L’altro membro “non tradizionale” della classe era un uomo che ritenni essere sulla trentina, vestito con pantaloni di velluto e maglione; senza dubbio, era il proprietario del lucido pick-up Colorado, mentre la vecchia Toyota doveva essere l’auto di Clyde Nunley. Gli altri quattro veicoli, piccoli e malconci, dovevano appartenere agli studenti tradizionali, che costituivano la maggior parte della piccola folla raccolta per assistere alla mia dimostrazione. Anche se si trovava sui terreni del campus, l’antica chiesa di St. Margaret era annidata in un angolo appartato del Bingham College, al di là del piccolo stadio, dei campi da tennis e di quello da bocce, per cui non era sorprendente che gli studenti in grado di farlo avessero deciso di venire fin là in auto, soprattutto se si considerava il clima freddo. I ragazzi erano i tipici studenti fra i diciotto e i vent’anni… e fu con uno strano sussulto che mi resi conto di come questo li rendesse di poco più giovani di me. Il loro abbigliamento era quello abituale, quasi un’uniforme non ufficiale, costituito da jeans, scarpe da tennis e giubbotto imbottito, il che era più o meno il modo in cui eravamo vestiti anche io e Tolliver.
La giacca di Tolliver, una Lands’ End, era di un rosso acceso con la fodera blu; il rosso gli stava bene perché si intonava ai suoi capelli neri, e quella giacca era abbastanza calda per far fronte alla maggior parte delle intemperie invernali del Sud. Io invece portavo una giacca imbottita di un azzurro intenso, perché mi faceva sentire comoda e al sicuro, e perché era stato Tolliver a regalarmela.
Eravamo due macchie di colore nel grigiore generale. Gli alberi che circondavano la vecchia chiesa, il suo cortile e il cimitero, elargivano un senso di privacy, come se fossimo stati abbandonati in un angolo, in fondo al campus del Bingham.
– Signorina Connelly, siamo tutti ansiosi di vedere la sua dimostrazione – esordì il Dottor Nunley, praticamente ridendomi in faccia, e allargò il braccio in un ampio gesto elaborato che abbracciava le lapidi sparse. Gli studenti non apparivano ansiosi, avevano l’aria infreddolita, annoiata o vagamente incuriosita, cosa che mi indusse a chiedermi chi fosse stata la medium. Non ce n’erano molte che avessero un dono genuino.
Guardai di nuovo verso Tolliver. Fregatene di lui, mi risposero i suoi occhi, strappandomi un sorriso.
Gli studenti erano tutti muniti di un portablocco a molla, e su ognuno era appuntato un diagramma del vecchio cimitero, su cui le tombe erano disegnate ed etichettate con cura. Anche se quell’informazione non figurava sul loro notes, io sapevo che esisteva una registrazione dettagliata delle sepolture presenti in quel particolare cimitero, completa delle cause della morte della maggior parte delle persone lì seppellite. Portando avanti l’usanza del suo predecessore, il prete della parrocchia aveva conservato quella registrazione per i quarant’anni in cui aveva prestato servizio alla chiesa di St. Margaret, ma il Dottor Nunley mi aveva informata che nessuno era più stato sepolto lì da cinquant’anni.
Le registrazioni di St. Margaret erano state scoperte tre mesi prima, chiuse in una scatola nel magazzino più remoto della biblioteca del Bingham College, quindi non c’era nessun modo in cui io avrei potuto scoprire in anticipo le informazioni in esse contenute. Il Dottor Nunley, che aveva fondato quella classe di studio dell’occulto, aveva sentito in qualche modo parlare di me, anche se non mi aveva spiegato con esattezza in che modo il mio nome fosse stato sottoposto alla sua attenzione. La cosa peraltro non mi sorprendeva, perché c’erano siti web connessi ad altri siti web connessi ad altri siti web, e in una cerchia alquanto sotterranea, io ero famosa.
Clyde Nunley era convinto di pagarmi perché mi rivelassi per la frode che ero davanti alla sua classe della “Mente Aperta”; pensava che mi considerassi una sorta di sensitiva, o forse una Wicca.
Naturalmente, questo non aveva senso. Non c’era niente di occulto in quello che facevo, non levavo preghiere a nessun dio, prima di entrare in contatto con i morti. Credo in Dio, ma non credo che il mio piccolo talento sia un Suo dono.
L’ho ricevuto a causa di un fulmine, quindi se pensate che Dio sia la causa dei disastri naturali, allora suppongo che sia Lui il responsabile della mia condizione.
Quando avevo quindici anni, ero stata colpita dal fulmine attraverso la finestra aperta della casa mobile in cui vivevamo. A quel tempo, mia madre era sposata con il padre di Tolliver, Matt Lang, e insieme avevano avuto due figlie, Gracie e Mariella. Ammassato in quella casa mobile (oltre a quell’adorabile nucleo familiare) c’era il resto di noi… io, mia sorella Cameron, Tolliver e suo fratello Mark. Non ricordo bene per quanto tempo Mark fosse rimasto con noi, in quanto lui era di parecchi anni più maturo di Tolliver; comunque, so per certo che quel pomeriggio Mark non era nella casa mobile.
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