C’è qualcosa di particolare nelle città, qualcosa che le rende ingressi privilegiati per l’Altrove: antichi mondi scomparsi o realtà future più temute che desiderate ci aspettano appena di là da un angolo, dietro un portone anonimo, sotto una scala in ombra.
Proprio per il loro essere pelle a pelle con l’uomo, esse riescono a rappresentare le sue inquietudini più profonde e oscure.
Il fascino – soprattutto delle dark cities – è innegabile, basti pensare a quanti artisti hanno utilizzato uno scenario urbano scifi, gothic, fantasy, horror.
Nell’ambito dell’attuale tendenza urban fantasy, se non ci fosse stata questa esplorazione della città come entità fantastica, le creature fantastiche sarebbero riuscite a calarsi nelle città?
L’uso del contesto urbano come ambientazione protagonista nasce (e continua a evolversi) nella Science Fiction: Ballard e i suoi incubi di cemento, Dick con le distopie crepuscolari, I. Asimov e la città-pianeta Trantor, le tristissime colonie marziane di Bradbury.
Città come sistemi mutanti che nascono, si sviluppano, si trasformano e si ammalano (le enclaves di William S. Burroughs, le Neo-Tokyo dei manga giapponesi/coreani), gli agglomerati urbani tentacolari e disumani all’apice di un sinistro splendore o sopravvissuti a una qualsiasi apocalisse (la Los Angeles di Blade Runner, la New York di IA dove i grattacieli emergono dalle acque come isole verticali, la cittadina di provincia in Io Sono Leggenda) le città chiuse, le città aperte, le tecno-megalopoli sprawl del cyberpunk (Bay City, BAMA, Chiba City), le città delle stelle o quelle al centro della terra, in ogni possibile variante ma… le città fantasy quando arrivano?
In modo diverso e più disordinato, per vie traverse spesso lontanissime fra loro, a un certo punto un vivaio d’immaginario fantasy urbano germoglia come una serra super alimentata.
Le città della memoria: John R.R.Tolkien
Negli anni cinquanta, viene pubblicato Il Signore degli Anelli: le città di Tolkien sono splendidi esempi germinali ma costituiscono solo un frammento dello sterminato mondo secondario dell’autore, nel quale l’ambientazione non è certo limitata all’ambiente urbano. In ogni caso, esse sono lo spunto per buona parte degli scenari del fantasy a venire.
Minas Tirith con le sue mura perfette come le antiche città medievali, Edoras e il Palazzo d’Oro, appartengono alle montagne e alle colline che le circondano, sono una rappresentazione della nostalgia del passato, delle città di pietra e di uomini dove le macchine non hanno ancora formato lo spazio.
Granburrone e Lothlorien appaiono invece ideali luoghi fatati immersi nella natura, con legni intagliati e statue di pietra, al tempo stesso giardini e musei. E ancora, Khazad–dum scavata nel sottosuolo, Barad – Dur dimora di fuoco e tenebre dell’Oscuro Signore, Osgiliath decaduta e in rovina dopo la Grande Pestilenza portata da oscuri venti dell’est.
Città macchina e città giardino, inattaccabili nella loro perfezione di prototipo, sembrano quelle che Italo Calvino chiama “della memoria”: contengono il loro vissuto “negli spigoli delle vie, nei loro alti bastioni”, sono roccaforti ideali a custodia del fantastico del passato e transito obbligato verso la creatività futura, spogliate nel tempo di marmi e mattoni dalle nuove generazioni di autori.
Martin e Erikson
Senza tutto questo forse non sarebbero esistite le città e fortezze descritte da George R.R.Martin o Steven Erikson, scrittori innovativi dal punto di vista contenutistico ma affezionati comunque ad ambientazioni classiche (per quanto esplosive dal punto di vista della genialità inventiva).
Approdo del Re, la leggendaria Qarth così simile a Costantinopoli, Nido D’Aquila, Castel Granito e Grande Inverno – per citarne solo alcune – rappresentano le possibili varianti di altrettante fortezze appartenenti a un passato parallelo, sebbene distinte tra loro da scenari occidentali o orientali, mura merlate o strapiombi di roccia, fiumi o distese salate, deserti o verdi colline molto english.
Ogni vicenda deve ovviamente avere un ambiente in cui svolgersi, tuttavia Martin e Erikson fanno un uso differente delle loro città: nel primo esse sono “utili”alla narrazione, con la loro architettura, le loro difese e le loro collocazioni geografiche; nel secondo, possiedono una personalità che in qualche modo si intreccia con i protagonisti, vengono vivificate, sembra che soffrano, si corrompano, siano colpevoli quanto coloro che le abitano (o le infestano).
13 commenti
Aggiungi un commentoMolto bello quest'articolo.
Anch'io, come il muspeling, non ho letto alcune delle opere che hai citato. Non mi attraggono molto quelle estreme, alla Campbell, soprattutto perché sono troppo protagoniste. Le città mi piacciono quando diventano co-protagoniste.
Il ciclo di Vance che hai citato, ad esempio, mi manca. E vorrei leggerlo.
Se scriverai altri approfondimenti, su città o altri argomenti, li leggerò molto volentieri.
Complimenti Cris!
Grazie a tutti, davvero ^________^!
Molto interessante!
Brava!
Veramente un bel articolo, meriterebbe un ulteriore approfondimento
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