La conclusione di una storia è fondamentale. Se le ultime pagine di un romanzo o, come in questo caso, il volume conclusivo di una saga, sono appassionanti e ben scritte, tutta l’opera ne risulta illuminata. In caso contrario anche quanto di buono visto in precedenza perde parte del suo splendore e lascia il lettore deluso e disorientato.
Purtroppo con la lettura di La nuova regina è stata la seconda ipotesi a verificarsi. Se nei precedenti romanzi della sua Saga dei regni delle spine e delle ossa Greg Keyes sembrava essere riuscito a costruire un mondo coerente, e a narrare una storia coinvolgente incentrata su personaggi vivi e affascinanti, qui l’intreccio diventa eccessivamente complicato. Situazioni ribaltate in modi a volte troppo repentini per essere credibili, personaggi che mutano improvvisamente il loro modo di operare senza che ne venga fornita una valida giustificazione e colpi di scena che si susseguono uno dopo l’altro più per il gusto di sorprendere che per una reale necessità di trama rendono il romanzo inferiore alle aspettative.
Negli ultimi anni la fantasy è cambiata, tanto nelle storie dagli intrecci estremamente complicati quanto nei suoi protagonisti. Dai personaggi costretti a compiere scelte che non vorrebbero di Robert Jordan alle figure tormentate di David Gemmell e alle infinite sfumature di grigio di George R.R. Martin, il confine fra il bene e il male è diventato sempre più labile. La vittoria, se c’è, viene pagata a duro prezzo, e ben pochi escono dai drammatici avvenimenti che vivono senza venirne enormemente cambiati, spesso contro la loro stessa volontà.
Keyes percorre questa stessa strada proponendo scelte difficili, a volte devastanti, ai suoi protagonisti. Solo che in alcuni casi esagera, finendo per trasformarli in macchiette più che in persone reali, o snaturando completamente quanto da loro fatto fino a quel momento.
La storia di Stephen, per esempio, trova uno sbocco certamente a effetto, ma che lascia molti dubbi sia su cosa sia avvenuto in alcune scene un po’ troppo oscure sia sulla validità della sua conclusione. Se fin qui l’evoluzione del personaggio, progressivamente maturato attraverso tutte le traversie subite era stata interessante, all’improvviso tutto viene ribaltato e la figura che emerge da uno dei passaggi chiave del romanzo ha ben poco a che vedere con quella di prima.
Ancora peggiore è la metamorfosi di Anne, che diviene totalmente irriconoscibile. Troppo potente e disumana nelle ultime pagine, al punto da far apparire inutili e senza senso le peripezie dei romanzi precedenti. Se la conclusione della sua storia doveva essere questa, che bisogno c’era di farle subire tante traversie?
La trama che riguarda Muriele lascia completamente insoddisfatti. Dominata da una sensazione di non finito e d’inutilità, serve semplicemente a inserire un nuovo elemento per il quale, peraltro, non è stata fatta abbastanza preparazione. Il nuovo personaggio sorprende, anche se un piccolo accenno era già stato fatto in passato, ma non convince. E il suo duplice rapporto con Anne appare un po’ troppo forzato.
Uno dei cattivi della situazione, Robert, tanto potente e maligno nei precedenti volumi, qui è quasi assente. In un’occasione ancora riesce a dimostrare la sua crudeltà, ma alla fine scompare con una facilità eccessiva rispetto alla sua presunta invulnerabilità.
Il destino di Winna, mai troppo ben caratterizzata neanche in passato, fa addirittura sorgere dubbi sulla costruzione del mondo, dal Re degli alberi ai sefry e alle creature che animano Crotheny e le terre circostanti. Nemmeno la presenza di Aspar riesce a migliorare la situazione, e il ruolo e le decisioni di Fend non fanno che alimentare i dubbi.
La stessa sensazione che ci sia qualcosa di sbagliato riguarda un po’ tutti, dal praifec Hespero al compositore Leoff e alla giovane Ausra. E il continuo porre i personaggi in estremo pericolo, salvo poi salvarli tranquillamente all’inizio del successivo capitolo a loro dedicato – capitolo che non è mai il diretto seguito del precedente, in modo da mantenere la suspance più a lungo – a volte con espedienti da deus ex machina, rende la costruzione della storia ripetitiva quanto inverosimile.
Il ribaltamento di prospettiva riguarda talmente tanti eventi, talmente tante figure, da risultare sconcertante. Anche perché viene effettuato più volte sugli stessi personaggi o sugli stessi eventi.
