In anteprima per i lettori di FantasyMagazine il primo capitolo dell'Ultimo istante di Charlaine Harris, debutto dell'Odissea Streghe, nuova collana di urban fantasy della Delos.
Lo sceriffo non gradiva affatto la mia presenza, e questo mi portò a domandarmi chi si fosse preso la briga di chiedermi di venire a Sarne. Doveva trattarsi di qualcuno dei civili imbarazzati che si trovavano nel suo ufficio, tutti ben vestiti e ben nutriti, chiaramente abituati a diffondere autorità intorno a loro. Li passai in rassegna uno dopo l’altro. Lo sceriffo Harvey Branscom aveva il viso rosso e rugoso con dei baffoni bianchi divisi in due e capelli tagliati quasi a zero dello stesso colore. Doveva avere almeno cinquantacinque anni, forse più. Con indosso una divisa attillata color cachi, sedeva sulla sedia girevole dietro la scrivania. Appariva disgustato. L’uomo in piedi alla sua destra era più giovane di almeno dieci anni, aveva la carnagione più scura ed era molto più magro, con il volto affilato e ben rasato. Si chiamava Paul Edwards e faceva avvocato.
La donna con cui discuteva, assai più giovane e con i capelli biondi perfettamente curati, era Sybil Teague. Era vedova. Mio fratello aveva scoperto, grazie a qualche ricerca, che aveva ereditato una bella fetta della cittadina di Sarne. Accanto a lei c’era un altro uomo, Terence Vale, dal viso rotondo sovrastato da pochi capelli sottili privi di colore, occhialini tondi e un cartellino di riconoscimento appuntato sul petto. Quando era entrato, si era scusato per il ritardo, dicendo che era stato trattenuto in Comune per una riunione pubblica. Sul cartellino c’era scritto:
«Salve! Sono TERRY, il SINDACO».
Dal momento che il sindaco Vale e lo sceriffo Branscom si dimostravano poco contenti della mia presenza, ipotizzai che la chiamata dovesse provenire dall’avvocato Edwards o dalla vedova Teague.
Spostai gli occhi dall’uno all’altro, poi decisi per la Teague. Incrociai le gambe, sprofondai nella scomoda sedia, dondolai il piede libero e rimasi a osservare la punta del mocassino di pelle nera che si avvicinava sempre più alla scrivania dello sceriffo. I presenti si scambiavano accuse con foga, come se io non fosse presente. Mi chiesi se Tolliver potesse udirli dalla sala d’aspetto.
– Volete discuterne mentre torniamo in albergo? – domandai, inserendomi nello scambio di vedute.
Si fermarono tutti a guardarmi.
– Credo di averla fatta venire qui per un’errata valutazione – disse Branscom. Il tono della voce voleva sembrare cortese, ma l’espressione del viso dichiarava che mi avrebbe preferita da tutt’altra parte. Stringeva i pugni sul piano della scrivania.
– E quale sarebbe quest’errata valutazione? – chiesi, stropicciandomi gli occhi: ero arrivata là direttamente senza alcuna sosta ed ero stanca.
– Terry ci ha leggermente fuorviato riguardo alle sue credenziali.
– Va bene, decidete fra di voi, mentre io vado a fare un sonnellino – risposi, senza ulteriori indugi. Mi tirai su, sentendomi vecchia quanto una quercia, o almeno molto più dei miei ventiquattro anni. – Mi aspetta un altro lavoro ad Ashdown e partirò domani mattina presto, se decidete che la mia presenza sia inutile. Comunque dovrete pagarci le spese del viaggio. Siamo venuti fin qui da Tulsa. Chiedete a mio fratello a quanto ammontano.
Senza attendere che qualcuno parlasse, lasciai l’ufficio di Harvey Branscom e percorsi il corridoio fino alla porta che dava nella sala d’attesa. Ignorai la segretaria che stava dietro il bancone, per quanto mi fissasse con curiosità. Senza dubbio aveva rivolto a Tolliver la stessa attenzione indiscreta, finché non ero arrivata io a catturarne l’interesse.
Tolliver buttò da una parte la vecchia rivista che stava sfogliando e si alzò dalla sedia in finta pelle. Aveva ventisette anni, i baffi toccati da una punta di rosso, per il resto capelli neri come i miei.
– Pronta? – mi chiese. Si accorse subito della mia esasperazione e mi fissò, con le sopracciglia sollevate con fare interrogativo. Era almeno dieci centimetri più alto del mio metro e settantacinque.
Scossi la testa per comunicargli che lo avrei informato in seguito. Tenne aperta la porta a vetri per farmi passare e uscimmo nella notte gelida. Sentivo il freddo fin dentro le ossa. Il sedile della Malibu era sistemato a misura delle mie gambe, visto che ero stata l’ultima a guidarla, così fui io a scivolare dietro il volante.
Il dipartimento di polizia si trovava su un lato della piazza cittadina, davanti al tribunale. Si trattava di un edificio imponente costruito negli anni Venti, il tipo di palazzo ricoperto di marmi e soffitti a cassettoni; per gli standard moderni sarebbe risultato impossibile da riscaldare o rinfrescare, ma nondimeno era impressionante.
I giardini intorno al vecchio edificio erano splendidamente curati, perfino ora che tutto il fogliame veniva meno. C’erano ancora molti turisti a giudicare dai pochi spazi disponibili nei punti migliori del parcheggio della piazza. In quel periodo dell’anno i visitatori di Sarne erano tutti anziani che indossavano scarpe dalla suola di gomma e giacche a vento. Procedevano con andatura prudente e ogni marciapiede da attraversare lo affrontavano con cautela. Anche nella guida dimostravano la medesima tendenza.
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