Ovvero "un porco che non vola è solo un porco".
Come funziona la distribuzione di un film nelle sale cinematografiche? In Italia, dove spesso si applicano davvero poco le politiche di valorizzazione della cultura, accade che il distributore, in questo caso la Lucky Red, metta in atto una campagna d’informazione per offrire il proprio film agli esercenti. I proprietari dei cinema scelgono, ovviamente, quelle pellicole che garantiscono un incasso maggiore e se parliamo di un film d’autore dello Studio Ghibli come Porco Rosso, peraltro “vecchio” di quasi vent’anni, diventa comprensibile il fatto che sia uscito nelle sale solo ora. Addirittura in alcune regioni, come la Sardegna e la Calabria, al momento in cui scriviamo non è ancora in programmazione, malgrado la Lucky Red abbia realizzato un adattamento e un doppiaggio di altissima qualità, nel rispetto dei dialoghi originali.
Presentato al Festival Internazionale del Cinema di Roma 2010 all’interno della Retrospettiva Ghibli, Porco Rosso nasce nei primi anni ’90 come cortometraggio, prodotto dalle Japan Airlines, per le proiezioni durante i voli ma ben presto diventa espressione delle passioni personali di Miyazaki, non ultima quella per l’aviazione, diventando così un film d’animazione vero e proprio.
Cieli d’Italia, 1929. Marco Pagot (un omaggio del Maestro alla famiglia Pagot, celebri disegnatori italiani) è stato un pilota dell’aereonautica militare italiana durante la Prima Guerra Mondiale, attualmente un cacciatore di taglie al servizio della comunità, chiamato Porco Rosso a causa delle sembianze suine e del colore del suo idrovolante.
Amante del cinema, il suo soprabito ricorda molto da vicino il Bogart di Casablanca, un passato misterioso alle spalle, inseguito per motivi ignoti dalla polizia fascista, Marco Pagot è un vero e proprio eroe romantico disincantato, malinconico e di poche concrete parole. La trama non si impegna a spiegare il motivo per cui, a un certo punto della sua vita, Marco venga chissà come trasformato in un maiale antropomorfo e, tutto sommato, nell’economia complessiva della storia non sembra essere rilevante conoscere questo particolare. Resta infatti il fascino del “non detto” che, oltre a lasciare aperto il finale all’annunciato sequel, consente di immaginare ciò che vogliamo.
Il finale rimane aperto e lascia la curiosità di conoscere il destino del protagonista: tanto meglio, perchè Miyazaki ha annunciato che, nei prossimi progetti dello Studio Ghibli, c’è anche l’idea di realizzare un sequel che si intitolerà Porco Rosso: the last sortie, ambientato probabilmente qualche anno più tardi durante la guerra civile spagnola.
La carriera di Hayao Miyazaki è un’espressione artistica ad alto tasso creativo ma soprattutto emotivo, che lascia esplodere la sua rara sensibilità: attraverso i propri lavori il regista nipponico rivela una profonda capacità espressiva, dai risvolti deliziosamente metaforici, e Porco Rosso non fa certo eccezione: ispirata a Hikōtei Jidai (L'età della barca volante) un fumetto ad acquerello pubblicato dallo stesso Miyazaki nel 1989 sulla rivista di settore Model Graphix, la storia di Marco Pagot richiama fortemente, nella grafica, le avventure di Arsenio Lupin di cui lo stesso Miyazaki fu co-regista negli anni 70, avventure che appassionarono i ragazzi italiani degli anni 80, anni in cui furono trasmesse per la prima volta.
Gli sfondi su cui si muovono i personaggi sono colorati, luminosi, dai toni brillanti, e seppure vagamente statici partecipano a creare un grande impatto scenografico, donando armonia a ciò che succede "davanti". Soprattutto, i paesaggi verdi e marini richiamano fortemente la tecnica ad acquerello che lo stesso Miyazaki usò per a Hikōtei Jidai, nonché lasciano trapelare il suo grande amore e rispetto per la natura.
Il tutto è magistralmente sostenuto da una sapiente alternanza tra musica e silenzi, ed è Joe Hisaishi (collaboratore musicale storico di Miyazaki e Takeshi Kitano, compositore dei brani di Ai Shite Night (Kiss Me Licia), del 1983), a curare la colonna sonora del film, creando melodie che ben supportano le varie scene, adeguandosi con garbo e coerenza alla tragicità o all’ilarità, alla solennità o alla leggerezza, al movimento o alla staticità della scena, rivelando la grande sensibilità e maestria del compositore nipponico a saper creare una emozionante mescolanza sonora unendo strumenti tipici della tradizione italiana, il mandolino, soprattutto nel main theme, in melodie di respiro orchestrale in cui ciascuna categoria strumentale trova il proprio spazio espressivo, ma anche brani di stampo bandistico che molto richiamano le atmosfere tipiche di quegli anni.
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