Qualcuno di voi si ricorda di un volume degli anni '80 chiamato Sposerò Simon Le Bon? Ne venne tratto persino un film. Ogni fenomeno adolescenziale di massa genera prodotti che lo raccontano dall'interno, da fan che raccontano la loro esperienza agli altri fan. Poteva Twilight di Stephenie Meyer sfuggire a questa regola?
La Corte editore propone nel suo catalogo il romanzo Non lasciarmi Edward, scritto da Stefania Niccolini.
Il volume racconta la storia di Irene, una ragazza che leggendo Twilight s'innamora a tal punto di Edward Cullen che tutti i ragazzi in carne e ossa non reggono più il confronto.
In seguito a una amnesia da trauma, la ragazza si convincerà di essere Bella Swan, non arrivando più a distinguere la differenza tra vita reale e fantasia.
Al libro è collegato un concorso che mette in palio un week end a Volterra (www.lacorteditore.it/index.php/concorso-vinci-volterra/).
La quarta di copertina
Edward Cullen il vampiro protagonista della famosissima saga di Twilight. Affascinante, tenebroso, romantico, rappresenta il ragazzo ideale di milioni di fan in tutto il mondo. Una di queste Irene Gigli, una liceale sedicenne che, leggendo il romanzo, si innamora perdutamente di Edward, incurante del fatto che sia solo un personaggio immaginario.
Proprio lei, che aveva cercato in tutti i modi di evitare il libro, cade quindi vittima di una vera e propria ossessione sentimentale, che renderà impari il confronto con tutti i ragazzi 'umani'.
Le cose si aggraveranno ancora di più quando, in seguito a uno sfortunato incidente, la ragazza si risveglierà con una strana amnesia, convinta di essere Bella Swan, la protagonista femminile della saga di Twilight, appena abbandonata dal suo amato.
Tutto ci darà il via ad una serie di bizzarri equivoci che movimenteranno, a dir poco, la vita di Irene, dei suoi migliori amici e di tutta la sua famiglia, i quali si ritroveranno a gestire una situazione che, per quanto paradossale, nasconde pericoli e insidie reali: primo fra tutti, quello di non accorgersi che l'Amore, quello vero, solo dietro l'angolo.
L'autrice
Stefania Niccolini, classe 1971, originaria di Firenze, è Laureata in Economia e Commercio a ha avuto svariate esperienze lavorative, prima di scoprire che scrivere e inventare giochi era molto più divertente.
Ha già al suo attivo la pubblicazione di un gioco di società e, nel cassetto, ha già altri progetti pronti per essere realizzati.
Anche lei, racconta, di essere stata affetta da "Twilite Acute".
Stefania Niccolini, Non lasciarmi Edward
La Corte Editore - Collana: Skyline
pp. 240 - 14,90 euro
ISBN: 978-88-96325-05-6
6 commenti
Aggiungi un commentoIl mondo dell'editoria è una giungla insidiosa tra editoria a pagamento (es. Albatros), leggi che lo angariano (Leggi Levi), lievitazioni dei prezzi degli ebook al pari delle versioni cartacee, la mentalità che si basa solo sul profitto. Non è una bella visione.
Come in questo caso, quando l'editore Gianni La Corte, intervenendo in una discussione per difendere il libro che ha pubblicato, usa affermazioni del genere: “un libro deve vendere, no? Se no, cosa lo si scrive a fare?”.
Il mio pensiero riguardo lo scrivere è altro: se si scrive solo per pubblicare, è meglio lasciare perdere, perché fare così è tradire lo spirito della scrittura.
Marina, c'è differenza tra il saggio che hai scritto tu su HP e quest'opera: il tuo è un lavoro d'approfondimento, fatto con passione (lo si vede da quanto hai scritto e recinsito sulla saga potteriana), questo sfrutta l'"onda emotiva" delle numerose fan: molte fan, maggior bacino di denaro. Il tuo ragionamento dell'impatto sociologico lo comprendo e lo trovo anche valido; ciò che contesto è la mentalità dimostrata dall'editore e le sue parole lo confermano. So che l'editoria deve dare profitto, essendo impresa, essendo pianificazione e raziocinio, ma è anche altro. Ed è proprio quest'altro che può portare grandi cose, grandi cambiamenti. Basta pensare alla Rowling e all'editore che le disse "Ma a chi vuole interessi un maghetto che va a scuola di magia?"; adeguarsi solo a quello che va per la maggiore, solo ciò che rende, senza intraprendere strade nuove, porta a impantanarsi.
come editore lo capisco, qualunque editore cerca il libro che venda. Il che non vuol dire pubblicare la lista della spesa, certo, ma ogni editore è prima di tutto un imprenditore e sa che se un libro floppa è un guaio. Specialmente i medio piccoli devono 'funambolizzare' fra successi e insuccessi e non è facile. L'editoria è un marchingegno complesso, non basta la bontà di un libro per vendere, ci sono un sacco di variabili, la distribuzione e quindi la visibilità in libreria in primis.
