E' molto difficile iniziare la recensione di un volume di questa importanza.
Il decimo e ultimo capitolo delle avventure di Nicolas Eymerich, un personaggio la cui vita editoriale è cominciata nel 1994, con il romanzo Nicolas Eymerich, Inquisitore, scritto da Valerio Evangelisti, come tutti i libri del Ciclo dell'Inquisitore Eymerich.
E' già l'idea che sia chiuso un ciclo che fa tremare i polsi. Come scorporare il giudizio sul romanzo da quello sull'intero corpus narrativo di dieci volumi più vari racconti? Difficile farlo, considerato come quest'ultimo tassello s'incastra nella intera produzione narrativa di Evangelisti, e non parlo solo del ciclo dell'Inquisitore.
Comincio con il parlarvi di questo romanzo.
E' il 1372, la vicenda comincia a Barcellona, dove Eymerich si trova a constatare la morte per suicidio, in carcere, del suo più diabolico avversario, Ramón de Tárrega. Eymerich però non è convinto sin da subito della tesi del suicidio. Seguirà pertanto le tracce del suo nemico verso la Sicilia, passando brevemente prima per la Sardegna, per poi affrontarlo definitivamente a Napoli.
La vicenda si svolge su tre diversi piani temporali: il "presente" del 1372, con gran parte della vicenda è ambientata in Sicilia, tra Palermo e il Castello di Mussomeli; il "passato" che mostra sprazzi dell'infanzia di Nicolas Eymerich a Gerona; il "futuro", dove Evangelisti riprende le vicende di Lilith, protagonista di Black Flag, che arriva al confronto finale con le sue nemesi sulla Luna.
Tutti i piani della vicenda sembrano distinti, in realtà la narrazione è concettualmente trasversale a tutti e tre. Come nei vari romanzi del ciclo, se le vicende sembrano in apparenza slegate, in realtà è leggendole incastrate l'una nell'altre che il lettore comincia a sedimentare i concetti e perviene piano piano alla consapevolezza del quadro narrativo.
La struttura del romanzo è divisa in cinque parti, che sono le fasi del processo alchemico: nigredo, albedo, citrinitas, rubedo, quinta essentia.
A ciascuna delle prime quattro è associato il colore assunto dalla materia trattata dall'alchimista: nero, bianco, giallo, rosso. Ogni colore corrisponde anche a uno stato di consapevolezza dell'operatore, fino alla trasformazione finale, la "quinta essenzia" (che non ha colore, ma è simboleggiata dall'oro).
Questa classificazione è riassunta anche nel volume Aurora Consurgens (di cui si parla in Mater Terribilis).
Come un alchimista, o filosofo come in realtà si chiamavano tra di loro, sia il lettore che Eymerich passeranno attraverso questi stati, ed è nello stadio finale che l'inquisitore non solo svelerà il supremo inganno del suo nemico, ma anche il suo ruolo nel quadro complessivo voluto dal narratore, non solo in relazione al romanzo, ma all'intera cosmogonia evangelistiana.
Anche in questo volume c'è un libro al centro della vicenda, non uno pseudobiblium, ma un testo realmente esistente. Il volume si chiama Liber Aneguemis conosciuto anche come Liber Vaccae, Liber institutionum activarum o Libro degli esperimenti; il volume è la traduzione latina di un perduto apocrifo del IX secolo, il Kitab 'n-nawamis, presunta traduzione dal greco di un'opera di Platone.
E' per Eymerich un libro il cui solo possesso è peccato mortale, alla pari del Picatrix (volume che ha dato titolo a un romanzo del ciclo), del quale il Liber Vaccae è considerato il lato “oscuro”. Secondo il curatore della versione italiana, ancora in catalogo, l'Aneguemis è in realtà un testo di alchimia pratica(1).
