una perpetua fornitura di sangue di maiale in cambio della promessa che i vampiri smettano di dare la caccia alle persone. Ma non può funzionare, perché in primo luogo, sebbene i vampiri tendano a cacciare in branco, la popolazione dei vampiri, nell’insieme, è come una serie di piccoli feudi, e le alleanze sono di breve durata e rare, e di solito esistono solo allo scopo di distruggere il feudo di un altro succhiasangue, che è intollerabile a più di uno di loro. In secondo luogo, più è grande la banda e più potente è il vampiro che ne è a capo, e all’aumentare della potenza diminuiscono le possibilità che lui o lei si spostino dal quartier

generale: non è affatto probabile che lo lascino per andare a sedersi e ‘dialogare’ in un Consiglio globale umano fasullo. E, terza cosa, il sangue di maiale non fa impazzire i vampiri. Probabilmente è come se ti venisse offerto un Cava quando hai bevuto per tutta la vita il Veuve Clicquot (alla caffetteria abbiamo la licenza per la vendita della birra e del vino, ma Charlie ha un debole per lo champagne. Una volta il Charlie’s è stato segnalato, in un sondaggio su globenet, come l’unico locale del suo genere in cui si servisse anche champagne al bicchiere).

Okay, sono un po’ ossessionata. Alcune persone adorano le soap opera. Altri vanno matti per lo sport. A me interessano le storie sugli Altri. Inoltre, da Charlie’s ne sappiamo di più, se

vogliamo, perché parecchi dei nostri clienti abituali lavorano per la FSA, Forze speciali degli Altri. Conosciute anche come le guardie dei succhiasangue dal momento che, come ho detto, è principalmente di loro che si occupano. Mamma li zittisce quando li sorprende a parlare del loro lavoro nel locale, ma sanno di avere un’appassionata ascoltatrice in me. Non mi fido di qualsiasi poliziotto così come non cercherei di eliminare il nostro Prometeo, il lucente mostro nero che domina la cucina da Charlie’s e che la gioia degli occhi di Mel (si riesce a capire che esiste un legame tra motociclisti e cuochi quando si assiste alla dimostrazione di potenza di un forno industriale), ma Pat e Jesse mi piacevano.

I nostri agenti FSA sostengono che niente e nessuno permetterà mai ai succhiasangue di uscire alla luce del giorno, il che è positivo, perché la luce del giorno è la sola cosa che impedisce loro di appropriarsi degli altri quattro quinti dell’economia mondiale e dare il via all’allevamento di esseri umani, che farebbero diventare un nuovo campo di azione per speculatori capitalisti.

Ma questi agenti sono anche paranoici per professione, e non hanno troppa fiducia nei camici da laboratorio, che siano dalla parte dei buoni o dei cattivi.

Ci sono storie che riguardano i vampiri ‘buoni’ come ci sono storie che riguardano quell’orribile donna che, dopo un pasto abbondante a base di cavallo crudo, cane da caccia e, forse, un cacciatore o un arciere, trascorre un’eccitante notte tra le braccia del suo cavaliere preferito, in seguito alla quale diventa la donna più bella e gentile che sia mai esistita; ma a sentire i nostri FSA nessun umano ha mai conosciuto un vampiro buono, o almeno non è tornato a raccontarlo, il che in un certo senso dà un’idea della situazione, no? Inoltre, per come la vedo io, il cavallo, il cane e il cacciatore sono sicuramente morti, ma bisognerebbe anche farsi qualche domanda sulla psicologia del cavaliere preferito, che accetta di assistere alla strage e poi si lancia in evoluzioni a letto, e fornisce un curioso concetto di ‘onore’.

I vampiri uccidono le persone e ne succhiano il sangue. Anzi, in realtà l’ordine è inverso. A loro piace che il cibo sia vivo e terrorizzato, e gli piace giocarci un po’, prima di finirlo. Un’altra

cosa che si dice dei vampiri è che l’unico animale domestico di cui possano occuparsi è il gatto, perché sono in grado di comprenderne la mente. Durante la peggiore delle Guerre Voodoo chiunque vivesse solo con un gatto era sospettato di essere un vampiro. C’era chi raccontava che, dove le Guerre erano più inasprite, coloro che vivevano soltanto con i gatti e che non erano morti bruciati dall’esposizione alla luce del giorno erano stati comunque arsi vivi. Spero che non sia vero, ma è molto probabile che sia accaduto. Ci sono sempre dei gatti intono al Charlie’s, ma di solito sono dei piccoli profughi in cerca di asilo per fuggire dalla popolazione locale di topi, e si comportano in modo disperatamente amichevole. Inoltre sono sempre più numerosi quando c’è la luna piena, e questo dimostra che non tutti i mannari scelgono (o, cosa più probabile per Old Town, possono permettersi) di seguire la strada della droga.

