«Siate fiera di voi stessa, principessa. Siete l’erede di una stirpe invincibile. Il valore di vostro padre e quello di vostra madre hanno salvato il mondo. Sono stati generati nel fango, e hanno raggiunto entrambi la luce. Sono venuti a portare ordine nel caos e tenerezza nella ferocia. Se loro hanno vinto, tutto è possibile.»
Chiara tirò su la testa. La nausea era passata. Viste così, le cose non erano tanto terribili, anzi.
Arduin era uno bravo a spiegare le cose.
Il principe le raccontò dei tre giocattoli – una bambola, una barchetta, un cavallino di legno – che erano stati di Arduin e dei suoi fratelli, e che ora appartenevano a lei, Chiara. Le parlò di come fosse rimasta orfana: suo padre annegato in un fiume, mentre gli Orchi stavano per attaccare. Le raccontò della battaglia, quella dove lui, Arduin, alla fine aveva fermato l’esercito invasore e dove suo fratello Joss era morto.
«...In quella battaglia, sapete, ho perso mio fratello, però li abbiamo fermati...»
«Tu sai come si vincono gli Orchi, vero?» chiese Chiara. «Me lo insegni?» riprese senza aspettare la risposta. «Devo fermare io gli Orchi, se tornano, ma non so come si fa. Io non ho paura, non ho paura di niente, non ho paura degli Orchi, ma non so cosa devo fare.»
«Io invece ho paura, ma ho imparato a recitare la parte di quello che non ce l’ha e sono diventato un attore strepitoso, uno dei migliori sul mercato. Bene, se torneranno gli Orchi, li fermeremo insieme. Vi insegnerò quanto so di strategia, che è la somma della geometria e del coraggio: me l’ha insegnato vostro padre, sarà come restituire un favore.»
Chiara annuì. Anche questa era fatta: aveva trovato qualcuno che le avrebbe insegnato a fermare gli Orchi.
«A proposito di favori, potrei chiedervene uno?» chiese Arduin. Chiara annuì. Il ragazzo le mostrò la mano destra, con una lunga e sottile lacerazione sul dorso, una ferita fresca, con ancora un paio di minuscole gocce di sangue che brillavano.
Sembrava proprio una scorticatura fatta in quel momento: lei si era distratta a pensare agli Orchi e Arduin si era ferito.
«Sono un po’ distratto e mi sono fatto male» spiegò, vago.
«Potete aiutarmi a guarirla?»
Chiara si chiese perplessa cosa accidenti l’altro si aspettava da lei. Quando si faceva male, tutto quello che sapeva fare era leccarsi le scorticature da sola. Doveva leccare quella di Arduin? Non poteva leccarsela da solo? Possibile che fosse arrivato alla sua veneranda età senza aver scoperto il metodo?
Persino Antrin e Gesciua sapevano che bisognava leccarsi le ferite.
«Dovete posarci sopra la vostra mano» spiegò Arduin «e pensare con tutta la vostra forza alla guarigione, alla pelle che si riforma, i margini che si avvicinano e poi si riempiono» continuò.
«Se veramente siete una piccola strega, dovete avere questo potere. Coraggio, provate.»
Ancora una volta Chiara restò folgorata. Sì, era vero. Lo sapeva. Fino a quel momento non aveva saputo di saperlo, ma lo sapeva. Era quello che sapeva di dover sapere, ma non era riuscita a ricordare.
Lo sapeva. Sapeva di saperlo fare.
Posò le manine sulla mano di Arduin. Ne sentì la forza e la calma. Era una mano che era bello toccare. Chiuse gli occhi e pensò con tutta la sua forza alla pelle che si riformava, al solco che si chiudeva.
Quando li riaprì, stanchissima, con il fiatone, la ferita era ancora aperta, più piccola però, molto più corta, nettamente più superficiale.
«Sapevo che ne eravate capace» commentò Arduin trionfante. «Avevate solo bisogno di qualcuno che vi spiegasse come.»
Qualcuno che le ricordasse come, corresse Chiara nella sua testa quella roba lì gliel’aveva spiegata la sua mamma quando ancora Chiara le stava dentro, prima di nascere, insieme ai nomi delle nuvole e a quelli delle stelle. Doveva fermare gli Orchi, e questo significava una guerra con ferite, ossa rotte, cancrena, gente che si sarebbe trascinata, arti amputati: almeno avrebbe saputo come curarli.
Chiara guardò la pergamena che Arduin aveva tra le mani: c’era il disegno di uno strano uccello, fatto con delle bacchette però, e più sotto delle scritte, più dritte e più tonde delle lettere di suo padre, ma altrettanto incomprensibili.
«Come si fa?» chiese indicando. «Come si legge? Sull’abbecedario è differente.»
Arduin annuì.
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