Raperonzolo è una fiaba popolare, pubblicata nella celebre raccolta degli inizi del XIX secolo curata dai fratelli Grimm.
Il racconto - che alcuni fanno risalire al mito greco di Danae, principessa rinchiusa in una torre dal padre, poi liberata e resa madre da Zeus - ha un’antesignana italiana in Prezzemolina, che compare ne Lo cunto de’ li cunti di Gianbattista Basile col nome strettamente dialettale di Petrosinella. In quest’ opera, datata 1634, la fiaba appare in versione molto meno cruenta rispetto a quella dei Grimm.
Eccole le due storie a confronto:
La versione dei Grimm
Una coppia di sposi è in attesa dell’agognato bambino. La loro casa confina con l’orto della signora Gothel, una vecchia maga. Qui vengono coltivati dei meravigliosi e invitanti raperonzoli, che diventano l’ossessione della gestante, al punto da confessare al marito che, se non riuscirà a mangiarne, di certo morirà.
Per scongiurare il nefasto evento, l’uomo trafuga una manciata degli ortaggi proibiti e riesce così a soddisfare il desiderio della moglie, che però il giorno seguente si riaffaccia più forte di prima. Il marito si reca nell’orto una seconda volta, ma qui viene fronteggiato dalla maga, che gli accorda il permesso di portar via raperonzoli a piacere in cambio del nascituro, che si rivelerà essere una bimba. L’uomo, incautamente, accetta e così, subito dopo la nascita, la maga si presenta a reclamare il debito. A allo scoccare del dodicesimo anno, la bimba, che è stata chiamata Raperonzolo, viene rinchiusa dalla maga in una torre senza porte e con una sola finestra in cima. Qui ella si reca a farle visita ogni giorno, arrampicandosi fino alla sommità della torre grazie alle lunghissime trecce della ragazzina.
Qualche anno dopo, un principe passa a cavallo vicino alla torre, attirato dal canto di Raperonzolo. Cercata inutilmente una porta di accesso, non gli rimane che tornare puntualmente ogni giorno per ascoltare la voce melodiosa della fanciulla fino a quando, di nascosto, non scorge la maga mentre ordina alla prigioniera di gettarle le trecce. Scoperto il modo per scalare la torre, il giorno seguente il principe usa la medesima filastrocca per farsi gettare le trecce e finalmente raggiunge Raperonzolo sulla cima. Qui le si dichiara immediatamente e i due convengono di incontrarsi di lì in poi tutte le sere, dopo che la maga ha effettuato la sua visita giornaliera. Tutto fila liscio finché un giorno Raperonzolo si tradisce, chiedendo alla vecchia come mai ella pesi sulle sue trecce molto più del principe. La maga, sentitasi tradita, taglia i capelli della fanciulla e la trasferisce in un deserto dove ella sarà condannata a vivere in miseria. La stessa sera, la vecchia si nasconde nella torre fingendosi Raperonzolo e, al richiamo del principe, gli getta le trecce. Quando egli giunge in cima, la maga lo informa che non rivedrà mai più la sua amata; in preda al dolore, il principe salta giù dalla torre, salvandosi miracolosamente la vita ma trafiggendosi incautamente gli occhi con delle spine.
Dopo anni di vagabondaggio disperato, alla fine giunge nel luogo dove si trova Raperonzolo, la quale vive assieme ai due gemelli che ha intanto partorito. Le lacrime versate dalla ragazza si rivelano taumaturgiche e così il principe, riacquistata la vista, è finalmente libero di condurre la sua sposa e i suoi figli nel proprio regno.
La versione di Basile
Una donna di nome Pascadozia abita vicino a un bellissimo e fragrante orto di prezzemolo. Un giorno, presa dall’irrefrenabile voglia di gustare una salsa, ella ruba una manciata di foglie e si cava il desiderio, il quale però ritorna più forte di prima. Durante la seconda incursione nell’orto, la proprietaria, una strega vecchia e cattiva, le intima di ripagarle il prezzemolo rubato col bambino che le nascerà l’anno seguente. Pascadozia, incautamente, promette, ma ben presto si dimentica l’episodio. Quando le nasce una bimba, il marito le propone di chiamarla Prezzemolina, in omaggio alla voglia a forma di prezzemolo sul braccio della piccola. Pascadozia si ricorda così, d’improvviso, della promessa fatta alla strega, ma non ha nessuna intenzione di mantenerla e, per evitare brutti incontri alla bimba, per i primi tempi l’accompagna a scuola tutti i giorni. Poi, visto che il tempo passa e nulla accade, la donna si convince che anche la strega ha scordato la promessa.
Nel frattempo, Prezzemolina diventa adolescente e un giorno, di ritorno da scuola, riferisce a sua madre di aver incontrato una vecchia, la quale le manda a dire di rammentare la promessa fatta. La donna, spaventata, cerca di ignorare l’episodio, che però si ripete nei giorni successivi. Quando, spazientita, Prezzemolina chiede alla madre cosa rispondere all’insistente vecchia, Pascadozia, confidando nella fatto che la strega non oserà mai tanto, suggerisce alla figlia di invitare la vecchia a prendersi la sua promessa. Prezzemolina ubbidisce e così la strega se la porta via, rinchiudendola in una torre senza porte e senza scale, e provvista solo di una sola finestrella. Qui la vecchia, arrampicandosi grazie alle lunghe trecce della fanciulla, si reca ogni giorno a trovarla e ad assicurarsi che non le manchi nulla.