Così, quando tornai in me, il fatto che fossi ancora viva e tutta d’un pezzo non mi rassicurò affatto. Ero appoggiata contro qualcosa ai margini di un cerchio di luce che proveniva da

un fuoco. I vampiri possono vedere nell’oscurità e non cuociono il loro cibo, ma pare che gli piaccia giocare con il fuoco, forse allo stesso modo in cui gli umani si divertono a fare gare sulle auto rubate o ad attraversare un binario all’ultimo momento prima del passaggio di un treno.

Rinvenni sentendomi terribilmente male: tremavo, ed ero spaventata oltre ogni limite. Mi avevano fatto un Soffio. Sapevo che i vampiri non hanno bisogno di abbassarsi ad utilizzare

degli strumenti o mettere qualche sostanza soporifera su un fazzoletto che poi ti premono sul viso. Basta che ti respirino addosso e tu svieni. Non tutti loro sono in grado di farlo, ma i vampiri cacciano in branco dai tempi delle Guerre, ed essere lo specialista dei Respiri in una banda era diventato un importante simbolo di status sociale per loro (secondo i rapporti della rete). Tutti i vampiri sanno muoversi in modo silenzioso, comunque, e sulle brevi distanze sono più veloci di qualsiasi altra cosa (be’, più veloci di qualsiasi altra cosa vivente). Quindi, se anche per qualche motivo il Soffio non andava a buon fine, ti beccavano comunque, se volevano beccarti.

«Si sta riprendendo» disse una voce.

Non avevo mai incontrato un vampiro prima, né l’avevo mai sentito parlare, se non in televisione, dove filtrano la voce usando una tecnologia antifascino per fare in modo che nessuno degli spettatori alla fine si precipiti fuori di casa in cerca del possessore di quel timbro vocale. Non riesco a credere che qualche vampiro possa desiderare che chi ascolti la sua voce salti giù dalla poltrona per andare a cercarlo, ma non ho idea di come ragionino i vampiri (né i gatti o le orribili donne), quindi potrebbe anche essere quello che vogliono. E naturalmente alcuni dicono – perché c’è sempre qualcuno che sostiene una certa teoria – che i capi dei vampiri sono capaci di modulare la propria voce in modo che solo una specifica persona tra tutti i milioni di ascoltatori di una trasmissione (e un’intervista a un succhiasangue è sempre un evento di grande richiamo) salterà giù dalla poltrona, e correrà a cercarlo. Io non penso di crederci, ma sono comunque felice che esista quella tecnologia antifascino.

Non per altro: fa sembrare buffa la loro voce. La rende non umana, ma anche rumorosa, meccanica, stile robot.

Quindi, in teoria, suppongo che non avrei dovuto sapere che quei tizi erano vampiri. Ma lo sapevo. Se si viene rapiti dagli Altri Oscuri lo si capisce all’istante.

In primo luogo c’è l’odore. Non è per niente odore di macelleria, come ci si potrebbe aspettare, anche se ha lo stesso tipico odore metallico di sangue. Perché la carne nel negozio di un macellaio è morta. So che sembra una contraddizione, ma i vampiri odorano di sangue ‘vivo’. E di qualcos’altro. Non so di cosa si trattasse; non era qualcosa che potevo riconoscere come animale, vegetale o minerale. Non era attraente né disgustoso, anche se fa sì che il cuore acceleri, impazzito. Credo che sia qualcosa di primordiale. Il corpo sa di essere una preda, anche se il cervello è annebbiato dal Soffio o sta cercando di distogliere

l’attenzione. È l’odore del vampiro e il tuo istinto ‘attacca o scappa’ prende il sopravvento.

A dire il vero non ci sono molte storie su istinti che salvano la vita. In quel momento almeno non riuscivo a ricordarne nessuna.

