Aveva lavorato come agricoltore per tutta la sua vita. Non era facile nelle Marche di Confine, ma se lavoravi sodo, potevi ottenere una vita prospera coltivando raccolti resistenti. ‘Un uomo ha tanta fortuna quanti semi ha nel campo’aveva sempre detto suo padre. 

Be’, Renald era uno degli agricoltori più prosperi della zona. 

Tanto da comprare le due fattorie accanto alla sua e da poter portare al mercato trenta carri ogni autunno. Ora aveva sei bravi uomini a lavorare per lui, che aravano i campi e tenevano in buono stato gli steccati. Non che ogni giorno non dovesse calarsi nel letame e mostrare loro cosa voleva dire coltivare per bene. Non potevi lasciare che un po’ di successo ti rovinasse. 

Sì, aveva lavorato la terra, vissuto la terra, come suo padre era sempre solito dire. Comprendeva il tempo atmosferico meglio di chiunque altro. Quelle nubi non erano naturali. Rintronavano piano, come ringhi animali in una notte buia. In attesa. 

In agguato nei boschi circostanti. 

Sobbalzò a un nuovo boato di tuono che parve troppo vicino. 

Quelle nubi erano lontane quaranta leghe? Era questo che aveva pensato? Ora che le esaminava, gli pareva che fossero a dieci. 

«Non metterti in testa strane cose» borbottò fra sé. La sua voce gli dava una sensazione buona. Reale. Era bello sentire qualcosa di diverso da quel rombo e dall’occasionale cigolio delle imposte al vento. Non doveva essere in grado di sentire Auaine all’interno, intenta a preparare la cena? 

«Sei stanco. Tutto qua. Stanco.» Frugò nella tasca del suo farsetto e tirò fuori il portatabacco. 

Un debole rimbombo provenne da destra. Sulle prime, immaginò che fosse il tuono. Però questo rimbombo era troppo stridulo, troppo regolare. Non era un tuono. Erano ruote in movimento. 

E infatti un grosso carro tirato da un bue sormontò la collina di Mallard, appena a est. Era stato Renald stesso a darle quel nome. Ogni collina che si rispetti ha bisogno di un nome. La strada era chiamata strada di Mallard. Perciò perché non dare lo stesso nome anche alla collina? 

Si sporse in avanti sulla sedia, ignorando di proposito quelle nuvole mentre strizzava gli occhi verso il carro, cercando di distinguere il volto del carrettiere. Thulin? Il fabbro? Cosa stava facendo, come poteva guidare un carro tanto carico da toccare il cielo? Sarebbe dovuto essere al lavoro sul nuovo aratro di Renald! 

Anche se era snello per il mestiere che faceva, Thulin era comunque muscoloso il doppio di qualunque bracciante. Aveva i capelli scuri e la pelle abbronzata di uno Shienarese, e teneva il volto rasato secondo la loro moda, ma non portava il codino. La famiglia di Thulin poteva far risalire le proprie origini fino ai guerrieri delle Marche di Confine, ma lui stesso era solo un semplice campagnolo come il resto di loro. Gestiva la fucina a Oak Water, cinque miglia a est. Renald aveva giocato parecchie partite di sassolini con il fabbro durante le sere invernali. 

Thulin stava invecchiando: non aveva visto tanti anni quanto Renald, ma gli ultimi inverni lo avevano indotto ad accennare al ritiro. Quello del fabbro non era un mestiere per vecchi. Ovviamente non lo era nemmeno quello del coltivatore. 

Chissà se esistevano dei mestieri per vecchi. 

Il carro di Thulin si avvicinò per la strada in terra battuta, giungendo presso il prato recintato di bianco di Renald. Questo sì che è strano, pensò l’agricoltore. Dietro il carro procedeva una fila ordinata di animali: cinque capre e due vacche da latte. Stie di polli dalle penne nere erano legate all’esterno del carro, mentre il pianale stesso era stracolmo di mobili, sacchi e barili. La giovane figlia di Thulin, Mirala, sedeva a cassetta con lui, accanto a sua moglie, una donna dai capelli dorati originaria del Sud. Era sposata con Thulin da venticinque anni, ma Renald pensava ancora a Gallanha come ‘quella ragazza del Sud’. 

