Ti odio, pensò Sorren, guardando l’oceano.
L’aria estiva, pregna di sale, la rendeva fiacca. Il braccialetto di monete che Arré le aveva consegnato per fare la spesa le aveva lasciato un segno rosso sul polso. Dalla banchina alle sue spalle il pesce puzzolente esalava vapori che si levavano alti, simili a fumo. Le barche dondolavano nella rada. Un carro vuoto, trainato da un mulo grigio dall’aria stanca, le passò accanto sobbalzando con fragore. Le passere, ricordò a se stessa. Le passere, tra quattro giorni.
S’incamminò tra le botteghe, le bancarelle e gli ambulanti del mercato, diretta al familiare pendio che s’inerpicava su per il fianco del colle. Dietro di lei l’oceano scintillava simile a una lastra d’ottone. Le insegne delle botteghe penzolavano flosce nell’immobile mattino senza vento. I ciottoli ardevano nelle vie, ma i piedi di Sorren, induriti dai calli, a malapena ne avvertivano il tocco rovente. Stanca e sudata, giunse sulla sommità della collina; la blusa di cotone le si era ormai letteralmente incollata alle spalle e ai seni.
Sostò dinanzi alla porta che dava accesso alla proprietà della Famiglia Med. Contemplò la città. La cupola vermiglia del Tanjo risplendeva nel cuore del tessuto urbano.
A sud l’oceano ribolliva luccicante, punteggiato dalle vele gialle dei pescherecci. A est e a ovest della città, si estendevano le piantagioni di cotone. Sorren non riusciva a distinguere i raccoglitori coi grossi sacchi sulle spalle, ma sapeva che erano lì. A nord s’allungavano i vigneti dai quali era giunta sette anni addietro.
Soltanto due volte vi era tornata in visita: la prima volta per sfoggiare gli abiti nuovi, e la seconda in occasione della morte di sua madre. Ma non aveva fatto in tempo; aveva pronunziato l’estremo saluto presso la tomba sforzandosi di richiamare nitida nella mente l’immagine del volto di sua madre. Era accaduto quattro anni prima. Adesso, quando ci provava, non riusciva neppure a ricordarne vagamente le sembianze.
Il grande edificio azzurro che si ergeva verso est, presso la sponda del fiume, era la sala del Clan Blu. Stendardi turchini sventolavano sulla facciata, e le banderuole azzurre appese alle botteghe, alle bancarelle e ai carri, rivelavano che i loro proprietari appartenevano alla Corporazione e che i loro affari prosperavano. Anche i carri che trasportavano in città le botti di vino provenienti dai vigneti dei Med recavano banderuole turchesi.
Al di là delle vigne si estendevano i campi di Galbareth coltivati a grano; e, al di là di essi, vi era la steppa... e le montagne. Sorren chiuse gli occhi un istante, e le montagne svettarono nella sua mente; solide, grigie e incorruttibili, uguali a come le apparivano nei sogni.
Ma lì, nei dintorni di Kendra-sul-Delta, non c’erano montagne. Sorren dischiuse gli occhi. Le pietre adoperate per costruire il Tanjo erano giunte dalle Colline Rosse che sorgevano oltre Shanan e le terre degli Asech, a giorni e giorni di distanza.
Si voltò verso il cancello della proprietà. La sentinella la stava osservando dalla sua postazione presso l’albero di kava. – Buongiorno – la salutò Sorren.
La Guardia brontolò qualcosa in risposta. La sua camicia rossa era bagnata di sudore. Aveva deposto la lancia sulla roccia ai suoi piedi, e Sorren si domandò come avrebbe reagito Paxe se fosse giunta all’improvviso e avesse sorpreso la sua sentinella sprovvista della lancia.
– Si crepa dal caldo! – disse Sorren.
– Già – brontolò la Guardia.
La buccia verde di un kava gettata sul terreno balzava all’occhio simile a una pezzuola di stoffa. Tutti mangiavano i frutti di kava quando montavano di guardia, ma questa sentinella – un giovane dai baffi rossicci – non aveva ancora imparato ad allontanarne la buccia con un calcio. Né aveva imparato ad aprire il cancello a Sorren. Questa si accinse a farlo da sé ma, nello stesso istante, il giovane cambiò idea e si apprestò ad aprirlo, cosicché le loro dita finirono con l’incontrarsi. Quelle del giovane erano appiccicose.
Sorren varcò la soglia delimitata dal cancello di ferro. – Grazie – disse.
Di nuovo il giovane le rispose con un grugnito. Le Guardie non sapevano mai quale fosse il modo giusto di trattarla. Era una schiava, ma il più delle volte Arré la trattava come una figlia... e poi c’era Paxe.
Il cancello si richiuse. Sorren s’incamminò attraverso il cortile. Da ambo i lati il vialetto era fiancheggiato da fiori, ora flosci per effetto della calura. Come ogni volta, fu attratta e incuriosita dal disegno che formavano le piastrelle che lastricavano il cortile. Seguì col passo uno dei margini della figura. Il triangolo azzurro disegnato sul fondo vermiglio era di forma irregolare. Si domandò se fosse stata una scelta deliberata dell’artista che lo aveva progettato.
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