E i vampiri non si muovono come gli umani. Mi hanno detto che quelli giovani possono ‘fingersi’umani se vogliono (dopo il tramonto), infatti c’è un gioco pericoloso e molto in voga tra gli umani, quello cioè di andare in qualche posto dove si dice che ci siano dei vampiri e vedere se si riesce a individuarli. Sapevo che Kenny e i suo amici lo avevano fatto, qualche volta. Io stessa lo avevo fatto alla loro età. Non è poi così pericoloso se si è in gruppo e non ci si addentra nelle zone ‘non umane’alla periferia delle grandi città. La nostra è una città di media grandezza e, come ho detto, non abbiamo tantissimi vampiri. È comunque una cosa stupida e pericolosa da fare, più stupida di quanto volesse esserlo la mia gita al lago.

I vampiri intorno al fuoco non si preoccupavano di dissimulare i loro movimenti da vampiri.

Ho già detto che la tecnologia antifascino rende il suono delle voci dei succhiasangue strane, in tv alla radio e su globenet.

Ma sono ancora più strane dal vivo. Sono stranissime. Strane da far paura.

Forse era colpa del Soffio. Mi ero svegliata, come ho detto, sentendomi male, tremante e spaventata, ma avrei dovuto essere completamente terrorizzata, a ben pensarci, e invece non lo ero. Sapevo di essere al capolinea. I succhiasangue non catturano le persone per poi decidere che dopotutto non sono davvero affamati e che possono lasciarle andare. Io ero la cena.

E per adempiere al mio compito, dovevo morire. Era un po’ come dire: okay, è andata così, che sfortuna, accidenti. Come ci si sente quando si scopre che una vacanza è stata cancellata all’ultimo minuto, o quando si passa tutta la giornata a preparare una magnifica torta di compleanno per il proprio ragazzo e poi proprio mentre gliela si sta portando si inciampa sulla soglia di casa, facendola atterrare sul suo cane. ‘Accidenti.’

Ma era tutto lì.

Ero stesa a terra, ansavo e ascoltavo il mio cuore impazzito, ma provavo uno strano senso di calma. Eravamo ancora vicino al lago. Da dove mi trovavo, riuscivo a vederlo attraverso gli

alberi. Era ancora una splendida e serena notte di luna.

«Lo facciamo subito?» A parlare era stato quello che si era accorto che ero cosciente. Era un po’ discosto dagli altri: sedeva dritto sul ceppo di un albero o su una roccia, non riuscivo a

vederlo, come se stesse di vedetta.

«Sì. Bo ha detto così. Ma ha detto che prima dobbiamo vestirla.» Suonava come un comando. Forse era la voce di quello che mi aveva fatto il Soffio.

«Vestirla? Cos’è, una festa?»

«Pensavo che saremmo stati noi a fare festa, mentre...» disse un terzo. Parecchi di loro risero. Le loro risate mi fecero accapponare la pelle. Non riuscivo a distinguere ogni sagoma, a parte quella della vedetta. Non vedevo quanti fossero. Mi sembrava che avessero voci maschili, ma non ne ero certa. Le voci dei succhiasangue sono strane al punto di non saperle distinguere in questo senso.

«Bo dice che il nostro... ospite è uno vecchio stampo. Le donne dovrebbero indossare un vestito.» Potevo sentire che mi guardavano, percepire lo scintillio dei loro occhi alla luce del

fuoco. Non provai a incrociare i loro sguardi. Anche se sapevo già di essere uno spuntino, non avevo intenzione di guardare negli occhi dei vampiri.

«Ah, quindi è una donna.»

«Non importa. Ci assomiglierà abbastanza, con un vestito.»

Al che tutti loro risero di nuovo. Credo di aver emesso un gemito, allora. Uno dei vampiri si staccò, scivolando, dall’indistinta e sfocata massa scura di vampiri e mi si avvicinò. Il cuore stava per schizzarmi fuori dalla bocca, ma rimasi immobile. Stranamente, stavo cominciando a trovare la strada verso la calma, come se potessi tornare di nuovo in me, se solo ne avessi avuto l’occasione. Come se la capacità di pensare con chiarezza e tranquillità potesse giovarmi, in qualche modo. Mi chiesi se fosse così che ci si sente quando ci si sveglia la mattina del giorno in cui è fissata la propria esecuzione.

Va detto che io non sono affatto una persona coraggiosa. Non sopporto di essere presa in giro e non mi piacciono gli scherzi.

