Con mia sorpresa, la donna vicino alla porta annuì in segno di approvazione.
Il dottor Bascombe sospirò. – Non c’è bisogno di ricorrere a misure così drastiche in questo caso. Avevo in mente di discuterne con la paziente quando si fosse sentita meglio, ma un prolasso della valvola mitrale è raramente una sentenza di morte. – Abbassò lo sguardo e si rivolse a me, di fatto ignorando Evan. – Lei ne dev’essere al corrente, ovviamente. Salvaguardare il livello di stress, prendere antibiotici prima di andare dal dentista o di interventi chirurgici, stare lontano dalle droghe e limitare l’alcol, questo genere di cose... Ma non c’è ragione per cui non possa campare lei stessa fino alla vecchiaia, usufruendo poi del servizio statale.
Mi sorrideva, apparentemente senza preoccuparsi di offendere l’anziana vicino alla porta. – Gli interventi chirurgici possono servire in certi casi estremi, ma non in questo.
– Potrebbe risuccedere? – Mi uscì ancora la voce di una rammollita, che odio.
Il suo sorriso si allentò. – Non posso promettere di no, ma qualcosa mi dice che lei è una combattente. – Prese la mia fredda mano tra le sue dita calde e me la strinse. – Quindi, combatta.
Che idea grandiosa! L’avrei presa in considerazione non appena fossi riuscita a tenere gli occhi aperti.
Quando mi svegliai di nuovo, Evan e il dottore se n’erano andati, ma l’anziana signora era ancora lì, seduta su una sedia accanto al mio letto con le sue dita paffutelle incrociate sul ventre rotondo; paziente, mi osservava nel sonno.
– Come ti senti, cara?
La sua voce era tanto squillante quanto il suo abbigliamento: quei vistosi fiori color porpora sulla camicetta stonavano con i suoi capelli di un’infelice e sbiadita sfumatura arancione.
– Sto bene. – Mi sentivo meglio, in effetti, nonostante la sete e la stanchezza.
Mantenere la stessa posizione per così tanto tempo mi aveva indolenzito, così dovetti fare uno sforzo per tirarmi su. La donna, le cui dita avevano fatto uno scatto come se ci stesse pensando, non venne in mio aiuto. Portava scintillanti anelli su entrambe le mani, superati in brillantezza soltanto dalle lunghe unghie finte.
– Hai dormito tutto il giorno, cara. Per fortuna non avevo niente di meglio da fare.
Le tende erano tirate, ma dalle sue parole capii che era calata la sera. Il tipo di luce nella stanza era cambiato e adesso i rumori nel corridoio erano attutiti, smorzati.
– La conosco? – Non avevo mai visto quella donna prima di allora, ma lei si comportava come se fossimo vecchie amiche. – Scusi, ma ho avuto una pessima giornata e sono ancora confusa.
Lei agitò una mano in segno di rifiuto. – Ech. Non parlarmi di pessime giornate, dovresti provare quella che ho passato io. – A quel punto, rise. – Oh, aspetta, l’hai già fatto!
C’era una durezza nella sua voce che mi fece rizzare i peli sulle braccia e mi guardai attorno alla ricerca del pulsante per chiamare l’infermiera. Nelle soap opera ne avevano sempre uno a portata di mano, o no?
– Non darti la pena di chiamare qualcuno. – Allungò la mano verso l’alto e si diede un colpetto sui capelli, come se fosse un gesto abituale. – Non mi possono vedere. – Un braccialetto portafortuna tintinnò al suo polso paffuto.
Sempre più convinta di intrattenere un’evasa di un’altra ala dell’ospedale, trovai il pulsante sulla sbarra del letto e lo premetti.
La donna si strinse nelle spalle. – Fa’ pure, cara.
Mentre aspettavo, le rivolsi uno sguardo cauto senza dire nulla; non si sa mai, qualcosa avrebbe potuto far scattare una reazione in quella pazza. Nemmeno lei parlò, si studiava anzi le unghie con assoluta noncuranza.
– La Bella Addormentata è sveglia. – Un’affaccendata e grassoccia cameriera di colore entrò nella stanza con un sorriso e una tazzina in mano. – Giusto in tempo per le medicine. – Posò la tazzina sul comodino, dal quale prese poi una caraffa di plastica. – Come ti senti, tesoro? Vuoi un po’ d’acqua?
– Infermiera, credo che questa signora abbia una confusione mentale.
Le sopracciglia dell’infermiera si sollevarono. – Questa signora? – Scosse la testa, ridacchiando. – E a “questa signora” andrebbe un drink? – Versò l’acqua in un bicchiere, che mi offrì senza rivolgere neanche un’occhiata alla donna seduta.
Io lanciai a quest’ultima uno sguardo pieno d’orrore e lei si strinse di nuovo nelle spalle, come per dire: te l’avevo detto.
– Non la vede? – La voce che mi uscì assomigliava a uno squittio. – Non vede la donna sulla sedia?
Il sorriso dell’infermiera si immobilizzò mentre seguiva la direzione del mio sguardo, poi tornò a guardarmi.
– Tesoro – disse con fermezza, – avevi ragione la prima volta, la signora ha una confusione mentale. – Raccolse la tazzina contenente le medicine, facendo sbatacchiare le pillole. – Non c’è nessuno qui dentro tranne te e me, e adesso da brava ragazza prendi la tua medicina, sdraiati e chiudi gli occhi. Tra cinque minuti torno con la cena, così metterai qualcosa nello stomaco e ti sentirai più a tuo agio. Domani starai meglio.
Obbedii alla sua richiesta, sbalordita, e un momento dopo lei uscì dalla stanza sempre con lo stesso sorriso allegro e professionale.
– Irene Goldblatt. – La donna seduta iniziò così la conversazione, come se nessuno ci avesse interrotte. – Il nome è Irene Goldblatt.
– Nicki Styx. – Le diedi una risposta automatica, ero ancora stupefatta. Tutta quell’esperienza aveva qualcosa di tanto surreale, che parlarne con una donna invisibile sembrava appropriato.
– Ho bisogno che tu mi faccia un favore, Nicki. – Irene, ora seria, si sporse in avanti. – Ho bisogno che tu riferisca al mio Morty che non intendevo dire quelle cose sulle sue sfere di matza.
Ridacchiai. Quello era un sogno proprio bislacco.
– Le sue sfere di matza? – Ridacchiai di nuovo, incapace di trattenermi.
Lei roteò gli occhi con evidente impazienza. – Già, le sue sfere di matza. Devi dirgli che non erano affatto asciutte, l’ho detto soltanto perché erano migliori delle mie. Lui non ha colpa.
Mi sfuggì un singulto provocato dal riso e Irene si accigliò, perciò cercai di contenermi.
– Di cosa non ha colpa?
Irene mi guardò come se fossi un’idiota.
– Del fatto che mi sia strozzata con quelle.
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