V SECOLO A.C. – LE COLONNE D’ERCOLE
Le colonne d’Ercole sono sconosciute a Omero e Ad Esiodo. Le troviamo nominate per la prima volta da Ecateo di Mileto all’inizio del V secolo a.C., per localizzare i Masieni, abitanti della Spagna Occidentale e, subito dopo, sono cantate da Pindaro come limite invalicabile, fissato da un dio.
Gli antichi sono concordi nel collocarle allo stretto di Gibilterra, ma recentemente Sergio Frau ha speso argomenti ed energie per collocarle nel canale di Sicilia. I suoi ragionamenti sono essenzialmente di natura geo-politica. Tra la fine del VI e l’inizio del V secolo a.C. Cartagine si era affermata come potenza egemone nel Mediterraneo occidentale, inibendo a tutti (perfino ai propri alleati etruschi) la navigazione a ovest dell'attuale Capo Bon. Le merci dovevano essere scaricate a Cartagine i cui navigli si incaricavano poi di smerciarle nei mercati occidentali, dai quali riportavano metalli pregiati, soprattutto lo stagno, indispensabile per fare il bronzo. I profitti di questa ‘esclusiva’ erano giganteschi.
Nel 540 a.C. i Cartaginesi, assieme agli Etruschi, avevano distrutto la flotta di Marsiglia (colonia dei greci di Focea) nella battaglia di Alalia. Nel 500 a.C. avevano distrutto la città di Tartesso (Spagna sud-occidentale, oltre Gibilterra), punto d’appoggio dei Focei, dal quale portavano lo stagno alla madrepatria, e alla fine estromesso completamente i greci dal Mediterraneo occidentale togliendo loro il porto di Mainake.
Secondo Frau i Greci, per giustificare il divieto di navigazione imposto dai cartaginesi, si inventarono che Ercole avesse innalzato le Colonne come trofeo per una sua vittoria sui barbari, quindi queste colonne rappresentavano il confine tra il mondo civilizzato (greco) e i barbari d’occidente, confine da non superare.
Due colonne di bronzo vennero trovate nel tempio di Ercole-Melqart a Cadice (oltre lo stretto di Gibilterra) e questo fu interpretato dai romani come limite dell’ecumene, nonostante loro stessi praticassero la navigazione oltre Gibilterra. L’immaginario letterario perpetuerà l’interpretazione delle Colonne come limiti del mondo, ed effettivamente è molto più poetico collocarle all’inizio dell’Oceano, supposto infinito, che non in mezzo al Mediterraneo (fra l’altro aggirabili passando da Scilla e Cariddi).
Con buona pace del Frau io propendo per l’interpretazione classica della collocazione a Gibilterra delle Colonne, perché solo là hanno senso i versi di Dante: “venimmo a quella foce stretta/dov’Ercole segnò li suoi riguardi/acciò che l’uom più oltre non si metta.”
Un posizionamento recentissimo delle colonne d'Ercole lo ha effettuato Marco Bulloni nel suo recentissimo Ho scoperto la vera Atlantide (Armenia – 2010), dove afferma che Atlantide è l'isola Grande Solovetsky (o Grande Solovski), sì, proprio quella dell'Arcipelago Gulag di Solgenitsyn!
L'arcipelago delle Solovetski si trova nel Mar Bianco, quasi al Circolo Polare Artico. Il Bulloni afferma di avervi trovato strutture che coincidono perfettamente con quelle descritte da Platone (nel Timeo e nel Crizia) e identifica le colonne d'Ercole negli unici due monti della penisola di Kola, il Khibini e il Lovozero Tundra. Su una parete di quest'ultimo c'è un gigantesco glifo rappresentante un uomo con le mani alzate che sembra sorreggere una volta. Una immagine del glifo la si può vedere a sinistra.
Non è questo il luogo per commentare le teorie di Bulloni, per cui mi limito ad una semplice informativa. Chissà mai che, in futuro, un articolo di questa serie non possa essere dedicata al mito (moderno) di Atlantide e alle sue ipotizzate collocazioni.
VIII SECOLO A.C. – L’HERCULES ITALICO
Secondo Tito Livio il culto di Ercole, totalmente divinizzato, era già radicato alla fondazione di Roma. Gli archeologi ne trovano tracce in Etruria e nel Sannio. L’Ercole etrusco si chiamava Hercle, esattamente l’anello mancante fra Heracle (sottraendo la ‘a’) e Hercule (aggiungendo la ‘u’) E’ controverso se, nell’Italia settentrionale il culto di Ercole sia arrivato al seguito della dominazione romana, o preesistesse. Plinio il Giovane attribuisce ai veneti Euganei una discendenza Eraclide; statuette del IV-V secolo furono ritrovate a Belluno, Trieste e Adria, ma potrebbero essere di origine etrusca. Tradizioni locali attribuiscono are preromane a Ercole, e a lui consacrano le sorgenti del Po, ma a me non sembrano sufficienti a dimostrare una grande diffusione preromana del culto dell’eroe. Del quale non si trova traccia nel mondo celtico, se non in qualche semidivinità minore del loro sterminato pantheon. Anche Cesare, nel De Bello Gallico, quando identifica le divinità celtiche maggiori con quelle romane menziona Mercurio, Apollo, Marte, Minerva e Giove, ma non Ercole.
Nel mondo italico sembra affiorare il substrato fenicio di Melqart. L’Ercole italico appare profondamente diverso dall’originale eroe greco, più dio che eroe, più propenso ad aiutare i deboli che ad abbandonarsi all’ira, ai piaceri e alla follia. Gli italici attribuirono a Ercole la soppressione dei sacrifici umani (peraltro già desueta in età protostorica, secondo gli archeologi) e ne esaltarono più le virtù di protettore dei pastori, dei viandanti, dei commerci e dei giuramenti, che non le imprese di forza.
Ercole arrivò in Italia dalla Spagna, ritornando dalla decima fatica (quella dei buoi di Gerione), venne da occidente quindi, adombrando in questo quasi una origine fenicia o punica piuttosto che greca. Sull’Aventino ebbe luogo l’epica lotta di Ercole con il gigante Caco. Secondo Strabone, Ercole in Campania si scontrò con i giganti Leuterni e diede origine al lago Averno chiudendo un preesistente golfo marino. Nell’area il nome di Ercole è presente nella città di Ercolano e nella Via Heracleia, che costeggia il mare.
Ercole italico è molto associato alle acque. Una leggenda afferma infatti che le ninfe avessero fatto zampillare delle sorgenti per dissetarlo e a Siracusa gli fu dedicata una fonte.
In Sicilia la città di Erice era reputata sua terra di origine.
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