Chi è buono e chi è cattivo? Chi è potente e chi non lo è? Per cosa lottano i protagonisti? Forse nemmeno lo stesso Keyes lo sa. L’impressione è che nella storia ci siano troppi elementi non ben legati fra loro, come se fosse mancata una valida pianificazione iniziale.
L’autore stesso ha affermato che la figura di Aspar è diventata più importante rispetto alle sue intenzioni iniziali, ma forse anche altri elementi gli hanno preso la mano, rendendo la trama una matassa troppo difficile da sbrogliare.
Quanto al mondo stesso, a fine saga non si riesce più a capire come sia costituito. Fra skasloi, Re degli alberi, Giullare Nero, Strega di Sarn e Cavaliere sanguinario diventa difficile comprendere quale sia il reale pericolo da eliminare, e cosa stia effettivamente distruggendo il mondo stesso.
E dettagli come le antiche lingue alla fine appaiono nulla più che elementi di contorno, inutili per la trama e usati semplicemente per mostrare l’abilità dell’autore nell’arricchire la sua costruzione di dettagli di colore. Certo, sono anche questi elementi a rendere un mondo più realistico, ma a volte l’insistenza di Keyes sull’uso di parole dal suono strano finisce semplicemente per rallentare la lettura.
In definitiva, si tratta di una ben povera conclusione per quella che nei volumi precedenti era sembrata una delle saghe più interessanti degli ultimi anni. Peccato.
8 commenti
Aggiungi un commentoIl primo mi era piaciuto molto, pur se conteneva alcuni dettagli che non mi convincevano del tutto. Ma gli avevo concesso il beneficio del dubbio: più volte mi è capitato di leggere storie che sembravano "deboli" su qualche elemento per scoprire poi nel volume successivo che non avevo dato il giusto peso a qualcos'altro, o che un personaggio aveva mentito su un elemento chiave, o che comunque le cose non erano proprio com'erano apparse in un primo momento.
Nel secondo romanzo aveva risolto i miei dubbi, ed è stato quello che mi è piaciuto di più. Nel terzo qualche dubbio era tornato, insieme a una lieve insoddisfazione per alcuni elementi della trama. Ma ero ancora molto fiduciosa per il futuro, malgrado il fatto di aver visto recensioni negative su amazon. Anche per il 10° Jordan ho visto più recensioni negative che positive, ma a me il libro è piaciuto davvero, forse anche perché l'ho letto sapendo a cosa andavo incontro. Non avevo determinate aspettative, quindi non sono rimasta delusa.
Questo romanzo invece mi ha delusa parecchio. Ho faticato a terminarlo, più volte mi sono ritrovata a dire "ma doveva proprio far accadere anche questa cosa qua?". Non è un bel segno. Anche se l'ultimo Eddings è peggio, lì non si salva proprio niente.
Il quel caso mi ero fermata al primo volume...
Un'impressione che ho avuto anche io, sommata a quella di un Keyes frettoloso e smanioso di dare una conclusione alla saga premendo un po' troppo sull'acceleratore, sottovalutando l'impatto sull'atmosfera e sulla caratterizzazione, più scialba rispetto ai volumi precedenti; la stessa protagonista è forse quella che ne ha risentito di più.
Ecco... ho aspettato quattro anni che Keyes finisse la saga per cominciarla... e adesso mi dite ciò???
Lo sapevo...
Di Marco mi è piaciuta solo la prima parte del primo volume. Ho finito a forza il secondo dandogli un'altra possibilità.
Per il terzo, ne ho rimandato la lettura a una data da destinarsi... tendente a +infinito.
C'è un motivo per il quale aspetto a leggere le saghe...
Io non sono rimasto particolarmente colpito dal primo volume. L'ho letto d'un fiato perché indubbiamente scorrevole e piacevole, ma non ha catturato in pieno la mia attenzione, soprattutto a livello di caratterizzazione. Troppo 'delicata'.
Il secondo e il terzo migliorano da questo punto di vista, lasciando emergere nuove, interessanti personalità (Leoff) ed esaltando i lati più oscuri di altri protagonisti.
Il quarto, che avrebbe dovuto concretizzare il lavoro dell'autore per chiudere degnamente una serie di porte aperte, non riesce a decollare per il verso giusto, quasi più interessato a incasinare ulteriormente la situazione che non a quadrare il cerchio.
Una saga che si legge con gusto, questo sicuramente, ma alla quale è mancato il carattere di stare in piedi fino alla fine con le proprie gambe.
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