Inventati sono gli usi del volume e le relative conseguenze fantastiche. Il romanzo presenta anche personaggi realmente esistiti nella migliore tradizione del romanzo storico. E' questa una costante dell'intera opera di Evangelisti, ancora più spiccata in una serie, quella di Eymerich, che si può definire come un genere a sè stante, un misto di romanzo storico e fantastico, con elementi fantascientifici e horror. Romanzi nei quali l'intreccio dei vari piani temporali, passato, presente e futuro, illumina sul passato dell'umanità, grazie anche all'esperienza di storico dell'autore, ma racconta anche di una cupa storia futura, riflesso distorto dei mali del presente e della sensibilità di Evangelisti alle vicende dell'attualità.
Il mistero sul quale Eymerich indaga, lo sbarco da misteriosi dischi luminosi che calano dal cielo, di antiche e potenti creature, i Lestrigoni, s'intreccia con la descrizione del quadro politico della Sicilia del tempo, al centro della lotta per il dominio tra le baronie locali, in particolare i Chiaromonte e i Ventimiglia aventi per i riferimento rispettivamente i Latini e i Catalani. Ed è anche nella descrizione di questo antico conflitto per il potere, che emerge con forza la visione sul presente dell'isola, nella quale le Baronie sono state sostituire da mafia e malgoverno, e ora come allora le uniche vere vittime sono coloro che tali lotte per il potere le subiscono impotenti.
Delicate e terribili, indimenticabili, le pagine dedicate all'Eymerich bambino. All'illusione dell'innocenza della fanciullezza non ho mai creduto neanche io. Già opere come I ragazzi della via Paal o Il Signore delle Mosche sono illuminanti in tal senso. Queste pagine non sono da meno.
Le parti ambientate nel futuro sono lucide. Puro distillato di fantascienza classica, che tradisce l'attenzione dello scrittore verso l'assoluto rigore della storia, prima che verso la lettera. Nella sua freddezza e piattezza letteraria, questo approccio alla fantascienza, che sembra derivare direttamente da autori come Isaac Asimov o Robert Heinilein e molto meno da scrittori destrutturanti come P.K. Dick, risulta inquietante. Fa scattare interruttori automatici nel cervello di chi legge, che è investito dai concetti senza il filtro della “bella scrittura” a mediare.
Altro elemento che non è possibile trascurare, dato che ne ha parlato liberamente l'autore durante le presentazioni del volume, è come la vita del personaggio si sia intersecata con quella dello scrittore. Quando Eymerich lamenta problemi a camminare, nausee, stordimenti, è in realtà lo stesso Evangelisti che riversa nel suo personaggio le sofferenze del privato.
Il volume è stato infatti scritto dall'autore durante un periodo nel quale subiva le conseguenze delle cure dal cancro, malattia che era stata diagnosticata all'autore qualche mese prima che cominciasse la stesura del romanzo e dal quale è ora guarito.
Evangelisti ha anche confessato di aver scritto un capitolo dietro l'altro, senza rileggere, andando avanti giorno per giorno, proprio per trarre dalla scrittura un sollievo dal difficile momento. Nonostante ciò, il romanzo doveva in realtà essere ben impresso, anche a livello subliminale, nella mente dell'autore, perché ha tutt'altro che una struttura frammentata. Quelli che sembrano al momento singoli episodi, singoli momenti auto-consistenti, durante la lettura cominciano a incastrarsi in un disegno generale che si rivela in tutta la sua interezza solo al momento in cui s'incastra l'ultimo.
A quel punto però, la costruzione non rimane uguale a come la vediamo, tutti i tasselli, tutto il quadro generale si ricompone in una nuova forma, lasciandoci basiti e increduli per non aver capito prima quello che all'improvviso diventa ovvio. Avevamo tutto davanti sin dall'inizio, ma eravamo peggio che ciechi: guardavamo il dito invece di guardare la Luna.
E il finale rivela non solo le qualità della solida costruzione narrativa, ma anche le qualità visionarie e letterarie di uno scrittore al quale troppe volte, e con troppa superficialità, è stata rimproverata quella piattezza dello stile di cui parlavo prima (e che invece può anche essere un elemento di pregio).
