Nella narrativa fantasy nuovo esordio di uno scrittore italiano che ha tutte le carte in regola per non sfigurare davanti ai tanti autori anglosassoni.
L’autore, Mark Menozzi, da sempre appassionato cultore e inventore di giochi di ruolo, con il romanzo The King. Il re nero ha costruito un fantasy tradizionale che poggia sulla forza del protagonista e dell'universo in cui si muove. Un mondo pensato, immaginato, voluto per 17 anni, in cui convivono arti magiche, sciamanesimo, magia africana e demoni infernali.
Valdar è un mondo nel quale convivono molte razze fra cui gli Elfi dalla lunga vita bravi nell’uso della magia, i Draconi, i Goblin, i Gyksh, i Nani e infine i Warantu che vivono nella regione che da a loro il nome. Questa regione, posta all’estremo sud di Valdar e caratterizzata dalle giungle e dal clima tropicale, è separata dal resto del continente da alte catene montuose. Gli abitanti sono l’unica razza di pelle nera e il protagonista del romanzo è proprio uno di loro: Manatasi, principe delle Quattordici Tribù.
Venuto a conoscenza dell’esistenza della leggendaria città di Kemyss, Manatasi decide di affrontare il lunghissimo viaggio accompagnato dal riluttante Sirasa, suo amico e sciamano. Uno sciamano di soli diciassette anni perchè il maestro che lo stava addestrando è morto anzitempo.
Arrivati alla città, Manatasi salva dal rapimento una donna della sua stessa razza e la figlia di soli tre anni, e con l’irruenza propria della gioventù promette loro protezione e di riportarle entrambe nel Warantu. In questo salvataggio è aiutato da Gulneras, uno shaziro che vuole riscattare le colpe passate del suo popolo indossando il Bracciale della Colpa. Gulneras è abilissimo spadaccino e potente mago, e aiuterà Manatasi in tutte le sue avventure.
Ma nonostante le promesse del giovane principe le cose andranno molto diversamente.
La bambina, Kestel, è dotata dell’Ajran Arcobaleno alla massima potenza, caratteristica che, sfruttata con un appropriato rito, consente di richiamare Olchior, Signore della rocca infernale di Ororor, uno dei demoni più potenti in assoluto. Chi lo comanda è in grado di dominare il mondo.
Ovviamente sono molte le sette e gli evocatori che vogliono avere Kestel in loro potere. Fra questi c'è Egenrauch, che tenterà il rito per conto del Serpente Alato e del Re nero, e che sotto l’aspetto di un possente Warantu cela un Incarnato, cioè la forma materiale di uno spirito malefico.
Non si possono citare tutti i personaggi, le sette, i demoni e gli altri protagonisti che intervengono in un racconto pieno di magia, scontri tra possenti eserciti, tradimenti, assassini e molto altro.
Possiamo solo dire che il lettore seguirà le avventure di Manatasi e di tanti altri personaggi arrivando con rimpianto al termine del volume, e che quanto si vede in quest'opera lascia ben sperare in un seguito.
18 commenti
Aggiungi un commentoMi trovo concorde con Zweilawyer.
Per pigrizia , riporto quanto ho scritto in un altro posto su questo autore.
"Ho letto le pagine che sono in rete. Lo stile è da migliorare: un errore degli esordienti è pensare che più si scrive, migliore è l'opera. Il troppo uso di aggettivi e avverbi appesantisce la lettura, facendole perdere scorrevolezza. Queste sono cose che s'acquisiscono con l'esperienza o con il supporto di persone che l'hanno già raggiunta. In questa prima opera ciò manca; è stato scritto di peggio, ma anche di meglio. Così come il soggetto della trama."
come ho detto, ho letto solo una pagina, quindi, visti anche i rilievi approfonditi sollevati da M.T. (che però non ho capito se li fa sull'intero libro o sull'estratto), mi riservo di tornare sull'argomento appena avrò avuto modo di leggere qualcosina in più e anche il tuo articolo in merito.
Feaccio notare però che non ho detto che il protagonista nero sia una novità assoluta, ma che sia cmq insolito. Molto più spesso, il protagonista di questi fantasy è il classico "bello l'eroe con gli occhi azzurri dritto sopra la nave" di Vecchioniana memoria.
Il che cmq non è di per sé un errore e non è al prima volta che lo sostengo, ma sicuramente impatta sulla freschezza di un'opera, su questo nessun dubbio.
Al momento non ritrovo il link pertanto non ho certezza assoluta, mi riferisco alle prime pagine, mi sembra fossero riferite al primo capitolo.
Grazie per la precisazione, M.T
Ok, ho letto l'intero estratto e anche le obiezioni sul blog di Zweilawyer.