Per questo è difficile 'osare' territori inesplorati. Anche perché chi agogna l'innovazione è solo una piccolissima fetta del parco lettori, la maggioranza va dove tira il vento. Non a caso la Rowling, che porti a esempio, si è vista porte in faccia da 10-12 (le fonti discordano sul numero esatto) case editrici. E anche solo 10 case che ti dicono "no, grazie" è abbastanza devastante. Benché su questo punto io abbia una teoria e cioè che l'incipit della Pietra Filosofale sia scritto proprio male e che gli editori in questione non siano andati più in là delle prime pagine. Infatti Bloomsbury l'ha messa sotto contratto perché i primi capitoli se li è letti la figlia del boss prima che il boss avesse tempo di metterci il naso. I bimbi non fan caso alla qualità stilistica, badano al sodo.
Se poi aggiungi che la Row ha spedito a un agente che non trattava Fanatstico e, nonostante questo, è stata miracolosamente ripescata dalla slush pile da un'impiegata (altra 'tecnicamente non addetta'), capisci bene che il suo è un caso più unico che raro (da cui il titolo L'Incantesimo HP ) che non può essere preso a esempio.
Sulla seconda affermazione invece dissento anch'io. Un libro lo si scrive per mille ragioni ma credo che vendere, per l'esordiente, sia una chimera su cui non punta affatto, se è realista
ecco, nemmeno qui sono d'accordo. Nel senso che per me non è importante la ragione per cui uno scrive. Se anche scrive solo per pubblicare, questo non significa che scriva monnezze, così come uno armato del Sacro Fuoco della Scrittura non è detto che scriva qualcosa di pubblicabile. Inoltre, pubblicabile non signica necessariamente pregnante e viceversa.
onda emotiva, sono parole chiave, hai centrato il punto. Il mio interrogativo, allora è perché il fandom parla di speculazione quando una persona che già da due anni scriveva GRATUITAMENTE sul tema gli proprone un prodotto di raziocinio, mentre un'autrice che, a quanto sembra sbuca dal nulla, gli propone un prodotto emotivo è ok? Sia ben chiaro, non ne faccio un discorso moralistico, come ho detto ognuno è libero di scrivere e comprare ciò che vuole ; e non è nemmeno un discorso comparativo, visto che il saggio è andato cmq bene, paragonato alla vita media di saggi di questo tipo editi da una piccola casa, e quindi sono più che soddisfatta e auguro all'autrice un risultato altrettanto lusinghiero. Ma è il meccanismo, e il suo risultato, a perplimermi: non bisogna essere esperti di pubblicità per sapere che il bottone emotivo è la chiave del commercio. Debbo dunque dedurre che il fan è entrato nel meccanismo senza nemmeno realizzarlo? Mi sembra l'unica spiegazione per giustificare lo stigma della saggistica (è successo non solo a me eh, anche ad altri saggi pubblicati dopo il mio).
PS In ogni caso, la controindignazione purista contro questo prodotto è altrettanto ingiustificata. Non solo perché, come ho detto, il lettore è libero di scegliere, ma anche perché c'è l'erronea convinzione che un libro che in qualche modo è legato a un libro di successo abbia orde di acquirenti, Non funziona così! L'unico modo per avere orde di acquirenti oggi, nella saggistica è essere uno Hawking e nella narrativa scrivere opere non strettamente derivative come questa e poi pregare perché tutte le variabili di cui parlavo si incastrino al punto giusto .
"un libro deve vendere, no? Se no, cosa lo si pubblica a fare?”.
Se un editore fa questa affermazione è accettabile, fa parte del suo lavoro. Ma scrivere e pubblicare non sono la stessa cosa, c'è differenza.
Ho criticato il principio, non ho certo detto che chi scrive solo per pubblicare scrive male o che chi è appassionato realizza capolavori: la qualità di scrittura è altro. Certo, c'è la possibilità che chi fa questo lavoro (lo scrivere) con passione ha una spinta in più rispetto ad altri e gli faccia aggiungere un tocco in più. Chi ama davvero la scrittura s'impegnerà sempre a migliorare, a mettere le opere realizzate nel migliore dei modi; è vero che anche un professionista fa così, ma se non ama veramente quello che fa, gli mancherà sempre un qualcosa. Scrivere solo per soldi mi pare limitante e fa perdere il tanto che la scrittura può dare.
sicuramente scrivere solo per soldi è limitante, diventa un lavoro da catena di montaggio ma, come dicevo prima, il discorso, applicato agli esordienti, non ha cmq senso, quindi non capisco perché venga tirato sempre in ballo.
Non è riferito all'esordiente: potrebbe anche essere un autore noto.
La critica è al messaggio che lancia l'editore con quell'affermazione, l'autore non c'entra in questo discorso. Perché il discorso che ha fatto s'adatta al modo di fare di questa società: tutto incentrato sul guadagno, sui soldi, ogni cosa gira attorno a essi. E non è un bene, visti i risultati che ha portato.
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