Il refettorio di Tornor era grande abbastanza da ospitare comodamente seicento uomini. Per un istante Kerris rimase appoggiato alla parete. Come sempre, dopo una crisi, si sentiva un po’ disorientato. Si accostò a un arazzo che mostrava la scena di un’antica battaglia. Josen sapeva quale fosse, lui invece no.

Le porte della sala si aprirono. Gli uomini della caserma, giganteschi nei loro indumenti di lana e cuoio, cominciarono a entrare stropicciandosi gli occhi ancora assonnati. Intorno a loro correvano i cani dalla soffice pelliccia e dalle pallide teste affusolate; erano incroci di bracco e lupo, anche se di lupi ne erano rimasti ben pochi nella steppa. Il precedente autunno, ne era stato catturato e ucciso uno rognoso, di circa un anno di età. La sua pelle era stata appesa alle mura del castello perché tutti i ragazzini del villaggio potessero vederla.

Qualcuno aprì la tenda che separava le cucine dalla sala mensa, facendo entrare il profumo di pane fresco. Gli uomini avanzarono andandosi a sedere alle tavolate.

Kerris,che non aveva appetito, fiancheggiò uno dei lunghi tavoli e si trovò faccia a faccia col Signore della Rocca.

– Buon giorno, zio – disse facendo un inchino.

Morven, diciannovesimo Signore della Rocca di Tornor, era un uomo tarchiato, dai modi spicci, con i capelli di un biondo splendente e la carnagione chiara. Kerris non aveva ereditato i suoi lineamenti.

– Buon giorno, nipote – rispose. – Ti sei svegliato al cambio della guardia?

Kerris annuì. Morven non sapeva (o fingeva di non sapere) che Kerris qualche volta dormiva nella caserma.

– Vorrei che i miei soldati fossero ligi come te.

– Grazie.

Ousel, il Vice Comandante della Guardia, avanzò a grandi passi. Subito Morven si voltò a parlare con lui, ignorando Kerris che ne approfittò per uscire dalla sala. Almeno ha la creanza di non ridermi in faccia, pensò.

Attraversò il cortile interno che portava alle scale della Torre dell’Archivista, e cercò di riafferrare dentro di sé quel potere che lo metteva in contatto con suo fratello. Ma, come sempre, non riuscì ad attivarlo, così come non era capace di fermarlo.

Nell’ombra della meridiana, tre bambini giocavano al roccia-forbici-carta. Kerris rallentò nel passare accanto a loro. Era uno dei pochi giochi che lui, bambino con un solo braccio, fosse stato capace di fare, ed era diventato così esperto nel prevedere cosa gli altri avrebbero scelto, che ben presto tutti si rifiutavano di giocare con lui.

– Ciao, Archivista.

Una ragazza stava ai piedi della scala della torre, con le braccia piene di panni da lavare. Una tunica marrone aperta faceva intravedere l’abito rosso che indossava. Sulle guance si scorgevano delle piccole cicatrici. I capelli le ricadevano sulla schiena. Kerris sentì la nuca infuocarsi.

– Ciao, Kili – rispose.

Due anni prima lei gli si era avvicinata nella sala. I suoi seni lo avevano sfiorato e lei, con un sorriso intrigante, gli aveva sussurrato: – Ti piacerebbe...? – Nessuno gliel’aveva mai chiesto prima.

Era andato con lei nella lavanderia, senz’alcuna delicatezza, assalito dal desiderio. Erano giaciuti tra le lunghe tinozze bagnate, sulle lenzuola sporche degli appartamenti. Le era stato profondamente grato: solo un’altra persona lo aveva toccato in quel modo. E aveva persino finto di godere dei suoi sforzi.

Qualche settimana dopo, l’aveva sorpresa a riderne con un’altra ragazza, paragonando il suo arto mancante alla sua abilità sessuale.

Kili si avvicinò e lo urtò con il fianco.

– Come mai non ti sei fatto più vedere?

– Ho avuto molto lavoro.

– Peccato. – Poi si voltò e attraversò il cortile ancheggiando, accompagnata dalle esclamazioni di ammirazione delle guardie che prestavano il loro turno di servizio sulle mura interne.

Kerris pensò a Kel. Si chiedeva dove fosse la ceara, e cosa fosse accaduto all’uomo che le stava insieme. Non vi era dubbio che i ceari fossero montati in sella e avessero abbandonato quel posto. Se socchiudeva gli occhi poteva ancora vederli: l’alto Arillard; Riniard dalla testa rossa, l’ultimo venuto; Jensie, dai capelli tricolori...

Imprecò sottovoce e respinse quei pensieri che lo rendevano infelice.

Kili se n’era andata. Le sentinelle erano tornate a far la guardia. Kerris si figurò davanti agli occhi una carovana sobbalzante lungo la strada orientale, con le bandiere azzurre svolazzanti, carica di sete, spezie, e oggetti di legno e di metallo. Tutta la Rocca aspettava irrequieta l’arrivo dei mercanti.

Risalì la scala a chiocciola che conduceva in cima alla torre ed entrò nella vecchia stanza ottagonale che aveva conosciuto diversi usi: aveva funto da magazzino, da fortificazione per la difesa, persino da camera di consiglio durante la guerra nel nord. Odorava di legno di pino e di inchiostro. Sulle pareti c’erano appesi arazzi simili a quelli della sala, ed era ingombra di mobili: due pagliericci, un grosso tavolo da lavoro, degli scanni, la sedia di Josen e sei casse in legno di cedro, due delle quali contenevano vestiti. Le altre quattro erano stracolme di vecchi documenti.