«Guarda» le disse ancora dopo averla presa per mano e portata via. «Laggiù, vedi?» 

Avevano svoltato ed era comparsa una casetta con le finestrelle tutte illuminate. Il soldatino entrò, Chiara lo seguì fiduciosa. La casetta era piena di candele. Tante, dappertutto sul pavimento pieno di cera: alcune grandi, altre sottili, molte al lumicino. 

«Questa era la casa del re, di tuo padre, lui viveva qui, quando era bambino.» 

Chiara annuì, commossa. Quella casa, suo padre l’aveva abitata, l’aveva anche descritta nella lettera dove parlava della sua famiglia, l’unica in cui si capiva qualcosa. 

«Da quando è arrivata la notizia che il re è morto, la gente viene qui, mette una candela e prega per lui. Molti di loro sono poveri, ma questa è tutta cera buona. Pregano per lui, che è nel Mondo dei Morti, pregano che torni, torni a proteggerli. 

Pregano e aspettano. Sono le donne che pregano di più. 

Sono le madri. Sai, le donne sono un po’ più irragionevoli degli uomini, loro ci credono sul serio che se mettono i lumini, il re torna dal Mondo dei Morti.» 

Chiara annuì, mentre sentiva una specie di brivido, la pelle d’oca e una sensazione alla parte alta della pancia che somigliava un po’ alla fame e invece era commozione. 

«Tu sai pregare?» le chiese il soldato. «Ti hanno spiegato come si fa a pregare a casa tua, alla reggia?» Alla luce delle candele Chiara lo vide bene. Era piccolo, più basso di zio Erik, aveva una faccia larga, scura. Gli occhi erano neri, il naso schiacciato. 

Chiara scosse la testa. 

«Allora ti faccio vedere un gioco, che è carino, una cosa divertente, adesso poi che non hai più il cavallino. Guarda. 

Devi guardare una fiamma. Quella che vuoi. Ecco, sì, guarda quella, che ce l’hai all’altezza giusta. Guardala fisso. Così. Non ti muovere, non spostare gli occhi. Guardala più che puoi. Non sbattere le palpebre. Fallo poco, almeno. Ecco, brava. Vedi che la fiamma è fatta da tre parti, quella del centro è scura. Anche dentro al fuoco c’è una parte di buio. Poi c’è la parte grande, che è quella che brilla, e poi c’è una specie di mantello che si vede appena. Ora chiudi gli occhi e li tieni chiusi, forte. Vedi tutto nero, vero? Stai con gli occhi chiusi. Adesso nel buio si forma la fiamma della candela. Compare e scompare e ogni volta cambia colore, e sono tutti colori bellissimi, li vedi? Li vedi, vero?» 

Chiara li vedeva. Erano straordinari. I colori più forti e intensi che avesse mai visto, brillavano contro il nero del buio dietro le palpebre, pulsavano, comparivano e scomparivano. 

Si alternavano ricostruendo le tre parti della fiamma. 

Scoppiò a ridere e poi si interruppe, spaventata da quel suono che lei stessa aveva lasciato scappare: era la prima volta che rideva. 

Il soldato si arrampicò sulle scalette di corda. Chiara lo seguì. Arrivati alla più alta tra le tavole-orto il soldato la prese in braccio e la issò al di sopra della parte viscida. Mentre era tra le braccia forti dell’uomo, contro la giubba di fustagno che gli ricopriva il torace magro, Chiara sentì un odore forte, acre, di sudore, di non lavato, ma c’era anche altro: muschio, terra bagnata, resina e fumo. La bambina si trovò con i piedi saldamente posati sui camminamenti degli spalti. 

«Le guardie dormono come dei sassi, con loro non avraiproblemi. Però non lo fare più. È pericoloso. In più hai la sottana. 

Puoi inciampare. Sei la figlia del re: puoi essere rapita e questo sarebbe terribile. Se vuoi venire qui, vieni di giorno. Di giorno è pieno di gente, ci sono le bancarelle, quelli che vendono, quelli che comprano. Non può succederti niente. E passa dalla strada, non dai muri.» 

Chiara accennò un gesto vago, non voleva impegnarsi in un vero e proprio cenno di assenso. 

«Io mi chiamo Skardrail» disse il soldatino. 

«Chiara» si presentò la bambina, non del tutto certa che l’altro conoscesse il suo nome. Piegò il ginocchio e contemporaneamente sollevò la sottana, il giusto perché non sfiorasse il suolo e non scoprisse le caviglie. Come un passo di danza. Una riverenza perfetta. 

Chiara tornò a casa: una lunga corsa tra rami di alberi, inferriate, terrazze e balconi. 

La luna se n’era andata e l’ultimo astro rimasto era Aharthrail, la stella del mattino. Anche di quell’ultima luce Chiara conosceva il nome. 

Scavalcò la balaustra della finestra di casa sua che ormai un’alba radiosa illuminava il mondo. In piedi, uno di fianco all’altra, tutti e due con le braccia conserte sul petto, statuari come due gufi, gli zii la stavano aspettando.