Le labbra di lui erano dischiuse. I suoi occhi, bassi, contemplavano il colletto aperto della camicia di lei.
Entrambi persero contemporaneamente il filo del racconto. Ricard mormorò qualcosa che Sorren non riuscì ad afferrare.
Prima che la ragazza avesse il tempo di sbottare in un insulto, Ricard indietreggiò, fece dietro front, e si allontanò dalla stanza. Sorren udì il passo di Paxe.
– Dove vai?
Ricard biascicò qualcosa. Seguì il fragore della porta sbattuta con violenza.
– Sorren?
Leccandosi le punte delle dita, Sorren ripose sul vassoio il nocciolo sfilacciato della pesca. – Sono qui.
Paxe entrò nella cucina. La sua camicia color panna era macchiata di sudore. – Quel Ricky – sospirò. – È uscito a spendere i miei soldi. Lo vedo solo quando ha bisogno di danaro. Non sa chiedermi altro.
– È soltanto un ragazzino – lo difese Sorren. Allargò le braccia e Paxe si offrì all’abbraccio. Il suo corpo era ardente e coperto di polvere. – Non badare a ciò che fa. – Con delicatezza prese a carezzarle la nuca.
Salirono di sopra, dirette verso l’enorme letto di Paxe, imbottito di piume d’oca. Sorridendo, Paxe si sfilò i vestiti e si sdraiò, in attesa che Sorren la raggiungesse. Avvinghiate, si rotolarono, amandosi e lottando a un tempo. Aggrovigliate in un nodo d’amore, si carezzavano e si stuzzicavano a vicenda frementi di piacere. Il moto dei sensi fece avvampare la pelle di Sorren, ed essa adagiò la testa sulla coscia di Paxe. Nella mano raccolse il pube della sua amante e sentì crescere l’impulso del piacere. Lo sentì crescere, e crescere ancora, finché si smorzò lentamente.
La lingua corse sulle labbra, assaporando Paxe.
Le dita di questa si allungarono fino a raggiungerla per trarla a sé. – Vieni qui!
Sorren si tirò su fino a trovarsi distesa accanto alla sua amante, la testa adagiata sul cuscino. Le piaceva il modo in cui i loro corpi combaciavano, come un oggetto e la sua ombra. Paxe si voltò dalla sua parte. Con la mano destra sfiorò il seno di Sorren.
– Io lo so perché ti amo – le disse. – Sei l’unica donna da queste parti che si avvicini alla mia altezza.
Fuori della villetta una voce di donna cominciò a cantare. – Alla luce del sole dobbiamo separarci, amore mio; alla luce delle stelle possiamo sorridere. La luna brilla nel cielo, amore mio. Oh, lasciami rimanere un po’...
Sorren si unì al canto. – Canta hei e ho per gli amanti, canta hei per il sole che tramonta, canta hei per la fanciulla che mi fa sorridere quando la mietitura è finita!
Sospirando, Paxe inarcò il lungo corpo e, sovrastando quello di Sorren, prese a muoversi sinuosamente. – Non sai cantare, piccola. – Chinò la testa, le loro labbra si congiunsero e le lingue si incontrarono.
Quando le due bocche si staccarono, Sorren replicò: – Lo so. È per questo che suono i tamburi. – Si dimenò sotto il corpo dell’amante. – Lasciami alzare.
– Perché?
– Devo tornare a casa.
Il viso di Paxe si atteggiò a una smorfia. – Non ho scelta. – Rotolò da una parte. Sedutasi, Sorren allungò un braccio verso i vestiti.
Si era appena infilata i pantaloni, quando la visione dei monti le invase la coscienza.Era un uccello (ma privo di forma e di peso) libratosi in volo sulla steppa. Annusò il profumo dell’aria del nord, pulita, rarefatta e asciutta come un osso, ne assaporò l’essenza, la sentì che le riempiva i polmoni. Il sole era caldo. Le colline si ergevano sotto di lei, marroni, verdi e bianche. Quel bianco erano i greggi di pecore che brucavano l’erba placidamente sotto lo sguardo vigile di fanciulle munite di bastoni. Un fiume, azzurro, come un nastro di stoffa solcava una valle. Oltre il fiume si innalzavano le montagne. E, incuneata tra esse, la guglia grigia di una torre svettava nel cielo.
Sorren ritornò al presente per trovare Paxe seduta accanto a lei, con la fronte corrugata. Sollevò il palmo verso la guancia bruna dell’amata. – Sono qui.
Paxe sospirò. – Dove sei stata stavolta?
– Dove vado sempre – rispose Sorren. – Sulle montagne.
Aveva tredici anni la prima volta che era stata posseduta da quella visione. L’aveva colta mentre si trovava a bordo del carro che l’aveva portata via dai vigneti, col magro lascito delle poche cose di sua madre raccolto in grembo. Quell’esperienza l’aveva lasciata troppo stordita per spaventarla. Ma, quando le visioni erano continuate, aveva fatto un po’ di domande in giro e aveva scoperto che il potere di raggiungere luoghi lontani con la mente aveva un nome. Si chiamava teletrasporto a distanza e, coloro che ne erano dotati venivano nominati automaticamente membri del Clan Bianco, col conseguente obbligo di abbandonare qualsiasi attività o condizione e andare a vivere nel Tanjo per servire il cea...
Il titolo di Mago costituiva un’altissima onorificenza e implicava un compito di grande importanza. Ma Sorren non lo voleva. I Maghi la spaventavano. Ostinata nel suo silenzio, aveva tenuto per sé il suo talento. L’unica persona della quale si fidava al punto di rivelarle il suo segreto era Paxe.
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