Per prima cosa devo dire che l'estratto mi ha profondamente annoiata, impressione accresciuta dal fatto che spesso i dialoghi menano inutilmente il can per l'aia e appiaiono dispersivi o impacciati. Un'altra cosa che mi ha infastidita è la descrizione dell'organizzazione tribale del protagonista. Ho avuto l'impressione di leggere una concezione presa dai film di Tarzan.Non sono esperta di civiltà tribali africane, da cui evidentemente l'autore ha tratto spunto, ma conosco a memoria Radici, libro dove l'autore ha profuso un sacco di ricerche sulle società dell'epoca di Kunta Kinte, quindi almeno un termine di paragone non hollywoodiano ce l'ho. In base a questo, dubito fortemente che almeno i guerrieri storpi e le vedove possano considerarsi un peso per la comunità. I primi perché cmq i guerrieri sono rispettati in quanto tali e le vedove perché si risposano comodamente. In realtà non sono nemmeno sicura che i vecchi siano considerati un peso, perché in tutte le società primitive sono al voce dell'esperienza. Se mai sono i bambini piccoli a non contare ancora una cippa e le donne in quanto tali, ma non perché eventualmente vedove. Poi,per carità, parliamo di una tribù di fantasia e quindi possono anche valere le regole contrarie, ma questo dà al libro lo stesso sapore dei film western con l'Indiano cattivo cattivo e John Wayne buono buono... Sa un po' di plastica, insomma.
Vengo ai rilievi di Zweilawyer
- questione linguistica delle armi:
non so quasi nulla di armi ma non mi disurba che armi particolari si infilino in un fantasy. Tuttavia ho trovato molto strana la scelta del vocabolo. Perché fino a questo momento, che mi ha portato a consultare il dizionario italiano, per me assegai è sempre stato il nome inglese per ciò che noi chiamiamo zagaglia. Non avevo idea, fino a questo momento, che assegai fosse anche una parola italiana. Ma essendo molto meno usata di zagaglia (infatti non l'ho mai vista in un testo italiano) mi chiedo perché sia stata preferita a quest'ultima
- questione infodump:
ne ho visto solo uno bruttino, quello nel dialogo fra i due elfi sulla Ruota del Fato
Non reputo invece infodump i pezzi retroinformativi che si trovano fuori dai dialoghi, se questi sono usati con moderazione e quindi si limitano a pochi paragrafi, perché narrare una storia senza ricorrere una tantum a questo tipo di infodump, specialmente all'inizio, lo ritengo impresa impossibile, tanto quanto scrivere sempre in modalità show don't tell
-aggettivazione:
ho visto qualche caso, tipo le tenebre notturne, che sicuramente l'editor avrebbe dovuto scorgere, ma non vedo infarciture come le vede Zweilawyer;
ho visto anche qualche scelta errata di tempi verbali, e anche qui l'editor avrebbe dovuto dare una passatina
- ripetizioni di concetti:
concordo sul reprise inutile del sentiero montano. L'autore ci ricasca quando in tre pagine ci dice tre volte che Sirasa odia la strada che gli si apre davanti e una quarta viene ribadita dallo stesso personaggio, Di nuovo, ci sta che l'autore non se ne sia accorto, ma l'editor avrebbe dovuto vederlo
- iper-vastità del paesaggio intoduttivo:
non mi disturba, legittima scelta dell'autore. Se invece, come sostiene un commentatore del blog, nel corso del libro ogni montagna diventa la più alta, ogni valle al più profonda etc allora decisamente c'è un problema
- linguaggio:
non mi disturba che il principe parli con stile aulico, ma mi crea senz'altro perplessità che questo sia il prodotto di una società simile a quelle tribali africane, mentreil tono usato è più vicino a quello del nostro medioevo cortese. Ma forse la cosa che stride di più e che, in quest'estratto parla così solo una volta, mentre poi adotta un tono normale
In conclusone, fantatrash no, ma ci sono aprecchie ingenuità che l'editor avrebbe dovuto sistemare.
concordo a pieno con la critica. C'è già troppa roba che ha questo tono da racconto del liceo. Sarebbe bello se la facessimo finita con questa ondata di spaghetti fantasy, nella quale non mi riesce di individuare un solo scrittore (vero). Non basta inventarsi mondi utopici dettagliati al limite del maniacale, bisogna comunque avere qualcosa di reale da dire (più, magari, un buon gusto letterario). Soprattutto mi stupisco che tanta di questa roba piaccia anche a over 20. Segno che a senso critico siamo messi a zero (la critica poi è da un pò che si limita a fare l'appendice della pubblicità delle case editrici). Da un punto di vista della scrittura sembra che certi periodi debbano essere resi più forti col semplice utilizzo di qualche sostantivo o aggettivo insolito ("uno scrocchio di ossa rotte"....wow!). Siamo alla didascalia ormai e in questo guazzabuglio è difficile capire se c'è qualche autore effettivamente valido.
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