Su quel carro c’era l’intera famiglia, con i loro migliori animali al seguito. Era ovvio che si stavano trasferendo. Ma dove? 

In visita a dei parenti, forse? Lui e Thulin non giocavano una partita a sassolini da... oh, ormai erano tre settimane. Non era certo tempo di visite, con l’avvento della primavera e la fretta della semina. Qualcuno avrebbe dovuto riparare gli aratri e affilare le falci. Chi l’avrebbe fatto se la forgia di Thulin si fosse raffreddata? 

Renald infilò un pizzico di tabacco nella sua pipa mentre Thulin arrestava il carro accanto alla sua proprietà. Il fabbro snello e brizzolato porse le redini a sua figlia, poi scese dal carro, con i piedi che sollevarono sbuffi di polvere nell’aria quando colpirono il terreno. Dietro di lui la tempesta distante ribolliva ancora. 

Thulin aprì il cancello del recinto, poi si diresse verso il portico. 

Pareva distratto. Renald aprì la bocca per salutarlo, ma fu Thulin a parlare per primo. 

«Ho seppellito la mia incudine migliore nel vecchio campo di fragole di Gallanha, Renald» disse il fabbro. «Ti ricordi dov’è, vero? Ci ho messo anche i miei attrezzi migliori. Sono ben  ingrassati e si trovano all’interno del mio forziere più resistente, foderati per tenerli all’asciutto. Questo dovrebbe impedire che si arrugginiscano. Per un po’, almeno.» 

Renald chiuse la bocca, tenendo la sua pipa mezza piena. 

Se Thulin stava seppellendo la sua incudine... be’, significava che non aveva intenzione di tornare indietro per un bel po’. 

«Thulin, cosa...» 

«Se non torno,» disse Thulin, lanciando un’occhiata verso nord «dissotterreresti le mie cose e faresti in modo di occupartene? Vendile a qualcuno che ci tenga, Renald. Non vorrei che fosse uno qualunque a battere su quell’incudine. Mi ci sono voluti vent’anni per racimolare quegli attrezzi, sai?» 

«Ma Thulin!» farfugliò Renald. «Dove stai andando?» 

Thulin si voltò di nuovo verso di lui, appoggiando un braccio sulla ringhiera del portico, con un’aria solenne negli occhi castani. «C’è una tempesta in arrivo» disse. «Perciò ho pensato che era meglio dirigermi a nord.» 

«Una tempesta?» chiese Renald. «Quella all’orizzonte, intendi? 

Thulin, pare brutta – ah, sì, che le mie ossa siano folgorate – ma non ha senso scappare. Abbiamo avuto brutte tempeste in precedenza.» 

«Non come questa, vecchio amico» disse Thulin. «Questo non è il genere di tempesta che si possa ignorare.» 

«Thulin?» chiese Renald. «Di cosa stai parlando?» 

Prima che lui potesse rispondere, Gallanha lo chiamò dal carro. «Gli hai detto delle pentole?» 

«Ah,» disse Thulin «Gallanha ha lucidato quelle pentole col fondo di rame che a tua moglie sono sempre piaciute. Sono sul tavolo in cucina che aspettano solo Auaine, se vuole andarle a prendere.» Detto questo, Thulin fece un cenno col capo a Renald e s’incamminò verso il carro. 

Renald sedette stupefatto. Thulin era sempre stato un tipo schietto: preferiva dire quello che gli passava per la testa, poi andare avanti. Era parte di quello che a Renald piaceva di lui. 

Ma il fabbro poteva anche passare attraverso una conversazione come un macigno che rotolava in mezzo a un gregge di pecore, lasciando chiunque sbalordito. 