In poche parole sono una stronza. Credetemi, ho le prove. Ma qui il problema era diverso. Io non sono ‘coraggiosa’. Mel è coraggioso. Il suo più vecchio amico una volta mi aveva raccontato delle storie su di lui che avevo faticato perfino ad ascoltare a proposito di una missione durante le Guerre, e Mel si era incazzato quando lo aveva scoperto, anche se non aveva mai negato che fossero successe. Mia madre invece è coraggiosa: ha lasciato mio padre ritrovandosi senza soldi, senza lavoro, senza prospettive (i suoi genitori l’avevano scaricata quando lo aveva sposato, e le sue sorelle minori non avevano più saputo nulla di

lei fin quando non si era fatta viva di nuovo, anni dopo, al Charlie’s) e con una figlia di sei anni. Anche Charlie è coraggioso: ha aperto la caffetteria convincendo la sua banca a concedergli un prestito in cambio della casa che possedeva nel periodo in cui, per le strade di Old Town, si vedevano solo topi, scarafaggi, derelitti e lo stesso Charlie.

Io non sono coraggiosa. Preparo i rotolini alla cannella. Leggo molto. Per me il massimo dell’emozione è quando Mel parte da un semaforo impennando con la moto e io sono seduta dietro di lui.

Il vampiro era in piedi proprio accanto a me. Non mi sembrava di averlo visto arrivare. L’avevo visto alzarsi e diventare un singolo che si staccava da un gruppo di vampiri. E subito

dopo era vicino a me. Quell’essere. Lui. Guardai la sua mano che mi porgeva qualcosa. «Indossalo.» Riluttante allungai un braccio e presi ciò che mi stava dando. Non sembrava più desideroso di toccarmi di quanto io lo fossi di toccare lui; ciò che mi aveva portato scivolò dalle sue mani alle mie. Si allontanò. Cercai di guardarlo, ma non riuscii a distinguerlo dalle ombre.

Semplicemente non c’era più.

Mi alzai e voltai loro le spalle. Si potrebbe pensare che non si possono voltare le spalle a un gruppo di vampiri, ma chi preferirebbe guardarli mentre controllano i nodi della corda, la resistenza del cappio e la leva della botola invece di chiudere gli occhi? Così mi girai. Mi tolsi la maglietta facendola passare sopra la testa e mi lasciai ricadere addosso il vestito. Le bretelline coprivano a malapena quelle del reggiseno; il collo, le spalle e gran parte della schiena e del petto rimasero scoperti. Pranzo a buffet. Molto divertente. Mi sfilai i jeans da sotto la gonna lunga e ampia. Voltavo ancora loro le spalle. Speravo che i vampiri non fossero davvero interessati a un pasto che, da quanto avevo capito, era destinato a qualcun altro. Non mi piaceva voltargli le spalle, ma continuavo a ripetermi che non importava.

Ero stata appositamente goffa e maldestra nel togliermi i jeans, perché nel frattempo stavo cercando di nascondere il mio piccolo coltellino a serramanico dentro il reggiseno. L’avevo fatto solo per dire a me stessa che non mi ero ancora arresa. A cosa mi sarebbe servita una lama ripiegata di sei centimetri contro tutti quei vampiri?

Mi ero dovuta togliere le scarpe da ginnastica per sfilarmi i jeans e le guardai dubbiosa. Il vestito aderente era di seta, e non stava bene con quelle scarpe, ma in ogni caso non mi piaceva andare in giro a piedi nudi.

«Va bene così» disse quello che mi aveva dato il vestito. Era riapparso dalle ombre. «Andiamo.»

Allungò una mano e mi afferrò un braccio.

Fisicamente mi limitai a sussultare; dentro di me ci fu una rivoluzione. La calma vacillò e il panico prese il sopravvento.

La testa mi pulsava e girava; se non fosse stato per quelle terrificanti dita strette intorno al mio braccio, sarei caduta a terra.

Un secondo vampiro mi prese per l’altro braccio. Non lo avevo visto avvicinarsi, ma in quel momento non vedevo più nulla, e non provavo più nient’altro che panico allo stato puro. Non

importava se mi avevano toccata anche prima, quando mi avevano presa, quando mi avevano gettata nell’oscurità, quando mi avevano portata ovunque ci trovassimo: non ne ero stata consapevole. Ora invece me ne rendevo conto.

Ma il mio senso di calma, quella strana compostezza distaccata, qualunque cosa fosse, alla fine tornò. Era la sensazione più strana che avessi mai provato. La calma e il panico si scontrarono nel mio corpo in preda agli spasmi, e fu la calma a vincere.

