Aprì la porta del gabbiotto, uscì e si trovò faccia a faccia con il principe di Daligar. Arduin il Bellissimo, l’Eroe, il Vincitore, quello che era. Seduto su una grossa pietra, stava scrivendo qualcosa su una pergamena. Alzò gli occhi, le sorrise.
«Buona giornata» le disse. «Vi stavo aspettando.»
Chiara lo guardò interrogativa.
«È bastato seguire le vostre tracce» spiegò lui indicando la fila di piccole orme sul sentiero. Chiara annuì. In futuro avrebbe imparato a essere più attenta. Guardò ancora il principe.
Doveva solo accennare la riverenza e scartare di lato.
Anche se non tirava su la sottana, a quel punto, era lo stesso: c’era già un palmo di fango sui ricami dell’orlo.
7
Arduin mischiava nel suo odore erba, terra e, ovviamente, cavallo. C’era un altro odore, strano, piacevole, tenue ma riconoscibile, che Chiara non riuscì a identificare.
«Vi ho cercata e seguita. Siete voi la persona che più di ogni altra volevo vedere, qui nella città di Varil. Siete uguale a vostro padre, sapete?» affermò Arduin. Chiara lo sapeva.
L’aveva sentito dire da tutti, da sempre, e se anche se ne fosse dimenticata lo avevano detto i soldati feriti quando erano tornati dalla guerra.
«Sapete, ho pensato spesso a voi, praticamente ogni giorno.
Siete la figlia dell’uomo che ho più amato al mondo, ne avete i lineamenti, il sangue, sicuramente anche il valore e il coraggio. Vostro padre è morto e la responsabilità di vegliare su di voi spetta a quanti lo hanno amato, e io sono tra questi. » Arduin era serio. Chiara decise di rimandare di qualche istante il programma di fuggir via. Deglutì, si chiese se doveva annuire, poi preferì restare immobile.
«Ho pensato a voi ogni giorno perché so che un quarto del vostro sangue appartiene al popolo degli Elfi. Anche io ho sangue elfico, ma come la quasi totalità dei mezzo sangue maschi non ho ereditato alcun potere. Voi sicuramente ne avete. Sicuramente voi siete una strega, parola bellissima.
Tutte le volte che sentirete pronunciare questa parola con disprezzo saprete di essere in presenza di uno sciocco. Si raccontano stupidaggini quasi comiche sulle streghe: possono trasformare le persone in rospi o bisce, possono uccidere con il pensiero. Ma non dovete adombrarvi: gli sciocchi fanno parte delle vita come gli alberi e la terra, ma ricordate, siate attenta e prudente, perché gli sciocchi sono dannatamente pericolosi. Sapete la differenza tra uno sciocco e un malvagio, piccola principessa?»
Questa volta Chiara si lasciò scappare un cenno di diniego.
«I malvagi ci danneggiano per ricavarne un guadagno. Glisciocchi ci distruggono senza alcun profitto. È possibile trattare con i malvagi, non con gli idioti. Avete capito? Ve ne ricorderete?»
Questa volta Chiara assentì convinta. Era ovvio, se lo sarebbe ricordato.
«Bene» continuò Arduin. «Era una frase molto difficile: è evidente che voi abbiate una comprensione del linguaggio estremamente superiore alla media della vostra età. È proprio degli Elfi e delle streghe una conoscenza del linguaggio e una memoria molto precoci. Tra gli altri doni possibili c’è un udito straordinario, la capacità di sentire il battito delle ali di una farfalla.»
Chiara era folgorata. Il principe riprese: «In effetti conoscenza del linguaggio e memoria sono collegati tra di loro, sapete?
Un bambino normalmente umano impiega un paio di anni a intuire il senso delle parole e a impararne un numero sufficiente per un inizio di conversazione. La mente dei futuri Elfi come quella delle future streghe è talmente in contatto con la mente della madre che il linguaggio è già acquisito al momento della nascita, insieme, quindi, alla capacità di memorizzare. Vedete: un bambino impara che acqua vuol dire acqua, appunto, perché tutte le volte che viene pronunciata questa parola c’è dell’acqua da qualche parte, in una brocca, in un lago, in un’inondazione, mentre il piccolo Elfo e la piccola strega sentono la parola acqua’ pronunciata dalla madre, durante la vita che ha preceduto la nascita, e la loro mente in contatto con quella dellamadre riceve il concetto di acqua. È sempre chiaro quello che sto dicendo? Certo, lo è. Bene. I poteri degli Elfi sono ereditati dalle figlie femmine delle unioni tra esseri umani ed Elfi, non dai figli maschi: una delle pochissime eccezioni a questa regola è stato mio fratello Joss. Eravamo fratelli gemelli. Lui è morto nella battaglia sulla piana di Malevento, senza di lui saremmo stati sconfitti, senza di lui saremmo stati annientati. Ora però mi manca terribilmente. Mi sono spesso chiesto se anche voi foste dotata delle stesse capacità, gli stessi poteri di mia sorella Erbrow e di mio fratello Joss. Sì? Allora dovete esservi sentita terribilmente sola, dispersa in un mondo di normali, nessuno dei quali sospetta le vostre capacità. Come mi hanno spiegato i miei fratelli, la capacità di udire anche suoni estremamente flebili o lontanissimi è molto utile e molto sgradevole, visto che ci permette di udire tutte le maldicenze, per non dire le assolute idiozie, che molte persone dicono su di noi.