Renald balzò in piedi, lasciando la sua pipa sulla sedia e seguendo Thulin attraverso il prato e poi fino al carro. Maledizione, pensò Renald, guardando verso i lati e notando di nuovo l’erba marrone e gli arbusti secchi. Aveva lavorato sodo su quel prato. 

Il fabbro stava controllando le stie dei polli legate ai fianchi del suo mezzo. Renald lo raggiunse e allungò una mano verso di lui, ma Gallanha lo distrasse. 

«Ecco, Renald» disse dalla cassetta. «Prendi queste.» Gli porse un cestino pieno di uova. Una ciocca di capelli dorati le era sfuggita dalla crocchia. Renald allungò la mano per prendere il cesto. 

«Dalle ad Auaine. So che siete a corto di galline per via di quelle volpi dello scorso autunno.» 

Renald prese il cestino di uova. Alcune erano bianche, altre brune. 

«Sì, ma dove state andando, Gallanha?» 

«A nord, amico mio» rispose Thulin. Superò Renald e gli mise una mano sulla spalla. «Suppongo che verrà radunato un esercito. Avranno bisogno di fabbri.» 

«Per favore» disse Renald, facendo un gesto col canestro di uova. «Almeno fermatevi qualche minuto. Auaine ha appena infornato del pane, una di quelle grosse pagnotte al miele che ti piacciono. Possiamo discuterne durante una partita a sassolini.» 

Thulin esitò. 

«Faremo meglio a muoverci» disse Gallanha in tono sommesso. 

«Quella tempesta sta arrivando.» 

Thulin annuì, poi salì sul carro. «Magari potresti venire a nord anche tu, Renald. Se lo fai, portati tutto quello che puoi.» 

Fece una pausa. «Te la cavi abbastanza con gli attrezzi da poter fare qualche lavoretto, perciò prendi le tue due falci migliori e convertile in alabarde. Le tue due falci migliori; non economizzare con qualcosa che vada quasi bene o abbastanza bene. Prendi le migliori, perché sono le armi che userete.» 

Renald si accigliò. «Come sai che ci sarà un esercito? Thulin, maledizione, non sono certo un soldato!» 

Thulin proseguì come se non avesse udito quei commenti. 

«Con un’alabarda puoi tirar giù qualcuno da cavallo e infilzarlo. E, ora che ci penso, potresti prendere le falci meno buone e farci un paio di spade.» 

«E cosa ne so io sul fare una spada? O su come usarla, se è per quello...» 

«Puoi imparare» disse Thulin, voltandosi verso nord. «Saranno tutti necessari, Renald. Tutti quanti. Stanno venendo per noi.» 

Tornò a guardare Renald. 

«Una spada non è così difficile da fare. Prendi la lama di una falce e la raddrizzi, poi ti trovi un pezzo di legno che faccia da guardia, per impedire che la lama del nemico scivoli giù e ti tagli la mano. Perlopiù userai cose che hai già.» 

Renald sbatté le palpebre. Smise di porre domande, ma non poteva fare a meno di pensarle. Si ammucchiavano nella sua testa come bestiame che cercava di passare a forza attraverso un unico cancello. 

«Porta tutto il tuo bestiame, Renald» disse Thulin. «Lo mangerai – o lo mangeranno i tuoi uomini – e ti servirà il latte. E comunque sia, ci saranno uomini con cui potrai commerciare con manzo o montone. Il cibo scarseggerà, considerando tutto quello che si sta guastando e le riserve invernali quasi esaurite. Porta tutto quello che hai. Fagioli secchi, frutta secca,  tutto quanto.» 

Renald si sporse all’indietro contro il cancello della sua proprietà. 

Si sentiva debole e fiacco. Infine si costrinse a porre una sola domanda. 

«Perché?» 

Thulin esitò, poi si allontanò dal carro, appoggiando di nuovo una mano sulla spalla di Renald. 