Il mio cervello sussultò come un motore freddo e, con riluttanza, si accese di nuovo.

Mentre tutto questo accadeva dentro di me, i vampiri mi avevano trascinata avanti per qualche passo al buio. La mia mente notò senza grandi sconvolgimenti che ora indossavano

dei guanti. Come se questo rendesse tutto normale, il panico si placò. Mi faceva male un piede; ero già riuscita a sbatterlo contro qualcosa di invisibile nell’oscurità.

Il materiale di cui erano fatti i guanti sembrava pelle. Mi chiesi di quale animale.

«Sei proprio una tipa silenziosa» mi disse il secondo vampiro.

«Non ti metterai nemmeno a pregare di essere risparmiata?

» Quell’essere rise. Lui rise.

«Silenzio» intimò il primo vampiro.

Non so come facessi a saperlo, dato che non li vedevo né li sentivo, ma ero sicura che gli altri vampiri ci stavano seguendo, a parte uno o due che stavano svolazzando tra gli alberi davanti a noi. Forse non lo sapevo. Forse me lo stavo solo immaginando.

Non andammo lontano, ma avanzammo lentamente. Per qualche ragione i due vampiri che mi tenevano mi permisero di mantenere la mia traballante, scalza andatura umana sul terreno sconnesso nell’oscurità. Dovette sembrargli di andare più lentamente che strisciando. C’era ancora la luna, ma la luce che filtrava attraverso le foglie non aveva altro effetto se non quello di confondermi di più. Non mi sembrava di conoscere la zona, anche se potevo vederla. Mi parve di avvertire una sacca di male, non troppo lontano, più in là, tra gli alberi. Mi chiesi se i vampiri percepissero le sacche di male come gli umani. Tutti si chiedevano se i vampiri avessero qualcosa a che fare con la presenza delle sacche di male, ma erano luoghi molto misteriosi;

le Guerre Voodoo avevano generato le sacche di male e i vampiri erano stati il principale nemico nelle Guerre, ma anche su globenet non sembrava possibile saperne di più. Tutti, dalle nostre parti, sapevano della presenza di sacche di male intorno al lago, che ci fossero andati a fare escursioni o meno, ma non c’è mai stata notizia di attività da parte dei succhiasangue. I vampiri tendono a preferire le città: immagino che sia per via della maggiore densità di popolazione umana.

Gli unici rumori erano quelli prodotti da me, il leggero fluire dell’acqua del lago e lo stormire delle foglie mosse dal vento.

La riva era più sassosa che paludosa, e quando attraversammo un torrentello irregolare, l’acqua fredda contro il mio piede fu per me uno shock: Sono vivo, mi disse.

Il senso di calma razionale, ora, mi faceva riflettere sul fatto che sembrava che i vampiri fossero in grado di attraversare l’acqua corrente, almeno in alcune circostanze. Forse la portata del fiume era importante. Osservai che i miei due guardiani lo avevano attraversato saltando da una riva all’altra. Forse non volevano bagnarsi le scarpe, visto che avevano delle scarpe molto costose. Sarebbe stato davvero un brutto affare, per le società

produttrici di fossati elettrici, se si sapesse che l’acqua corrente non ferma i succhiasangue.

Potevo sentire crescere in me una sensazione che non sapevo definire. Oppressione, ansia, preoccupazione, presentimento.

Naturalmente stavo provando tutte queste emozioni insieme.

Ma ci stavamo avvicinando al posto al quale eravamo diretti, qualunque fosse, e la situazione non piaceva neanche alla mia scorta. Cercai di convincermi che era una mia impressione, ma quella sensazione rimase.

Uscimmo dalla zona alberata e ci fermammo. C’era abbastanza luce lunare da farmi sbattere le palpebre; o forse fu la sorpresa di giungere in una radura. È difficile pensare che i succhiasangue escano allo scoperto sotto il cielo in uno spazio aperto, perfino di notte.

Un tempo vicino al lago sorgevano anche case davvero grandi.

