La cosa più strana del morire è che in realtà non cambia niente. 

Voglio dire, vi aspettereste un grande cambiamento, giusto? 

Perché morire... be’, diciamocelo, è una cosa abbastanza drammatica. Sull’argomento hanno scritto canzoni, libri, e anche sceneggiature. Accidenti, è persino uno dei temi principali nei cartoni animati del sabato mattina. Ma la questione invece non ha niente a che fare con quello che si vede in tv. 

Nemmeno un po’. 

Prendete me, per esempio. Io sono viva, ehm, perciò considerate che è sicuro... come la morte, che la morte non è poi così diversa. O almeno, non all’inizio. E almeno, non in senso 

negativo come probabilmente voi credete. 

Perché a dire il vero, nel momento in cui sono morta mi sono sentita più viva che mai. Potevo saltare più in alto... correre più veloce... potevo persino attraversare i muri se volevo. 

Ed è stato soprattutto questo l’elemento rivelatore. 

Il fatto di attraversare i muri. 

Visto che non è che potessi fare una cosa del genere prima, è così che ho capito che qualcosa era successo. 

Qualcosa d’importante. 

Ma fino ad allora, era sembrata una fantastica gitarella in macchina. Cioè, mio padre decise tutt’a un tratto, inaspettatamente, di cambiare direzione. 

Un minuto prima filava sulla strada sinuosa, mentre io cantavo seguendo l’iPod, con la testa del mio cane Buttercup appoggiata sulle ginocchia, facendo del mio meglio per ignorare quella prepotente di Ever, mia sorella maggiore, che in pratica vive per tormentarmi. E la cosa successiva che ricordo è che eravamo completamente da un’altra parte. 

Non più sulla superstrada, non più nell’Oregon, non so come eravamo atterrati nel bel mezzo di questo magnifico campo che splendeva, pieno di alberi pulsanti di luce e di fiori vibranti. E quando i miei genitori andarono in una direzione e mia sorella in un’altra, io me ne restai lì, con la testa che mi girava da matti, indecisa su chi seguire. 

Una parte di me mi incitava: ‘Attraversa il ponte con mamma e papà e Buttercup... loro sanno cos’è meglio!’» 

Mentre l’altra parte insisteva: ‘Non fare la santarellina... se Ever vede qualcosa di strabiliante e tu te lo perdi, te ne pentirai per sempre!’ 

E quando alla fine decisi di seguire mia sorella, ci avevo messo così tanto tempo che se n’era già andata. 

Semplicemente... scomparsa. 

Nella nebbia fluttuante. 

Era tornata lì, sulla Terra. 

Ed è così che sono rimasta intrappolata. Intrappolata fra due mondi. 

Finché non sono riuscita ad arrivare Qui.

È così che lo chiamano: ‘Qui.’ 

E se sei tanto scemo da chiedere che ora è, ti risponderanno: 

‘Ora.’ 

Probabilmente perché Qui il tempo non esiste, il che significa che tutto accade, be’, nell’istante in cui accade, che è sempre... ora. 

Quindi, credo che si potrebbe dire che vivo Qui e Ora. 

Stranamente, non è così diverso da dove vivevo prima, lì a Eugene, nell’Oregon. 

Eccetto che per il tempo, che non esiste. E naturalmente, per quel piccolo particolare di poter attraversare i muri e via dicendo. 

Ma a parte questo, e il fatto che posso fare apparire qualsiasi cosa io voglia – tipo case e automobili e vestiti, persino animali e spiagge – semplicemente immaginandola, è tutto 

più o meno uguale. 

I miei genitori sono Qui. I miei nonni pure. Persino il mio dolce labrador color miele, Buttercup, ce l’ha fatta. E anche se potremmo vivere ovunque vogliamo, in qualsiasi tipo di casa si possa desiderare, la cosa divertente è che il nuovo quartiere è una copia quasi perfetta del mio vecchio quartiere nell’Oregon.

È tutto identico, addirittura i vestiti appesi nell’armadio, le calze stipate nei cassetti, e i poster attaccati alle pareti della mia stanza. L’unica cosa diversa, l’unica cosa che in qualche 

modo mi scoccia, è il fatto che tutte le altre case nei paraggi sono vuote. Principalmente per il fatto che tutti i miei vecchi vicini e amici sono vivi e in salute, e ancora lì sulla Terra (be’, per ora almeno!). Ma ripeto, eccetto questo, è esattamente come lo ricordo. 

Esattamente come lo desideravo. 

Vorrei solo avere degli amici con cui godermelo.