Fiume Mississippi, anno 1857: l’età d’oro dei battelli a vapore prima del loro declino traumatico a causa della Guerra di Secessione.
Abner Marsh, schietto e rude capitano, è rovinato. Una serie di eventi sfortunati ha causato il tracollo della sua compagnia di navigazione, e per lui, vero “lupo di fiume”, l’incredibile proposta ricevuta dallo sconosciuto gentlemen inglese Joshua York è di quelle che non si possono rifiutare: un nuovo splendido battello, il più veloce di tutti.
Ma c’è qualcosa che il pallido e raffinato socio chiede in cambio: la discrezione assoluta su alcune particolari abitudini sue e dei suoi ospiti, nonché l’obbedienza totale a eventuali improvvise “decisioni”.
Abner Marsh accetta e pochi mesi dopo sul Big River compare il Fevre Dream, con la sua stazza imponente e le diciotto caldaie, gli intarsi preziosi dei ponti, i cristalli e i velluti del salone, le grandie ruote a pale che divorano il fiume come mai si era visto.
Il viaggio comincia, nel caldo opprimente di un luglio torrido, sulle acque torbide e spesso insidiose tra St. Lewis e New Orleans.
Tuttavia, man mano che il battello discende verso le paludi della Louisiana, la soddisfazione del capitano Marsh comincia a venarsi di un’inquietudine che ben presto si trasforma in ansiosa necessità di spiegazioni. Spiegazioni che si è impegnato a non chiedere, ma che gli strani episodi a bordo, i bisbigli impauriti della ciurma e l’incoerenza di tanti piccoli dettagli rendono necessarie.
C’è un motivo se Joshua York esce dalla cabina solo al calar del sole, se sorseggia uno strano liquore rosso che nemmeno il corpulento Abner - gran bevitore e ottima forchetta - riesce a ingurgitare, e se i suoi cosiddetti “affari notturni” coincidono con delitti orribili fra le baracche e i sobborghi lungo il fiume.
Nello scenario crepuscolare di un mondo ancora ignaro del proprio tramonto, una razza parallela a quella umana forse sta per estinguersi, perché la sua superiorità è anche una debolezza: la “mandria” di cui si nutre ha imparato a difendersi.
Al capitano, abituato ad affrontare faccia a faccia i brutali imprevisti della vita fluviale, i conti devono tornare: avrà le risposte che desidera e anche molto di più, ma dovrà decidere da che parte stare, perché “per tutti arriva il momento di fare una scelta.”
E forse non tutti i vampiri sono uguali…
Qualcuno ha definito Il Battello del Delirio un incrocio fra Bram Stoker e Mark Twain, ovvero una storia steamboat in salsa vampirica, tuttavia il debito verso questi due autori è rimborsato con gli interessi.
Nel romanzo ci sono i vampiri e c’è il fiume, ma anche molto di più: come il racconto The Skin Trade (sui lupi mannari) questo excursus di George R.R.Martin nel genere horror rispetta molti dei canoni classici, ma li coniuga con la capacità - tipica dell’autore - di evocare storie dove l’atmosfera coinvolge in modo inesorabile, i personaggi hanno uno spessore caratteristico e la trama risvolti inattesi.
Martin riesce a dipingere una tela in cui le descrizioni particolareggiate di navi, piloti e commerci su fiume sono parte integrante di una storia con grande forza romantica, che mostra anche gli aspetti critici di schiavitù, razzismo e violenza tra le piantagioni del Sud, le ombre degli angiporti e i palazzi opulenti di New Orleans.
Al centro di tutto c’è “il vampiro secondo Martin”, diverso dai parenti del Vecchio Mondo anche se da esso proviene, e tipicamente Americano: non è una progenie dell’incubo e simbolo del male come il Mr. Barlow di Stephen King, né una delle creature languide e malsane di Anne Rice, ma una figura concreta di origine quasi darwiniana, capace di generare personalità e psicologie diversificate: questo archetipo di ataviche paure costituisce una realtà più complessa rispetto al tradizionale e monolitico succhiatore di sangue, ed è comunque capace di mordere e fare paura.
Il Battello del Delirio racconta una grande avventura romantica e dark nei colori del tramonto: che si tratti degli ultimi vampiri, o di pianeti morenti o del lungo declino della cavalleria, Martin è un artista che offre il meglio di sè quando celebra una fine, con l'accortezza di non promettere una facile rinascita.
1 commenti
Aggiungi un commentoMolto invitante questa rece! Il Martin autoconclusivo e prima maniera, mi sono fatto oramai convinto, è più succulento dell'infinito sbrodolamento della Canzone del Ghiaccio e del Fuoco (che forse ha stufato lo stesso autore, chi lo sa).
Cioé di un Martin pre-mestiere da sceneggiatore, o comunque, ove questo non viene messo in pratica.
ah che bello! Sto per finire con la tesi e Tante Belle Lettura mi Aspettano!
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