Mar dei Caraibi, Anno Domini 1683.
Veracruz, la Villa Rica degli Spagnoli dove i tesori della Nuova Spagna prendono la via di Siviglia, è ritenuta imprendibile.
Torri e fortilizi la difendono a terra mentre uomini e cannoni vigilano sul mare, perché il pericolo di una flotta corsara all’orizzonte è sempre presente.
Eppure non sono solo le ricchezze e l’odio verso gli spagnoli a spingere il tetro Cavaliere de Grammont, ammiraglio della Filibusta, al saccheggio della città: la sua ossessione è salvare la giovane sorella Claire, imprigionata dall’Inquisizione nella fortezza di San Juan de Ulùa.
Un piano folle - disapprovato anche dalla Francia, sotto la cui corona i pirati affermano di militare - fatto di scontri all’ultimo sangue fra mari cristallini e paludi malsane, che coinvolge tutti i Fratelli della Costa e i loro capitani oltre ogni limite di crudeltà e desiderio di bottino.
Tuttavia, la distruzione di Veracruz, quasi una novella Cartagine dopo il passaggio dell’orda piratesca, è solo l’inizio di una lenta ma inarrestabile trasformazione e di un inevitabile declino.
Prequel di Tortuga e sviluppato dal racconto I Fratelli della Costa apparso nella raccolta Anime Nere (2007) curata da Alan D. Altieri, Veracruz è un romanzo d’azione e d’avventura, in cui l’avventura è spogliata da ogni connotato positivo associabile al termine e le azioni sono del tipo da togliere il sonno agli animi più sensibili.
I pirati di Valerio Evangelisti rappresentano un’alternativa imprevista e brutale ai viaggi della fantasia salgariani, agli edulcorati romanticismi di un certo tipo di cinema, nonché a una visione più sentimentale che associa pirateria e velleità libertarie.
Se il corsaro è erede di una neonata società dove gli antichi vincoli vengono spezzati, questo nuovo mondo non ha un buon odore, come dice uno dei protagonisti del romanzo.
I Fratelli della Costa hanno un coraggio e uno sprezzo del pericolo degni dei modelli più classici, ma l’autore li tiene accuratamente lontani dalla figura di eroi.
Lottano per avidità e lussuria, non per la propria terra; non assalgono gli invasori cattivi per senso di giustizia ma perché sono più cattivi di loro; non salvano le fanciulle in pericolo ma di solito le stuprano.
Tutto questo viene accettato e condiviso dall’ufficiale Hubert Macary - sul quale il narratore piazza il punto di vista - spietato quanto ogni fratello della costa, la cui piccola grandezza si può riassumere nel motto “credere, obbedire e uccidere”.
Macary ama l’equilibrio di una vita fatta di ordini che vanno dal banale al disumano, nella quale l’elemento destabilizzante non è la coscienza ma l’iniziativa imprevista: preferisce il cupo ma “ordinato” Grammont al pirotecnico Lorencillo e non si accorge di essere un semplice strumento nelle mani della donna che ha acceso la sua passione: anche con lei “esegue ordini”.
Il romanzo offre anche un intreccio sottile di veleni e disperata astuzia da parte della bellissima e misteriosa Gabrièla e, al di là di plateali scenari di battaglia e della forza bruta tutta maschile, i personaggi che reggono le fila della storia sono proprio due donne, una dal suo letto di morte, l’altra che cerca di sopravvivere sfruttando le armi in suo possesso: intelligenza, ma soprattutto seduzione.
Veracruz è una storia violenta con sesso e sangue in abbondanza, forse meno sorprendente del precedente Tortuga (tortura oggi, tortura domani, per quanto fantasiosi i sistemi poi sono sempre quelli) ma dotata di una compostezza nel fraseggio che frena un attimo prima dello splatter.
Un certo eccesso è semmai nella continua supremazia dei filibustieri sugli spagnoli, veri modelli d’incapacità totale (per non dire idiozia), in mare in terra e in ogni situazione intermedia. Possibile che questi sfortunatissimi sudditi di un impero dove non tramonta mai il sole non vincano mai?
Leggermente incoerente anche la scelta finale della femme- fatale: dotata di una forza d’animo straordinaria e di un potere indiscutibile su ogni uomo che incontra, sceglie un destino drastico che somiglia troppo a una resa. Ma forse il motivo verrà spiegato nel terzo volume della serie, il futuro Cartagena.
Nel complesso, sebbene manchi quell’impronta così fantastica e aliena propria di altre opere di Evangelisti, in Veracruz è comunque sempre presente l’attenzione dell’autore nei confronti di certe realtà socio- politiche molto attuali, attraverso la narrazione di un passato trasponibile nel presente: il desiderio del tutto e subito a qualunque costo e a qualunque prezzo in termini di sangue, vite e integrità morale.
La Jolie Rouge con il suo teschio e tibie umane è ben lungi dall’essere stata abbassata, oggi come ieri.
6 commenti
Aggiungi un commentodevo ancora leggere Tortuga (ma è già sul mio comodino in attesa che finisca l'ottimo "Altai" ma questa recensione non fa altro che alimentare il mio desiderio. Mi fa piacere trovare dei punti critici in quanto hai scritto, contribuiscono ad aumentare ancora i meriti che hai elencato.
Questo è un libro che di fantastico non ha nulla, a differenza di altri scritti da VE, ma FM, nelle categorie dei libri recensiti, ha spazio anche per quelli storici e di avventura. Sarebbe bello, IMHO, sfruttarli di più, sopratutto per quanto riguarda autori italiani.
Secondo me Evangelisti merita SEMPRE una lettura. Ci sono libri più nelle mie corde, altri meno, ma leggerli è sempre un arricchimento.
Anche per il lettori fantasy più settari: il fantasy esiste nella maggior parte dei suoi libri, e imo è trattato con un tocco innovativo sorprendente.
Non è che sia proprio nichilista, solo focalizza un certo aspetto del comportamento umano destinato a ripetersi, per una sorta di "ferinità" tipica dell'uomo, imho.
Beh,
quando avrò avuto modo di leggerlo ne potremo riparlare!
(Chissà quando )
Finalmente trovo il tempo di commentare la tua recensione Cris.
Veracruz è un bel romanzo, se non fosse già stato scritto prima Tortuga!
Francamento ho trovato troppi punti in comune tra le trame dei due libri: in entrambi c'è una città da saccheggiare, un "amore" impossibile guidato più dagli impulsi carnali che dai sentimenti, con il capitano della filibusta che incombe come rivale...insomma, il senso di questo romanzo si riduce alle ultime pagine, dove si riallaccia a Tortuga dando un senso (non ancora definitivo) a certe cose. Però un po' più di fantasia nella trama non avrebbe guastato, visto anche il fatto che il protagonista di Veracruz risulta più piatto e meno articolato di quello di Tortuga.
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