Tematiche e stile

Hastur Lord (2010)
Hastur Lord (2010)

Nel corso di una carriera ampia e ricca di pubblicazioni è normale che tematiche e stile evolvano assieme all’autore. Marion Zimmer Bradley ne è un esempio davvero lampante. I primi libri che dette alle stampe, se paragonati a quelli della maturità – basti pensare a L’Erede di Hastur (1975), La Torre Proibita (1978) o Le Nebbie di Avalon (1983) che sono fra i suoi capolavori –, presentano una certa ingenuità nell’elaborazione della trama dovuta anche, c’è da sottolinearlo, a ciò che negli anni ’50 o ’60 si richiedeva al genere in questione. Romanzi brevi, storie veloci e meno strutturate che intrattenessero il lettore, meglio se a puntate.

Ma il potenziale c’era già tutto. Basti leggere il primo racconto dell’autrice, il già citato Innesto Centauriano. Qui, tematiche come lo scambio e l’indefinitezza dell’identità della protagonista, la maternità, il ruolo della donna nella realtà degli eventi (tutti temi che ritroveremo nei decenni a seguire, e sempre più eviscerati a fondo) caratterizzano senza ombra di dubbio anche gli esordi della Zimmer Bradley. «I miei entusiasmi attuali, a parte la lirica, vanno ai diritti degli omosessuali e ai diritti delle donne: penso che la liberazione della donna, e non l’esplorazione dello spazio, sia il grande avvenimento del ventesimo secolo. Il primo rappresenta un grande mutamento nella coscienza dell’umanità; il secondo è soltanto prevedibile tecnologia, e la tecnologia mi annoia.»

L’autrice dei romanzi di Avalon e Darkover era già tutta qui, in potenza. Aspettava solo l’occasione per affermare le sue idee trasformandole, per scelta, in narrativa fantastica. Scelta che la stessa autrice, più volte, rimarcò per lei come l’unica possibile: «Per il meglio e per il peggio, altro non sono che una scrittrice, e non mi perdo più in spiegazioni o scuse. Preferisco la fantascienza a ogni tipo di letteratura e di scrittura: e alle persone che mi chiedono perché non legga (o non scriva) libri normali, rispondo che non riesco a vedere come il contenuto della narrativa normale – romanzi di spionaggio, corruzione politica, adulteri nei sobborghi – possa competere con la narrativa la cui unica raison d’être è di occuparsi del futuro della razza umana.»

Ciò che resta invariato è invece la capacità di immergersi nella psicologia dei personaggi di cui andava a narrarci le gesta; cifra stilistica che è quasi un marchio di fabbrica dell’autrice. La sicurezza con cui Marion Zimmer Bradley tratteggiava caratteri complessi in dialoghi realistici, e personalità non ovvie a confronto, è ben presente fin da questo racconto d’esordio: il tutto coronato da uno stile immediato, di facile lettura ma non privo di un certo qual gusto per un linguaggio anche complesso, ricco, ma mai ostico. Un gusto per il dettaglio in nessun caso pedante e che non sfocia in pagine e pagine di descrizioni, proprio perché il riflettore nei libri della Zimmer Bradley è sempre puntato sulle vicende emotive e personali dei suoi personaggi.

L’evoluzione delle personalità, la loro crescita, il crollo delle certezze, il dubbio esistenziale, il desiderio di rivalsa, di vivere e di combattere per uno scopo alto (un ideale, e non certo la conquista di un regno) erano le aspirazioni dell’autrice. Tutta la sua narrativa ruota attorno a questo concetto. E a volte, in quelle rare occasioni in cui provò a distaccarsene, non risultò così incisiva agli occhi dei critici o dei lettori. Dunque, Marion Zimmer Bradley era questo: un forte impulso ideologico, tradotto in storie avvincenti.  Un impulso che ha dato i suoi frutti nel corso dei decenni, dando corpo e anima a decine e decine di autori nati sotto il suo ascendente.

E se dovessimo scegliere una sola frase di Marion Zimmer Bradley, la più significativa, quella maggiormente adatta a riassumere le tematiche e la poetica dell'autrice, facendo un po' ciò che lei stessa consigliava per scovare un buon racconto fra tanti (e cioè essere in grado di riassumerlo in una riga), sceglieremmo senza dubbio questa: «Con il nostro pensiero noi creiamo giorno per giorno il mondo che ci circonda.» I suoi libri, tutti, non sono altro che questo.

L'eredità

Sword & Sorceress 24 (2009)
Sword & Sorceress 24 (2009)

Un po’ di nomi: Laurell K. Hamilton, Diana L. Paxson, Deborah J. Ross, Vera Nazarian, Mercedes R. Lackey, Elisabeth Waters, Jennifer Roberson, Charles de Lint, Tanya Huff, Emma Bull, Marian Allen, Rosemary Edghill, Dave Smeds, Margaret L. Carter, Anodea Judith, Cynthia McQuillin, Jonathan Moeller, Stephanie Shaver, Susan Shwartz, Laura J Underwood, Dorothy J. Heydt, Rachel E. Holmen, Lawrence Schimel e molti, molti altri ancora.

Questi sono solo un rapido estratto degli oltre cento autori scoperti nell’arco della sua carriera dall’editor Marion Zimmer Bradley, in circa trent’anni votati alla lettura di manoscritti inediti, racconti di esordienti e, spesso, la lettura di romanzi capostipiti poi di saghe di successo. Questa, auspicava la stessa autrice in più prefazioni, doveva essere la sua eredità. Non tanto i suoi libri che, per sua stessa ammissione, potevano pure venire dimenticati, ma non certo la sua attività di talent-scout nel campo del fantastico. 

Una ricerca continua e altruistica del senso del meraviglioso che travalica la propria immaginazione e che va oltre quello che, a volte, può essere il freddo e solitario rapporto che un autore ha col foglio bianco: una ricerca che, vogliamo crederlo, ha fatto scuola anche dopo la sua morte, e che continua a farla tuttora.

«Nonostante i mucchi di scartafacci senza valore che devo sorbirmi, non ho mai perduto il mio sense of wonder, ed è per questo che continuo a fare questo lavoro e che continuerò a farlo, finché la gente continuerà ad acquistare libri, e i miei occhi resisteranno. Lo faccio anche per onorare la memoria di Don Wollheim, che prima di lasciarci è stato uno dei nostri maggiori scopritori di talenti. La lista dei nomi che ha fatto conoscere al pubblico e portato al successo riempirebbe un’altra pagina ed esaurirebbe la vostra pazienza.»

«Ed è così che voglio essere ricordata. Anche se i romanzi scritti da me finiranno per essere dimenticati, mi piacerebbe pensare che sarò ricordata come una curatrice di collane che amava trovare nuovi talenti. E che, come John Campbell o Don Wollheim, ne ha scoperti tanti.»

Ed è così che, infine, vogliamo ricordarla anche noi.