Le labbra di Nick si corrucciarono mentre si sforzava di non pensare al modo in cui quelle persone rispettabili lo guardavano come se fosse una nullità. Più della metà dei loro padri frequentava con regolarità il club in cui lavorava sua madre, eppure loro erano definite persone perbene, e lui e sua madre erano considerati spazzatura.
Non riusciva davvero a mandar giù quell’ipocrisia.
Ma era così che andava. Non poteva far cambiare idea a nessuno.
Nick abbassò la testa e scese correndo giù per la strada quando vide l’autobus in attesa alla sua fermata.
Oh cavolo...
Prese velocità e si lanciò in una corsa a perdifiato. Raggiunse il marciapiede e con un balzo montò sul bus.
L’aveva preso giusto in tempo.
Ansimando e sudando per l’aria umida dell’autunno a New Orleans, si scrollò lo zaino dalle spalle mentre salutava il conducente. «Buongiorno, Mr Clemmons.»
L’anziano afroamericano gli sorrise. Era uno degli autisti preferiti di Nick. «Buongiorno, Mr Gautier.» Sbagliava sempre la pronuncia del cognome di Nick. Diceva Go-chay invece della pronuncia corretta che era Goshay.
La differenza era che la pronuncia Go-chay prevedeva tradizionalmente una H dopo la T ma, come la madre di Nick diceva spesso, erano troppo poveri per permettersi anche una lettera in più. Per non parlare del fatto che uno dei parenti di sua madre, Fernando Upton Gautier, aveva fondato la piccola città del Mississippi che portava il suo nome, e in entrambi i casi, la pronuncia corretta era Go-shay. «Tua madre ti ha fatto fare di nuovo tardi?»
«Eh, già.» Nick estrasse i soldi dalla tasca e pagò rapidamente prima di mettersi a sedere. Sudato e affannato, si lasciò andare contro il sedile e trasse un respiro profondo, grato di esser riuscito ad arrivare in tempo.
Sfortunatamente stava ancora sudando quando raggiunse la scuola. Era il bello di vivere in una città dove persino in ottobre si potevano raggiungere i trentadue gradi alle otto di mattina. Cavolo, stava cominciando a stancarsi di quella tarda ondata di calore che li stava tormentando.
Fattene una ragione, Nick. Oggi non sei in ritardo. Va tutto bene.
Già, che la canzonatura abbia inizio.
Si diede una sistemata ai capelli, si asciugò il sudore dalla fronte, e si sistemò lo zaino sulla spalla sinistra.
A testa alta, nonostante le sue sneacker e i commenti sulla sua camicia e gli aloni di sudore, attraversò il cortile e il portone della scuola con aria sicura. Era il massimo che poteva fare.
«Bleah! Che schifo! È bagnato fradicio. È talmente straccione da non avere un asciugamano? Ma i poveracci non si lavano mai?»
«Sembra come se sia andato a pescare a Pontchartrain e abbia preso all’amo quella camicia oscena piuttosto che un vero pesce.»
«È perché non poteva proprio sbagliare il bersaglio. Scommetto che brilla perfino al buio.»
«Scommetto che c’è qualche vagabondo senza camicia là fuori che si starà chiedendo chi gli abbia rubato i vestiti mentre dormiva su una panchina. E da quanto tempo porta quelle scarpe? Mi sa che mio padre ne portava un paio simile negli anni Ottanta.»
Nick fece finta di non sentirli e si concentrò sul fatto che erano davvero degli stupidi. Nessuno di loro sarebbe stato in quella scuola se i loro genitori non fossero stati ricchi sfondati. Lui invece era uno studente con una borsa di studio. Non sarebbero neppure riusciti a fare lo spelling corretto dei loro nomi durante l’esame che lui aveva superato per entrare nella scuola.
Quella era la cosa più importante. Era molto meglio il cervello dei soldi.
Anche se, in quel momento, anche avere un lanciarazzi non sarebbe stato male. Non poteva neppure dirlo ad alta voce senza che il corpo insegnante chiamasse gli sbirri per le sue idee inappropriate.
La sua spacconeria durò giusto il tempo di raggiungere il suo armadietto, dove si attardavano Stone e la sua cricca.
Grandioso, davvero grandioso. Non potevano scegliersi qualcun altro da perseguitare?
Stone Blakemoor era proprio uno di quei tipi tremendi che davano una cattiva fama agli atleti. Non erano tutti come lui, Nick lo sapeva. Aveva molti amici che militavano nella squadra di football, starter, come minimo, e non scaldapanchine come Stone.
Cionondimeno, quando pensavi a uno di quegli atleti arroganti e stupidi il nome di Stone era perfetto per il ruolo. Stone, pietra, era il nomignolo davvero azzeccato che gli avevano dato i suoi genitori. Scommetto che sua madre sapeva sin da quando lo portava in grembo che avrebbe partorito un idiota colossale.
Stone grugnì quando Nick si fermò accanto al suo gruppo per aprire il suo armadietto. «Ehi, Gautier! Ho visto tua mamma nuda ieri sera... scuoteva il culo in faccia a mio padre per farsi mettere un dollaro nel perizoma. Gli è piaciuta molto. Ha detto che aveva un bel paio di...»
Prima ancora di poterci ripensare, Nick lo colpì violentemente sulla testa con lo zaino, più forte che poté.
E in un attimo era diventato come Donkey Kong.
«Fanno a botte!» gridò qualcuno mentre Nick stringeva Stone in una morsa attorno alla testa e lo pestava.
Si radunò una piccola folla intorno a loro, intonando:
«Botte, botte, botte.»
In qualche modo Stone riuscì a liberarsi dalla presa e lo colpì così forte nello sterno che gli tolse il fiato. Diamine, era molto più forte di quanto sembrasse. Colpiva come un martello pneumatico.
Furioso Nick scattò verso di lui, quando uno degli insegnanti si frappose tra loro.
Ms Pantall.
La vista della sua figura minuta lo calmò all’istante.
Non avrebbe colpito un’innocente, e men che mai una donna. Lo guardò con gli occhi stretti e poi indicò il corridoio.
«In ufficio, Gautier. Adesso!»
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