L'uccisione di Khubaba, il signore della foresta dei cedri

Gilgamesh e Endiku contro Khubaba
Gilgamesh e Endiku contro Khubaba

Gilgamesh vuole compiere una grande impresa per conseguire l’immortalità, così propone a Enkidu di affrontare Khubaba, il signore della foresta dei cedri, “iil cui grido è diluvio, il cui soffio è fuoco, il cui respiro è morte”.

Segue un dibattito nella città, dove, evidentemente, il sovrano non ha i poteri assoluti. Il consiglio degli anziani, appoggiato anche da Enkidu, disapprova l’impresa, ma il consiglio dei giovani invece la sostiene. Alla fine anche gli anziani danno il loro consenso e gli artigiani di Uruk forgiano le armi per la missione: spade e pesanti asce bipenne.

I due consigli rappresentano l’organizzazione politica sumera, dove il re non è sovrano assoluto, come il faraone egiziano e i re assiri, babilonesi e persiani successivi, ma deve ottenere l’approvazione dei due Consigli. Quello degli anziani, ristretto ai sacerdoti e agli aristocratici, è il più importante e viene convocato regolarmente. Quello dei giovani, probabilmente allargato ad ogni strato sociale della città, interviene solo quando c’è conflitto fra Re e Consiglio degli anziani, come nella situazione descritta nel poema.

La madre. Rimat-Ninsun, è angosciata della partenza del figlio e prega Shamash, dio del sole, di proteggerlo. Poi esorta Enkidu ad aver cura di Gilgamesh ed Enkidu promette di fare l'impossibile per riportare Gilgamesh a Uruk.

I due eroi si mettono in viaggio. Ogni sera eseguono un sacrificio al dio Shamash, consacrandogli il luogo dove bivaccano, che diventa quindi idoneo al rito della ‘incubazione’. Ogni volta il dio manda loro un demone incantatore che fa sognare Gilgamesh e conferisce a Enkidu i poteri di interprete. I sogni di Gilgamesh sono paurosi: nel primo una montagna precipita sugli eroi; nel secondo ancora una montagna afferra Gilgamesh per i piedi ma un giovane bellissimo lo libera; nel terzo è travolto da una tempesta di fulmini; il quarto sogno è andato perduto e nel quinto un toro lo travolge. Ogni volta Enkidu li interpreta come segnali di buon auspicio, assicuranti la benevolenza del loro dio protettore. Il dio li protegge effettivamente, e durante la lotta con il mostro della montagna dei cedri scatena tredici venti che immobilizzano Khubaba, così i due eroi riescono a sopraffarlo. Il mostro chiede pietà offrendo gli alberi della foresta per arredare la reggia di Uruk e altre lusinghe, e Gilgamesh è disposto a concedergli la vita, ma Enkidu lo mette in guardia e lo convince a uccidere la creatura. Poi i giganteschi cedri della sacra foresta vengono tagliati e portati a Uruk.

In questa fase Gilgamesh appare incerto ed è Enkidu la chiave di volta di ogni situazione. Prima incoraggia l’amico, turbato dai sogni, poi lo sostiene durante la lotta, quando Gilgamesh sembra propenso a rinunciare, infine lo mette in guardia dalle lusinghe di Khubaba. In chiave psicanalitica Enkidu rappresenta la forza dell’istinto che in Gilgamesh le buone maniere hanno rimosso. Anche il viaggio verso la foresta dei cedri rappresenta il percorso iniziatico verso il maschile, che comincia con il distacco dalla madre (come succederà poi ad Achille e a Parsifal): la dea-giovenca Ninsun, nel resto del poema non sarà più presente.