Avevo visto le foto su delle riviste, ma non ci ero mai stata di persona. Erano state abbandonate come tutte le altre durante le Guerre ed erano state bruciate, o fatte saltare in aria, o andate in rovina, ormai. Tuttavia in quel momento il mio sguardo stava risalendo un alto pendio, un tempo ornato di giardini e parchi, con in cima un grande palazzo. Persino nella luce della luna riuscivo a vedere quanto fosse malandata: mancavano alcune tegole e persiane, e c’era almeno una finestra rotta. Ma era ancora in piedi. Quello in cui ci trovavamo dove va essere stato un prato verde soffice e perfetto, e nel terreno vicino alla casa si distinguevano delle cicatrici che dovevano essere state vialetti e aiuole. C’era una rimessa per le barche il cui tetto era crollato, nel punto in cui ci eravamo fermati, vicino alla riva. La sacca di male era lì nei pressi; era proprio dietro la casa. Mi sorprese il fatto che ci fosse un edificio ancora relativamente integro così vicino a una sacca di male; c’erano un sacco di cose che non sapevo delle Guerre.

Sentivo che sarei stata molto felice di continuare a non sapere.

«È tempo di farla finita» disse il luogotenente di Bo.

Iniziarono a risalire il pendio, dirigendosi verso la casa. Gli altri erano emersi dagli alberi (dove erano rimasti per tutto il tempo) e stavano arrivando alla spicciolata dietro noi tre, i miei due carcerieri e io. La sensazione che nessuno di loro fosse felice divenne più intensa. Mi chiesi se la loro voglia di camminare tra i boschi con la maldestra andatura umana avesse qualcosa a che fare con questo. Alzai gli occhi verso il cielo chiedendomi, quasi con calma, se quella sarebbe stata l’ultima volta in cui l’avrei visto. Lanciai un’occhiata in basso e a entrambi i lati.

Camminare lì era difficile quasi quanto lo era stato tra gli alberi. C’era qualcosa di strano... Pensai al capanno dei miei genitori e agli altri capanni e alle casette (o meglio, a ciò che ne rimaneva) che vi sorgevano intorno. Nei dieci anni passati da quando le Guerre erano state dichiarate ufficialmente concluse, intorno a tutte le vecchie costruzioni erano cresciuti, un po’ dappertutto, alberelli e arbusti. Sarebbe dovuto succedere lo stesso intorno a quella casa. È stata ripulita, mi dissi. Di recente. Ecco perché il terreno è così irregolare. Mi guardai di nuovo intorno: ora che la esaminavo meglio mi appariva evidente che anche il bosco era stato ricacciato indietro. La grande casa se ne stava appollaiata, solitaria, nel mezzo di una vasta distesa di terra che era stata rozzamente ma del tutto spogliata di qualunque cosa potesse proiettare un’ombra.

Questo non avrebbe dovuto peggiorare la mia situazione, ma di colpo cominciai a tremare, cosa che prima non mi era successa.

Era evidente che quella casa era la nostra destinazione.

Inciampai, e poi inciampai di nuovo. Non lo avevo fatto apposta, come per una specie di disperata tattica per ritardare l’inevitabile; stavo semplicemente perdendo la capacità di mantenere il controllo. C’era qualcosa di strano in quello spazio ripulito, su ciò che comportava per... qualunque cosa mi attendesse.

Qualcosa nel modo di fare riluttante della mia scorta. Nel fatto che, di conseguenza, ciò che mi aspettava laggiù era più terribile di loro.

I miei carcerieri si limitarono a rafforzare la presa, e mi costrinsero ad avanzare quando vacillai. I succhiasangue sono molto forti; sembravano essersi accorti di starmi praticamente portando avanti di peso, visto che le mie ginocchia avevano ceduto e che i piedi avevano perso l’appoggio sul terreno sconnesso.

Mi trascinarono su per le poche scale rimaste fino al portico ampio e un tempo elegante; i gradini scricchiolarono sotto il mio peso, come se fossi inciampata, mentre gli altri vampiri vi

scivolarono sopra, passandoci da entrambi i lati, senza produrre più rumore di quanto ne avessero fatto spostandosi tra gli alberi. Uno di loro aprì la porta d’ingresso e si mise da parte per far sì che la prigioniera e le sue guardie entrassero per primi.

Entrammo in una grande stanza vuota e buia; il chiarore lunare si riversava all’interno attraverso delle porte aperte sulle pareti ai nostri fianchi, portando abbastanza luce da permettere ai miei occhi di rendersi conto delle dimensioni. Probabilmente quella stanza era più grande dell’intero pian terreno della casa di mamma e Charlie. In fondo a essa, una scala saliva avvolgendosi a spirale, scomparendo nel buio sovrastante.

Girammo a sinistra e passammo attraverso una porta socchiusa.

