I ricordi affioravano. Il dolore di non respirare, il dolore di respirare. Due presenze, vicino a lei, dentro di lei, il loro pensiero che entrava nel suo per raccontare come si dà l’ordine di respirare. Era stata quella la sua nascita? Freddo, assenza. 

Chiara si accorse di ricordare la propria nascita e quello che l’aveva preceduta. Non tutto. Qualcosa. Come i pezzi di una stoffa in brandelli. Abbastanza, però, per sapere che la sua mamma l’aveva voluta, che lei per la mamma era stata preziosa più dell’aria e della vita. La mamma non le aveva lasciato niente di scritto perché era stata sicura che Chiara avrebbe ricordato la sua voce. Il processo invece era stato interrotto, lacerato. Come un sentiero su cui è caduta una frana, che però, una volta spostati i massi, riaffiora, la sua memoria guidata dalle parole di Arduin stava tornando. Tutto l’amore di sua madre le arrivò addosso, come la pioggia d’estate fresca e pulita che lava via la polvere e lo sconforto. Chiara era stata amata. Non aveva ucciso la mamma, era la mamma che aveva scelto di morire per lei. La reietta diventava la principessa. 

«Raccontami la mia storia» chiese Chiara. 

Arduin parlò a lungo. 

Le raccontò di suo padre: un bambino nato dalle violenze sui confini. In una notte atroce, gli Orchi avevano attaccato il villaggio, ucciso gli uomini e preso le donne. La voce di Arduin si interruppe, il ragazzo la guardò interrogativamente. Chiara cercò nella sua memoria. Sì, sapeva cosa voleva dire. Sapeva i nomi delle stelle, quelli degli alberi, conosceva da prima della nascita il senso delle parole ed era informata sui... 

«Siete a conoscenza dei fatti della vita?» chiese Arduin. 

Quella roba lì, quando un uomo e una donna si incontravano, quindi, si chiamava ‘i fatti della vita’. Chiara annuì. 

Sapeva cosa voleva dire. Poteva essere bello o orrendo. Sapeva anche questo, la cosa più bella o la più orribile. Come mangiare, se hai fame e c’è la torta è bellissimo e se qualcuno ti costringe a mangiare cose atroci e sei costretto a metterle dentro di te è la cosa più orribile che si possa pensare. Sì, lo sapeva. Annuì. Suo padre, quindi, era nato da quello. 

«Per questo i soldati lo chiamano il re Bastardo» concluse. 

Arduin annuì. 

«Ma non è una parolaccia?» chiese ancora Chiara. 

«In principio sì, è un’ingiuria ‘bastardo’, ma in questo caso è un segno di affetto. Il nostro re è il re Bastardo degli Uomini, figlio degli Orchi, ma noi lo amiamo lo stesso» spiegò Arduin. 

Non era una parolaccia. Non sempre almeno. Era una parolaccia che diventava un ‘ti voglio bene lo stesso’. 

Era chiaro. Arduin riprese. Parlò di come suo padre, arruolato nei Mercenari, ne era diventato il Capitano e aveva trasformato un branco di rinnegati dimenticati da Dio e dagli Uomini in un’armata invincibile, quella che aveva fermato gli Orchi, quando gli Orchi erano venuti. 

Le raccontò di sua madre, figlia di una principessa bellissima e di un padre folle e criminale che aveva usato l’ultimo incantesimo degli Orchi, quello dell’argento liquido, per condannarla  a morte se lei avesse osato disubbidire. 

«Vostro nonno. Il Giudice Amministratore della contea di Daligar ha ucciso mio padre, ha ucciso vostra madre e la di lei madre. Ha venduto la terra degli Uomini agli Orchi, quando c’è stata l’invasione. Senza il coraggio di mia madre, la regina di Daligar, e di vostro padre, la terra degli Uomini sarebbe stata persa» spiegò ancora Arduin. 

«E dov’è questo tizio?» chiese ancora Chiara. 

«Il Giudice? Vostro padre lo ha ucciso, qualche giorno prima della vostra nascita, quando ha preso Alyil» rispose Arduin. 

Chiara sentì gli occhi che le si riempivano di lacrime, ma ingoiò il tutto. Non davanti ad Arduin. Si chinò su una della macchie di fango sulla sua veste così da tenere per qualche istante giù la testa. Veniva da una famiglia in cui suo padre aveva ucciso il nonno che aveva ammazzato la mamma, e non aveva ancora messo l’attenzione sull’altro nonno, quello Orco. La voglia di vomitare si aggiunse a quella di piangere. 

C’era un’altra cosa che identificò: una specie di nostalgia, una sensazione di mancanza e di desiderio di qualcosa che poteva rimpiangere anche se in realtà non l’aveva mai avuto. 

La normalità. Avrebbe voluto essere la bambina normale di una famiglia normale. Senza vergogna. Capì perché da sempre un muro la separava dai cugini. 

Sentì la mano di Arduin sulla spalla. Era calda e doveva esserci una specie di incantesimo che quello lì sapeva fare, perché il calore si diffuse e lei smise di sentirsi gelida.