Sentivo il mio corpo strano, pesante. Aprire gli occhi fu uno sforzo e, quando ci riuscii, desiderai di non averlo fatto: quella di un’accecante barra fluorescente, circondata dalle piastrelle macchiate del soffitto, non era il tipo di luce che bramavo.

– Ehi. – Una mano mi accarezzò i capelli, poi il viso di Evan entrò nel mio campo visivo. I suoi occhi azzurri mostravano un’insolita preoccupazione. – Come ti senti, bimba? – domandò.

Mi sembrava di avere un elefante seduto sul petto e che la mia bocca fosse arida come sabbia, ma riuscii comunque a gracchiare una risposta.

L'autrice Terri Garey
L'autrice Terri Garey
– Di merda.

Gli strappai quel ghigno sghembo che conoscevo tanto bene e di fronte al quale mi sentii un po’ meglio. Evan era mio amico sin dai tempi dell’infanzia e non era il tipo da giocare al bambinaio, salvo che nelle vicinanze non ci fosse un bel ragazzo con la voglia di giocare al dottore. Nel crescere, avevamo frequentato entrambi la casa dell’altro, fatto i compiti insieme e scambiato confidenze, così non ci fu da meravigliarsi quando ci prendemmo una cotta per lo stesso giocatore di football.

– Cos’è successo? – Parlare mi costava grande sforzo.

– Hai avuto un finto attacco cardiaco e ne hai quasi fatto venire uno a me. – Nella battuta di Evan risuonava ancora una sfumatura di preoccupazione. – Per fortuna ho deciso di passare da te, quando non hai risposto al telefono. Sapevo che non avevi appuntamenti e non potevo credere che saresti andata al cinese senza di me.

Mi leccai le labbra secche, non del tutto certa di essere sveglia. – Un attacco cardiaco?

– Prolasso della valvola mitrale.

I miei occhi si spostarono verso la voce sconosciuta. Un uomo dai capelli scuri era in piedi in fondo al letto, intento a studiare la mia cartella clinica. Portava una divisa verde da chirurgo e il tipico stetoscopio attorno al collo, e quando sollevò lo sguardo lo riconobbi: era il tizio della soap opera che aveva voluto a tutti i costi salvare la donna sulla barella.

Me.

– Un piccolo difetto cardiaco, solitamente benigno, ma nel suo caso è stato quasi fatale.

Si avvicinò sul lato del letto opposto rispetto a Evan. – Credevamo di averla persa, signorina… – Consultò di nuovo la cartella. –... Styx, dico bene? – Sogghignò. – Immagino che non avesse la moneta giusta da dare al traghettatore.

Evan lo guardò in modo assente, ma io gli rivolsi un debole ghigno: uno che conosceva la mitologia greca non doveva essere niente male. Avevo sempre trovato ironico che i genitori responsabili della mia crescita, appartenenti alla classe americana media e pieni di principi morali, portassero come cognome la stessa parola che designava l’oscuro fiume che separava il mondo dei vivi da quello dei morti; eppure si preoccupavano per il mio periodo adolescenziale dark… Il fatto era bizzarro.

– Io sono il dottor Bascombe. – Abbassò la cartella per rivolgermi uno sguardo critico. – Quando l’hanno portata qui la notte scorsa ero di servizio nel pronto soccorso. Ha una valvola cardiaca che non si chiude nel modo corretto. Di solito è un fattore genetico, ma potrebbe causare di tanto in tanto palpitazioni o tachicardia, quello che noi chiamiamo “soffio al cuore”. Qualcuno nella sua famiglia presenta le stesse analogie?

– Non ne ho idea. – Quella risposta sarebbe dovuta bastare: non avevo la forza di dare spiegazioni.

Accigliato, il dottore mi prese il polso fra le dita.

– Droghe? Ne ha assunte, di recente?

Aprii la bocca, ma Evan mi anticipò. – Nicki non si droga. – Tirò su col naso, come se fosse stato gravemente offeso. – Gliel’ho già detto. Perché non va a controllare i suoi “test tossicologici”, o quel cavolo che sono, e passa oltre?

Il dottor Bascombe sollevò un sopracciglio, ma non parve offeso da Evan.

– È stata dal dentista di recente?

– Ieri. Solo per una pulizia.

– Ah. – Lui si infilò lo stetoscopio nelle orecchie e appoggiò l’altra estremità sul mio petto, auscultando con attenzione.

A quella distanza ravvicinata era piuttosto attraente, nonostante sapesse di sapone per le mani. Chiusi gli occhi; quell’osservazione provava che il mio cuore non era affatto pronto a morire.

– Lei è in buona salute, signorina Styx, e sono felice di comunicarle che, a quanto pare, non ci sono danni permanenti.

Aprii gli occhi con un senso di sollievo, ma non di sorpresa. Dopotutto, non era la mia ora.

– Dovremo fare altri controlli, naturalmente, e tenerla qui qualche altro giorno solo per precauzione, ma penso che se la caverà egregiamente.

Mentre così diceva, una donna più anziana entrò nella stanza e rimase in piedi in silenzio vicino alla porta, come se lo stesse aspettando. Indossava una vistosa camicetta con motivi floreali sopra dei pantaloni neri elasticizzati.

– Tutto qui? – Evan appariva indignato. – Una sana ragazza di ventotto anni è malata di cuore e lei non la cura? Che c’è, problemi con la sua assicurazione? – Stava alzando la voce, raggiungendo quell’enfasi che conoscevo così bene. – Se fosse un’anziana del servizio sanitario statale, si prodigherebbe per farle un trapianto cardiaco, Dio santo!