Andrea Camilleri è innanzitutto un abile “contastorie”. L'autore dei fortunati romanzi polizieschi della serie del Commissario Montalbano, nato a Porto Empedocle, provincia di Agrigento, il 6 settembre 1925 ha cominciato da giovane a raccontare storie. Sin dal 1949 Camilleri ha lavorato nella nascente RAI come regista e sceneggiatore; con tali ruoli ha partecipato alla realizzazione di popolari produzioni poliziesche della TV italiana, come i telefilm del Tenente Sheridan e del Commissario Maigret, e a diverse messe in scena di opere teatrali, tra le quali non possiamo non citare gli adattamenti pirandelliani. Non si chiamavano ancora “fiction”, ma molti le ricordano con nostaglia per l'elevata qualità delle produzioni. Qualità che l'odierna televisione stenta a raggiungere, nonostante il progresso dei mezzi tecnici.

Di Camilleri hanno scritto in tanti. Non sarò io a dire cose nuove sicuramente. Quello che penso nel mio piccolo è che sia un ottimo professionista della scrittura. Penso che onestamente lui se la rida di gusto di quelli che lo chiamano "maestro". Più che altro perché il titolo viene eccessivamente ammantato di sacralità. Che Camilleri possa insegnare a tutti il mestiere della scrittura è innegabile. Tant'è che lo definirei "Mastro" Camilleri. La sua tecnica è rodata e collaudata da anni e anni di pratica professionale. Se dovessi paragonarlo a un mestiere lo paragonerei a un falegname, capace di costruire mobili solidi e concreti, da usare tutti i giorni. Ma non crea mobili in stile. Non siamo dalle parti dell'Ikea, ma neanche nell'artigianato artistico. Siamo nel territorio di una fruibilità spicciola, pratica, ma non per questo da sottovalutare. Così sono i romanzi di Montalbano, così i suoi romanzi di ambientazione siciliana. Piacevoli letture giornaliere. Realizzate con sapiente mestiere. 

Camilleri ha scelto, nella sua seconda carriera di scrittore, cominciata dopo essere andato in pensione, prevalentemente l'ambientazione siciliana, vigatese più precisamente. Vigàta è una cittadina siciliana inventata da Camilleri definita come “il centro più inventato della Sicilia più tipica". Secondo la lezione pirandelliana, per costruire luoghi verosimili bisogna inventarli perché la mera rappresentazione della realtà potrebbe non risultare credibile. A tutti gli effetti Vigàta ricorda la Porto Empedocle che fu e che adesso non è più, trasformata dal tempo e dallo scempio. In effetti per rappresentare al meglio Vigàta le produzioni televisive sono state ambientate nelle province di Siracusa e Ragusa, che hanno fatto da controfigura a una provincia agrigentina che non esiste più. Camilleri si è rivelato prolifico oltre che eclettico scrittore, erede in forma scritta della tradizione del “cunto siciliano”. Se i romanzi di Montalbano sono scritti con l'intento di raccontare storie moderne, i romanzi storici fissano in forma scritta le miriadi di racconti orali che lo stesso Camilleri ha ascoltato nella sua vita. Se il cunto di cui parlavano illustri antropologi culturali come Giuseppe Pitrè, Vincenzo Linares e Salomone Marino affondava le sue radici nella tradizione medievale e nell'epopea cavalleresca, molti dei cunti camilleriani sono ambientati in epoche più recenti, non prive di fascino e di attrattiva. Per i suoi racconti Camilleri si affida a una lingua siciliana che è anch'essa forse inesistente. Anch'essa inventata per essere credibile e fruibile, anche per togliere all'uso di tale lingua i connotati macchiettistici legati a stereotipi ormai abusati. È un siciliano che attinge a termini di un po' tutta l'isola, che appartiene a tutti, al di là delle campanilistiche divisioni, tipiche delle regioni italiane. Se quindi il consiglio di leggere Camilleri vale per tutta la sua produzione, in questo articolo mi voglio concentrare su una trilogia di romanzi che, nella tradizione del “cunto”, affrontano tematiche fantastiche e mitologiche a noi affini.