– Fa sempre più caldo ogni estate che passa – osservò Arré. Raddrizzò quindi le spalle e sollevò gli occhi in un luccichio fulmineo. – Meno male che ci sei tu a fare la spesa e non devo farla io.
Sorren sorrise all’idea di Arré Med, Consigliere di Kendra-sul-Delta e Capo della Famiglia Med, impegnata a comprare passere giù alla darsena.
– Cos’hai da sorridere? – la rimbrottò con stizza Arré. – Stavo pensando alla faccia sorpresa del pescivendolo.
– Asciugati il viso! – le disse Arré. Si incamminò quindi lungo il corridoio. – E non ridere di me!
Non c’era da sbagliarsi: Arré era proprio di pessimo umore. Sorren si asciugò le labbra con una manica, e seguì la donna nella saletta. Il piccolo ambiente fungeva da studio e salotto; esposto a sud, di giorno le pareti risplendevano, inondate dal sole. Come nella sala grande, le pareti divisorie interne erano fatte di paraventi, mentre quella esterna, di legno, era tappezzata di arazzi di lana, tutti rossi e blu.
I colori per la tintura delle lane provenivano dalle terre degli Asech, e non ve n’erano di più brillanti e durature. Il pavimento, anch’esso ligneo, non era ricoperto da stuoie. Il sole vi disegnava strie sfolgoranti. Le file di grano scintillavano.
Arré prese posto sulla sua sedia ammorbidita dai cuscini, mentre Sorren rimaneva immobile presso la porta. La donna più anziana le rivolse un’occhiata. – Siediti – le ordinò, indicando lo sgabello posapiedi. – Devo parlarti.
Obbediente, Sorren si mise a sedere. A destra della sedia la lacca rossa e nera del piano di un tavolo brillava sotto i raggi del sole. Appoggiato alla parete, un armadietto dalle ante di vetro mostrava uno scaffale ingombro di rotoli: erano i documenti contabili di Casa Med. Una volta al mese, il Clan Nero inviava uno scriba – non uno Scolaro, mai si sarebbero occupati di un’attività così mondana – col compito di correggere gli eventuali errori sotto gli occhi vigili di Arré. Questa non disponeva di un amministratore; le sembrava superfluo in una famiglia composta soltanto da lei e dalla servitù. Si occupava perciò personalmente di aggiornare i libri contabili. – Hai visto Isak? – chiese.
Sorren annuì. – Ci siamo incontrati al cancello. – Il volto di Arré si fece teso, come lo diventava ogniqualvolta le capitava di nominare suo fratello. I braccialetti d’argento, due su ciascun braccio, tintinnarono, allorché adagiò le mani in grembo. Una gemma azzurra era incastonata nel bracciale più grande. – Cosa voleva?
La bocca di Arré si storse in una smorfia. – Qualsiasi cosa gli riesca di ottenere.
– Ma siamo nella stagione del raccolto! Dovrebbe trovarsi nei campi.
– Sciocchezze. Myra amministra i vigneti meglio di quanto Isak sappia o voglia fare. – Myra era la moglie di Isak. – Ha chiesto il permesso di danzare per i Consiglieri.
– Glielo hai dato?
Arré allargò le mani; erano grosse e sproporzionate in confronto all’esile corporatura, sgraziate, non belle da guardarsi. Isak, lui sì, aveva delle splendide mani. – È il miglior Danzatore della città: come potevo rifiutare?
Persino Arré riconosceva la straordinaria abilità che Isak mostrava nella Danza. Era il suo talento, la sua arte, così come l’amministrazione era l’arte di Arré, e forse la sua passione, o almeno una delle tante. Era stato iniziato alla Danza da Meredith di Shanan, che a sua volta aveva ricevuto l’alto insegnamento da Berenth di Shanan, istruito in precedenza da sua madre Jenézia di Shanan. E quest’ultima – ogni bambino della città lo sapeva – aveva danzato con Kel di Elath.
Isak aveva il diritto di indossare la shariza, la fascia rossa dei ceari, tuttavia, con una delicatezza maggiore di quella che era solito esibire, preferiva non portarla. Una volta Sorren gliene aveva domandato la ragione. – “Gli antichi ceari venivano addestrati per diventare dei Guerriglieri” – era stata la risposta. – “Io non lo sono”.
– Perché no? – aveva insistito lei.
– La guerra è una pratica incivile, questo lo sai – le aveva risposto. – È un mestiere rude che è meglio lasciare ai soldati. Oltretutto, portare lame è proibito a Kendra-sul-Delta.
Nella Danza però, interpretava con maestria il ruolo del Guerriero. Sorren picchiettò con le mani sulle ginocchia. – Desidera che io suoni per lui?
– Sì.
– Ma non abbiamo avuto il tempo di provare.
– Non importa. Suonerai qualche pezzo che conoscete tutti e due. Qualsiasi cosa andrà bene.
Da quattro anni Sorren accompagnava la Danza di Isak con le sue percussioni. Il primo anno soltanto per piccole parti, ma l’anno successivo aveva suonato durante le più importanti Celebrazioni: per la Festa del Raccolto, per quella di Primavera e per la Festa della Fondazione della Città. – Forse...
– Fa lo stesso. Non gli importa cosa danzerà, purché gli serva ad avvicinarlo all’Assemblea.
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