La stanza successiva doveva essere stata una sala da ballo; era anche più grande dell’ingresso. Non c’erano mobili, per quel che vedevo, ma in alto c’era una grande massa (l’ombra aveva attirato subito la mia allarmata attenzione), che sembrava qualcosa di simile a un enorme lampadario, anche se mi sarei aspettata che un oggetto del genere fosse stato rubato anni prima. Quando lo attraversai mi sembrò di camminare per chilometri.

C’era qualcos’altro appoggiato contro il muro di fronte a noi; qualcosa dalla forma umana, pensai, confusa. Un altro prigioniero? Un’altra cena vivente? Attendere in compagnia di

essere mangiati sarebbe stato meno terribile che aspettare da soli? Dov’era ‘l’ospite vecchio stile’che preferiva i vestiti ai jeans e alle scarpe da ginnastica? Oh, dèi e angeli, fate in modo che finisca tutto presto, non ce la faccio più...

Quello che avevo davanti mi sembrava una persona seduta a gambe incrociate, con il capo chino e gli avambracci appoggiati sulle ginocchia. Non mi resi conto, finché non sollevò la

testa con un movimento fluido, inumano, che si trattava di un altro vampiro.

Saltai all’indietro. Non avrei voluto: sapevo che non sarei potuta fuggire, ma non potei farne a meno. Il vampiro alla mia sinistra, quello che mi aveva chiesto perché non imploravo, rise

di nuovo. «In fondo sei ancora viva, ragazza. Mi stavo proprio chiedendo se lo fossi. Bo non sarebbe stato contento di scoprire che avevamo catturato una sciacquetta. Vuole che i suoi ospiti siano di buon umore.»

Il luogotenente di Bo lo redarguì di nuovo: «Silenzio!»

Uno degli altri vampiri scivolò verso di noi e gli consegnò qualcosa. L’oggetto passò dall’uno all’altro come fosse un fazzoletto ma... fece un rumore metallico.

Il luogotenente di Bo ordinò: «Tienila.» Lasciò andare il mio braccio e mi sollevò un piede, con la stessa disinvoltura di un carpentiere che solleva un martello. Sarei caduta, ma l’altro fu rapido ad afferrarmi. Qualcosa di freddo si chiuse intorno alla mia caviglia e, quando il mio piede fu lasciato andare, ricadde con tale forza che sbattei con violenza la pianta a terra. Mi avevano messo un ceppo di metallo con attaccata una catena. Il vampiro che l’aveva consegnato al luogotenente di Bo tese l’altra estremità della catena e l’agganciò a un anello infisso nel muro.

«Quanti giorni sono passati, Connie?» chiese dolcemente il luogotenente di Bo. «Dieci? Dodici? Venti? È giovane, liscia e calda. Favolosa. Bo ci ha detto di trovartene una carina. È tutta tua. Non l’abbiamo toccata.»

Mi vennero in mente i guanti.

Indietreggiò lentamente mentre parlava, come se il vampiro seduto a gambe incrociate potesse assalire lui. Il vampiro che mi teneva sembrava guardare in modo indolente il luogotenente di Bo, ma poi, con un improvviso, sconvolgente sibilo, mi lasciò andare e scattò dietro di lui e gli altri, che già stavano tornando a dissolversi tra le ombre, come se temesse di essere lasciato indietro.

Caddi e per un momento rimasi stordita e non riuscii a muovermi. Grazie alla loro capacità di movimento, i vampiri erano già dall’altra parte della grande stanza, vicino alla porta. Mi sembrò che fosse stato il luogotenente di Bo, anche se non vidi come, a fare una specie di gesto, in seguito al quale il lampadario si illuminò di colpo. «Immagino che vorrai controllare quello che stai per prendere» disse, e ora che se ne stava andando la sua voce risuonò

forte e sprezzante. «Bo non voleva darti l’idea che ti avremmo giocato qualche tiro mancino. E, certo, okay, ovviamente la luce non ti serve. Ma è più divertente se anche lei ti può vedere, no?»

Il vampiro che mi aveva lasciata disse: «Ehi, i suoi piedi sanguinano di già... se ti piacciono i piedi.» Ridacchiò, con un alto e acuto stridio da goblin.

Un attimo dopo erano svaniti.

Prima edizione: ottobre 2010

Titolo originale: Sunshine

© 2003 by Robin McKinley

© 2008 by Fanucci Editore