Nel finale emergono tutte le capacità letterarie e di eleganza linguistica di Evangelisti che i più attenti sanno essere forse più evidenti nei suoi saggi, ma che in realtà i lettori attenti già conoscono come immersi in tutta la sua produzione letteraria. L'attraversamento finale di Eymerich tra le dimensioni è una pagina raffinata, tra le migliori della letteratura di sempre, che paragonerei per potenza evocativa alla descrizione della fine del mondo ne La Coscienza di Zeno di Italo Svevo.
E' solo un mezzo rammarico quello che quindi alla fine abbiamo nel leggere l'ultimo romanzo del Ciclo dell'Inquisitore. Se da un lato siamo tristi perché dobbiamo dire addio a un compagno di bei momenti di lettura, da un lato sappiamo che Evangelisti ha preferito chiudere in bellezza, senza diluire o stemperare i concetti in altri romanzi, fotocopie dei precedenti.
Guardando dal lato del bicchiere mezzo pieno, questo decimo romanzo consentirà di rileggere gli altri nove con occhi nuovi, proprio in virtù di quel meccanismo d'incastri che se era valido guardando ai capitoli di questo romanzo, è perfettamente trasferibile per analogia a tutto il ciclo.
Non potevamo avere un finale migliore.
(1) Liber aneguemis – A cura di Paolo Scopelliti – Mimesis Editore – ISBN: 9788884832450
15 commenti
Aggiungi un commentoGiusto!
Una valutazione oggettiva, oltre alla tecnica narrativa e l'espressività letteraria, cosa può rilevare?
A me Evangelisti piace parecchio, ed è una sensazione. Non valuto oggettivamente i suoi libri. Li leggo e mi prendono. Basta
Ed è naturale che ad altri non piacciano...
il fantastico che si allontana dalle solite quattro banalità e che non sia per forza inquadrabile in questo o quello. I libri che ho letto della saga li ho trovati tutti piacevoli, (il primo un po' troppo prevedibile e ingenuo ma è anche naturale), mi fa piacere che un autore italiano si cimenti in questo tipo di storie... però quando arrivo alla fine tutto sommato non mi sono mai piaciuti come libri, anche se leggerli non mi è costato fatica e i personaggi mi fossero simpatici.
Mi sembrano purissimo intrattenimento, fatto bene e senza scadere nel commerciale, ma che non ha quel qualcosa in più che me li faccia reputare dei libri belli, e se non lo incensano mi pare più che normale.
@Agar: con "quel qualcosa in più" intendi qualcosa di istintivo che sta oltre le righe del testo, o altro (argomento, tecnica... )?
nel senso che i libri di questa saga che ho letto mi son parsi ottimo intrattenimento (e penso che prima o poi li leggerò tutti), ma tutto qui.
Sono scritti bene, scorrono, le storie sono interessanti anche senza essere chissà cosa, c'è un po' di originalità che fa sempre piacere, si impara qualcosina, non sono delle commercialate. Ma finora non mi ha mai "lasciato" nulla più di una piacevole lettura. Non è il termine più adatto ma diciamo che non ho mai beccato una frase o un pensiero che mi ha colpita, che mi è rimasta anche dopo aver finito il libro. Avrei potuto leggerli o non leggerli e mi sarebbe cambiato poco, e nel giro di qualche altro anno li avrò quasi del tutto rimossi dalla memoria, al massimo ricorderò la trama e il finale.
Finalmente letto. Per me si merita un 5/5 alla grande.
Un intreccio di fantastico e fantascienza unico, con elementi che provengono dalla filosofia e dalla psicologia e altro...
L'ultima parte è commovente, anche per il valore letterario della prosa.
Uno o due punti deboli scompaiono nel grande quadro dell'opera.
Il finale è indimenticabile.
Il mio personale giudizio è questo. Un applauso a Valerio Evangelisti
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