Una delle cose che più mi colpì di Picatrix, sesto volume della saga Eymerichiana, fu quanto Miryam fosse capace di riflettere sulla complessità delle proprie (e altrui) motivazioni, mentre Eymerich restava completamente cieco anche alla più evidente delle verità su se stesso. È una costante nei romanzi di Valerio Evangelisti: le donne dei suoi libri in fatto di consapevolezza sono di solito talmente avanti agli uomini da essere quasi su un altro gradino evolutivo.
Infatti i suoi personaggi, pur muovendosi tutti sullo scenario storico in cui si trovano, lo fanno in maniera molto diversa: quelli maschili vi restano come inchiodati, incardinati in modo quasi deterministico, scorrono sui loro binari come pezzi di un ingranaggio. Quelli femminili invece sono capaci di librarsi al di sopra di esso, e vederlo in una prospettiva diversa. Cosa esplicitata in modo addirittura letterale nel romanzo Il Castello di Eymerich: Miryam/Leonor sorvola lo scenario della battaglia di Montiel, salvando così Eymerich dal disastroso crollo (anche psichico) che l’avrebbe travolto. Solo l'incontro col Femminile, fisico e metafisico, consente a Eymerich di sganciarsi per un attimo dal suo binario di morte, e sopravvivere alla catastrofe.
Anche quando sono fisicamente in catene, le donne dei romanzi di Evangelisti sono mentalmente e spiritualmente libere, molto più dei loro ottusi carcerieri, e li guardano quindi da una prospettiva diversa. A volte in modo compassionevole, a volte beffardo, ma sempre maggiormente consapevole. Cosa che spaventa gli uomini, li porta a bollarle come streghe, puttane, dark lady, e a cercare di dominarle spesso con la ferina brutalità che s’accompagna alla cieca ignoranza. Le donne paiono così essere gli unici esseri umani completi, ''interi'', autocoscienti, dotati sia del coraggio di agire, che dell’astuzia di attendere, sia di forza che di sensibilità, mentre i personaggi maschili risultano tutti in qualche modo scissi e/o ''mutilati'' di una parte fondamentale della loro umanità, e perlopiù incapaci di qualsiasi autocoscienza.
I romanzi di Evangelisti hanno in genere almeno tre piani di lettura: narrativo, sociopolitico, e cosmologico, che s’intersecano, e possono essere “risaliti”come gradini d’un percorso di autocoscienza, individuale, e collettivo. I personaggi femminili.sono la chiave di volta di questa architettura, la pietra filosofale, l'elemento che innesca la trasformazione alchemica.
Le donne sono infatti la cosa che Eymerich teme più di qualsiasi demone, il loro sguardo consapevole che potrebbe dissolvere il suo mondo allucinatorio.
Anche il sacrificio finale di Gabriela, protagonista del recente Veracruz, è frutto di questa maggiore consapevolezza. Quasi come l’ultima homo sapiens rimasta in un mondo di esseri de-evoluti allo stadio di homo lupus, Gabriela è l'unica in grado di elaborare una strategia comportamentale che vada al di là del sistema binario saccheggia-distruggi; è l'unica capace di concepire una forma di metafisica più complessa della superstizione; è l'unica capace di provare autentica, altruistica empatia, e in definitiva, l’unica capace di prospettiva. Il suo sacrificio finale infatti non è semplice estremo altruismo, è un passare il testimone a chi, come sappiamo da Tortuga, potrà raggiungere la libertà. È un gesto lungimirante, di valenza politica.
La vittoria di Reina sarà anche la sua.
2 commenti
Aggiungi un commentoInteressante argomento di discussione, ma, nell'intervista recente pubblicata qui su FM, Evangelisti spiega chiaramente il ruolo delle donne nei suoi libri.
Si possono dire tante cose, ma sta di fatto che le donne in Eymerich finiscono male quasi sempre tutte, che siano consapevoli o meno.
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