Un giorno un principe, passando per caso a cavallo, vede Prezzemolina affacciata alla finestra e, colpito dalla sua bellezza, si avvicina e inizia a conversare con lei. La ragazza gli narra la sua storia e lui promette di liberarla e di farne la sua sposa. Col passare dei giorni, i due studiano un piano di fuga: al prossimo appuntamento, il principe porterà con sé una scala di seta, attraverso cui la ragazza potrà scendere dalla torre.
Tuttavia una vecchia comare dei dintorni ha assistito alla scena e la va a riferire alla strega, che la ringrazia dell’avvertimento ma le confida come la fuga di Prezzemolina sia impossibile, a meno che ella non si impossessi delle tre ghiande nascoste in una trave della torre. La conversazione viene fortuitamente udita dalla fanciulla prigioniera, che grazie a un anello riesce a individuare quale trave risuoni cava. Quindi, con l’aiuto di un coltellino, ella recupera le ghiande.
Nel frattempo il principe sopraggiunge con la scala e i due si danno alla fuga a cavallo. La vecchia comare torna in scena, dando l’allarme e provocando l’inseguimento da parte della strega. Prezzemolina, allora, le getta contro la prima ghianda, che si tramuta in un cane grosso e feroce, pronto a sbarrare la strada alla megera: ma la strega lo ammansisce con un pezzo di pane e si rimette all’inseguimento. La seconda ghianda si trasforma in un leone affamato, ma la strega scortica un asino al pascolo, si riveste con la sua pelle e spaventa così la belva. La terza ghianda diventa un lupo feroce che, vedendo la strega ancora avvolta nella pelle d’asino, non esita a farne un solo boccone.
Giunti a destinazione, i due giovani ottengono dal re il consenso alle nozze. I genitori di Prezzemolina, felici di riabbracciare la figlia dopo tanto tempo, si stabiliscono anch’essi alla reggia. Qui viene messo a loro disposizione un pezzo di parco da coltivare, dove non mancherà il prezzemolo che l’intera famiglia reale consumerà d’ora in avanti sotto forma di squisita salsa confezionata da Pascadozia.
L’interpretazione psicanalitica di Bettelheim
Lo psicanalista viennese Bruno Bettelheim, nella sua celeberrima opera del 1977 Il mondo incantato, si è occupato dell’interpretazione in chiave edipica di questa fiaba, affermando che la bambina in pieno conflitto edipico sdoppia la figura materna in buona e cattiva. Ciò avviene in Raperonzolo così come anche in altre fiabe quali Biancaneve e Cenerentola. Mentre la madre buona consente di conservare tutti i sentimenti positivi che la piccola nutre per lei, la madre cattiva diventa la ‘guardiana’, la rivale nella lotta per l’attenzione del principe, che in questa fase rappresenterebbe il padre. Non è un caso infatti, sotto questo profilo, Raperonzolo che Prezzemolina vengono rinchiuse nella torre non appena giunte alle soglie dell’adolescenza, quando divengono appunto, competitive.
Bettelheim si sofferma poi sulla versione dei Grimm, osservando che la consumazione del rapporto fra i due innamorati, di cui non viene mai fatto cenno, è desumibile solo dall’improvvisa presenza dei figli e che di questi si fa cenno unicamente per sottolineare il legame fra i genitori durante il periodo di separazione. Proprio per via questo ‘buco narrativo’, comune nelle fiabe, secondo lo studioso austriaco nei bambini si trasmetterebbe l’idea che i figli possano essere mero frutto dell’amore, senza bisogno dell’intermediazione sessuale. Tuttavia, e questa è una personalissima considerazione da prendere quindi unicamente come possibile spunto, è interessante notare che nella versione di Prezzemolina, dove peraltro non compaiono i figli, appaia però una scala di seta: se si vuole usare come chiave di interpretazione simbolica quella freudiana, come Bettelheim sceglie di fare, non si può allora evitare di osservare che nell’Interpretazione dei Sogni, Freud ipotizza come l’azione di fare le scale rappresenti, nel linguaggio onirico, un’allusione al rapporto sessuale. E poiché le stanze, con le loro entrare e uscite (o, in questo caso, l’eloquente dettaglio della quasi totale mancanza di esse che sottolinea l’inespugnabilità) rappresenterebbero generalmente la donna, anche l’edificio dove è rinchiusa la fanciulla suggerisce una valenza ‘imparentata’ con quella delle scale.
E’ interessante notare anche come Bettelheim sorvoli su un altro dettaglio tipicamente freudiano, ossia il particolare del principe reso cieco durante il periodo di privazione della sua amata e risanato una volta ricongiuntosi a lei. Secondo Freud, infatti, la cecità simboleggerebbe la castrazione. Pertanto si può ben ipotizzare che, nella fiaba, si alluda simbolicamente alla rinuncia, dal parte del principe, alla propria sessualità finché perdura l’assenza dell’amata e al suo recupero una volta che egli l’abbia ritrovata.
La fiaba sullo schermo
Sotto forma di film, questa fiaba è stata trasposta più volte a partire dal 1951, mentre in cartone era già comparsa nella versione Barbie Raperonzolo del 2002, di cui vi lasciamo un breve assaggio qui sotto.
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