee valide e rispetto della lingua.
Quali sono le tue passioni fumettistiche principali?
Sono un lettore onnivoro, per i fumetti come per i libri. Mi divido tra l’evasione pura, da me
identificata col fumetto supereroistico in generale, e gli esperimenti di narrativa disegnata. Per me il massimo del piacere è la sintesi di queste due forme. L’intrattenimento, suscitato da un racconto accattivante, e il tentativo di produrre vera arte, rappresentato dal livello di profondità che il singolo autore riesce a infondere al suo lavoro travalicando le classificazioni. Se parliamo di musica, un buon esempio sarebbe Il Flauto Magico di Mozart. Nasceva come Singspiel, cioè un antenato dell’operetta, ma è la qualità della musica mozartiana a sdoganarlo oltre il suo genere di origine. Io ritengo che la lettura di un fumetto, oggi, dovrebbe spiazzare il lettore. E non parlo di inutili provocazioni, ormai stucchevoli quanto il buonismo di altri tempi. Parlo di una trasgressione a quelle regole di mercato che finiscono col metterci in mano letture sempre più prevedibili. Quando l’autore può permettersi di disattendere certe norme e seguire liberamente il proprio estro, le probabilità di leggere qualcosa di valido aumentano. Così come si assottigliano i confini tra letteratura e fumetto. E’ anche vero che questo è possibile trovarlo per lo più in realtà underground, dove chi scrive e disegna può sentirsi relativamente libero dai canoni dell’editoria ufficiale. Si pensi a Peter Bagee, l’autore di Hate. Così grande e così poco noto in Italia.
Quali sono gli autori che più ti hanno ispirato, sia nella scrittura che nel disegno?
Visti i miei precedenti, la risposta non può essere lineare. Io penso che nei fumetti sceneggiati da me si possa riconoscere una forte influenza del mio passato teatrale. I dialoghi hanno una dinamica da palcoscenico. I caratteri dei personaggi prendono forma attraverso le parole che usano e il tutto segue un ritmo da commedia. In Chiron, la serie a cui sto attualmente lavorando, riconosco molte influenze da teatro dell’assurdo. Sul versante fumettistico, invece, devo molto a Chris Claremont nel suo periodo d’oro sugli “X-Men”. Le trame labirintiche, i misteri che si intrecciano e il generale tono da serial televisivo è senz’altro riconducibile a questo autore britannico. Ma sempre filtrato da un linguaggio da pièce teatrale. Non è un caso se volendo dare a un personaggio chiave della saga il volto di un attore, non ho guardato a
Hollywood come si fa di solito. Ma al teatro siciliano, e all’attore-scrittore Davide Enia, interprete di Maggio ‘43 e I capitoli dell’infanzia. Personaggio con un look distante anni luce dagli stereotipi che ben conosciamo. Per quanto riguarda il disegno il discorso è ancora più strano. Io tendo a dire che, pur essendo in possesso della maturità artistica, non so veramente disegnare. Io pasticcio, e cito manierismi di disegnatori disparati, alcuni molto celebri. Per esempio, certi personaggi femminili di Chiron hanno adottato le spigolosità delle donne di Jack Kirby. Altre il profilo ironicamente dark del nostro Magnus. Diciamo che graficamente rigurgito un po’ tutto quello di cui mi sono strafogato nel corso degli anni. Mi sento dire spesso che i miei fumetti sembrano disegnati da mani diverse. E la ragione è questa. I medici del Chiron Center direbbero che soffro della “sindrome di Zelig”. Mimo le attitudini altrui e muto continuamente.
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