«Mi spiace essere così brusco. Io... be’, tu sai come me la cavo con le parole, Renald. 

Non so cosa sia quella tempesta. Ma so cosa significa. Non ho mai tenuto in mano una spada, ma mio padre ha combattuto nella guerra Aiel. Sono un uomo delle Marche di Confine. E quella tempesta significa che la fine si avvicina, Renald. Dovremo essere lì quando arriverà.» 

Si fermò, poi si voltò e guardò a nord, osservando quelle nubi che si ammassavano come un contadino poteva guardare un serpente velenoso trovato nel mezzo di un campo.

«Che la Luce ci preservi, amico mio. Dovremo essere lì.» 

E, detto questo, tolse la mano e montò di nuovo a cassetta. Renald li osservò allontanarsi, pungolando il bue affinché si muovesse, diretti a nord. Renald li guardò a lungo, provando 

un senso di intontimento. 

Il tuono schioccò in lontananza, come il rumore di una frustata, riverberando contro le colline. 

La porta della fattoria si aprì e si richiuse. Auaine uscì e venne verso di lui, con i capelli grigi raccolti in una crocchia. Erano così da parecchi anni, ormai; era ingrigita presto, e Renald era sempre stato affezionato a quel colore. Argento, più che grigio. Come le nubi. 

«Quello era Thulin?» chiese Auaine, osservando il carro sollevare polvere in lontananza. Un’unica penna di pollo nera veniva sospinta dal vento lungo la strada. 

«Sì.» 

«E non si è fermato, nemmeno per una chiacchierata?» 

Renald scosse il capo. 

«Oh, ma Gallanha ha mandato le uova!» Auaine prese il cestino e iniziò a trasferirle nel suo grembiule per portarle dentro. 

«È così cara. Lascia il cestino lì per terra: sono certa che manderà qualcuno a prenderlo.» 

Renald si limitò a fissare verso nord. 

«Renald?» chiese Auaine. «Cosa ti è preso, vecchio ceppo?» 

«Ha lucidato le sue pentole per te» disse lui. «Quelle col fondo in rame. Sono sul tavolo della sua cucina. Sono tue, se le vuoi.» 

Auaine rimase in silenzio. Poi lui udì un netto rumore di qualcosa che si rompeva e si guardò indietro. Lei aveva lasciato afflosciare il grembiule e delle uova stavano scivolando giù, cadendo a terra con un tonfo e rompendosi. 

Con voce molto calma, Auaine chiese: «Ha detto nient’altro?» 

Lui si grattò la testa, su cui in realtà non restavano molti capelli. 

«Ha detto che la tempesta stava arrivando e che dovevano dirigersi a nord. Thulin ha detto che dovremmo andare anche noi.» 

Rimasero immobili per un altro momento. Auaine tirò su il bordo del suo grembiule, conservando la maggior parte delle uova. Non degnò di un’occhiata quelle che erano cadute. Il suo sguardo era fisso verso nord. 

Renald si voltò. La tempesta aveva fatto un nuovo balzo in avanti. E pareva essere diventata in qualche modo più scura

«Penso che dovremmo dar loro ascolto, Renald» disse Auaine. 

«Io... io andrò a preparare quello che ci occorrerà portare con noi dalla casa. Tu puoi andare a radunare gli uomini. Hanno detto per quanto staremo via?» 

«No» rispose lui. «Non hanno nemmeno detto davvero perché. Solo che dobbiamo andare a nord per la tempesta. E... che questa è la fine.» 

Auaine trasse un brusco respiro. «Bene, tu pensa a far preparare gli uomini. Io mi prenderò cura della casa.» 

Si precipitò dentro, e Renald si costrinse a distogliere lo sguardo dalla tempesta. Girò attorno alla casa ed entrò nell’aia, 

chiamando a raccolta i braccianti. Era gente robusta, bravi uomini, tutti quanti. I suoi figli avevano cercato fortuna altrove, ma i suoi sei lavoratori per lui erano quasi come figli.