«Sparlare degli altri è un minuscolo atto di vigliaccheria, e, per chi non ha di meglio, una minuscola gioia; molti non riescono a rinunciarci.»
Chiara fu talmente stupita per la scoperta che si portò le mani alla bocca in un gesto di sorpresa. Era Aila a essere umanamente normale e lei invece era quella fuori dalla norma. La capacità di comprensione, l’udito e la memoria che aveva lei non li aveva nessun altro. E nessuno aveva capito che lei avesse questi doni. La gente diceva e ridiceva che lei era brutta e che aveva ucciso la propria mamma non per farle del male, ma perché era convinta che lei non sentisse e che, nel caso, non avrebbe capito. Ma era vero o no?
Arduin si era interrotto davanti al suo stupore.
Chiara aveva deciso di rimandare l’uso della parola a data da destinarsi. Stabilì che quel giorno nel cortile dei polli era quello che andava bene.
«Io ho ucciso la mamma?» chiese. «È quello che dicono. Ma io non so come ho fatto.»
«Vostra madre è morta uccisa dall’incantesimo dell’idrargirio. Un incantesimo tremendo fatto dai maghi orchi che vostro nonno, il Giudice Amministratore, fece fare su vostra madre neonata e che l’avrebbe condannata a morte se lei avesse osato avere un figlio fuori dalla volontà del proprio padre.
Questo ha ucciso vostra madre. Che un bambino abbia ucciso la propria madre è una sciocca maniera di dire, che molti usano per indicare quando una donna muore partorendo, dando alla luce il proprio bambino: è un momento terribile in cui la vita e la morte si danno la mano. Ma nel caso di vostra madre, la morte non è stata una disgrazia, ma una scelta. Lei ha preferito morire che rinunciare ad avere figli, lei ha preferito morire pur di avere voi. Voi siete la sua scelta, la sua missione. Voi siete lo scopo della sua vita.»
Il principe si interruppe, forse per assicurarsi che Chiara avesse capito. Lei fece un gesto di assenso. Lui riprese:
«Ricordate mia sorella Erbrow e mio fratello Joss? Anche Joss era dotato di poteri, un’eccezione tra i maschi mezzo Elfi.
Erbrow e Joss hanno salvato la vostra vita, alla nascita. Ricordate la vostra nascita? No? Capisco. La gravidanza, il periodo in cui siete stata nel ventre di vostra madre, quello in cui la vostra mente avrebbe dovuto apprendere il linguaggio permettendovi il dono della memoria, è stato avvelenato dall’idrargirio che ha ucciso vostra madre. È stata, la vostra, una gravidanza mortalmente malata, e il processo di apprendimento e memoria si deve essere svolto solo parzialmente.»
Idrargirio? Era stato l’argento liquido a uccidere la sua mamma? Non lei? Idrargirio? Come faceva lei a sapere che l’idrargirio si chiamava anche argento liquido? Era perché quella parola le stava risuonando insolitamente familiare, accompagnata da una sensazione di angoscia e di nausea feroce e atroce.
«Principessa, state bene? Siete impallidita!» chiese Arduin, chinandosi su di lei e toccandola sulla spalla. Chiara non si scostò. Se era stato l’argento liquido e non lei a uccidere la mamma, forse poteva lasciarsi toccare. La mano di Arduin era piacevole, no, non era ‘piacevole’ la parola. Non riuscì a trovare la parola. Non era solo piacere. Era forza.
Sotto quella forza ricordò, ricordò sempre di più.
Angoscia a nausea. Nausea e paura. Una nausea terribile.
Ogni sapore, ogni odore, la goccia di acqua più pura: tutto in ogni istante era stato nausea.
«...Che nasca viva... Che viva... So che è una bambina, so che sarà una donna... Che lei almeno possa vivere e essere libera... La mia vita per lei... Io morirò, ma lei... Lei... Che l’argento liquido non la uccida... Che l’idrargirio non soffochi il respiro e il pensiero della bambina... Io sono stata dannata, ma lei sarà libera: lei, la cosa più preziosa che ci sia al mondo...»
Chiara riconobbe nel ricordo la voce di sua madre.
Era sua madre quindi che conosceva i nomi delle stelle e quelli delle nuvole.
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